L'avarizia
è una maledizione per i ricchi e per i poveri
Potessero
tutti gli uomini spogliarsi dell'amore per l'avarizia con quella
facilità con cui la biasimano! Ma essa è un'incantatrice, un dolce
male; è perciò una maledizione per l'umanità tutta, in ogni tempo.
In coloro che non hanno ricchezza alcuna essa infonde un'ardente
brama di possesso; a coloro invece che ne hanno, essa non permette
che ne possano godere. Così essa tutti travolge nella tempesta
di una passione vana, tanto che non si sa se è più grande in questi
o in quelli. È come un fuoco che ha trovato alimento in paglia
secca e che non si spegne fin che l'ha divorata tutta. Coloro
che vivono in condizioni discrete, indulgono ad essa con gli inganni;
i ricchi, con la mancanza di ogni modestia; i giudici, con la
parzialità; gli oratori, con la prontezza a ogni discorso venale;
i re, con la prepotenza; i mercanti, con l'imbroglio; i poveri,
con desideri vani; tutti i popoli e le nazioni, con la guerra.
Come imperversa pazzamente sulla faccia della terra, tutto bruciando
ed escogitando nuovi e vari stratagemmi! Non conosce riposo, né
di giorno, né di notte; né in pace, né in guerra. Nulla le basta
mai, anzi, più grande è il guadagno, più essa si sente misera.
L'avarizia rappresenta una specie nuova di male, perché cresce
sempre e non muore mai. Non riescono ad abbatterla né l'amore
dei genitori, né la tenerezza dei bimbi, né l'affetto degli sposi,
né l'intimo legame dei fratelli, né il diritto dell'amicizia,
né il rispetto delle buone maniere, né la triste sorte delle vedove,
né la miseria dei poveri, né il pensiero di Dio: tutto ciò essa
lusinga o danneggia con tutti i mezzi possibili, purché le sia
dato togliere agli altri ciò che posseggono. Certo, come potrebbe
aver riguardo di qualcuno essa, che in ogni tempo è pronta ad
angustiarsi fino alla morte per un meschino e dannoso guadagno?
Povero uomo! Perché ti tormenti con inutili cure per la tua brama
ardente e vana d'oro e d'argento? Perché accumuli grandi masse
di denaro? Perché cerchi di riporre, con eccitazione incessante
e vana, cose su cose, che pur un giorno dovrai lasciare qui, perfino
senza averne in qualche modo goduto? Per di più, tu ti lamenti
della tua miseria, tu che neppure sai ciò che possiedi! Qualunque
cosa tu possa fare, nulla di tutto ciò porterai un giorno con
te nell'aldilà. O cristiano, se debbo dire la verità: tu abomini
l'oro e l'argento sugli idoli, ma non nel tuo cuore! Eppure vedi
che sui pezzi d'oro e d'argento coniati in rotonde monete, vi
sono le immagini e i segni dei re, come nei templi; e non vi è
affatto differenza se nella tua casa queste immagini sono più
piccole e nei templi più grandi. Se tu spendi queste monete, esse
sono denaro; ma se tu le accumuli, sono immagini idolatriche.
E tu, serva di Cristo, anche la tua detestazione per l'immagine
idolatrica è un inganno. Credimi: tu le presti adorazione interna,
se non deponi gli ornamenti che sono il suo riflesso. Tu te ne
vai alla chiesa del Signore col corpo coperto d'oro e di monili,
fai fatica a portare quel metallo maledetto e tu, che in altre
circostanze sei tanto sensibile, sotto il peso dei monili sei
dura. E così non puoi inginocchiarti nella preghiera, perché il
tuo vestito non si gualcisca, non puoi alzare le braccia e ti
guardi bene di prostrare a terra il tuo petto che nuota tra i
monili. Quando poi fai la confessione dei tuoi peccati, pieghi
certo le spalle: non per umiltà, ma per il peso che le opprime:
ti dai più cura per i tuoi vezzi, che per la salvezza della tua
anima. Cosa credi di ottenere da Dio, se la tua preghiera si compie
proprio con quegli oggetti che egli ha in odio? Apri dunque gli
occhi del tuo cuore e vedrai certo che il tuo pregare è più un'offesa
che una preghiera a Dio. E infine, fratelli, la donna che non
teme Cristo, non teme neppure il suo uomo. Da ciò deriva che gli
sposi, in pieno contrasto con il santo vincolo matrimoniale, curano
solo il loro proprio interesse e ciascuno - evidentemente per
immenso amore! - tiene d'occhio l'eredità dell'altro. Da ciò deriva
che i genitori odiano i loro figli e i figli i loro genitori;
che l'amicizia lusinga gli occhi, ma non vive nel cuore. Da ciò
deriva che tutta l'umanità si rallegra per la sua rovina e per
la sua infelicità, stimando l'anima meno del denaro; da ciò deriva
che la giustizia, l'onoratezza, la pietà, la fede, la verità vanno
in rovina; che Dio stesso in ogni momento riceve oltraggio, perché
i suoi comandi vengono disprezzati, e a lui si preferiscono i
gingilli e l'amore del mondo. In ogni peccato, in ogni delitto,
in ogni prava azione, in ogni ingiustizia è presente - senza dubbio
alcuno - un uomo, il cui cuore è pieno della vampa nefasta di
un'ingordigia insaziabile. Giustamente Dio odia l'avarizia: è
una brama senza fondo, una cupidigia cieca, una passione pazza,
un desiderio di rapina che non ha confine, una tensione che non
trova pace, che non giunge mai alla fine delle sue brame, che
non conosce contento. Spezza la fedeltà, spegne ogni sentimento,
pone se stessa al di sopra dei diritti divini e, con argomentazioni
cavillose, riduce a nulla ogni diritto umano e, se le fosse possibile,
usurperebbe il mondo intero.
Zenone
di Verona, L'avarizia, 1,10,1-4; 1,11.
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