La
gloria di Dio è il povero che vive
"La
dimensione politica della fede, a partire dall'opzione per i poveri"
*
L'essenza
della Chiesa sta nella sua missione di servizio reso al mondo,
alfine di salvarlo nella sua totalità, di salvarlo nella storia,
qui e ora. La Chiesa esiste per essere solidale con le speranze
e le gioie, con le ansie e le tristezze degli uomini. La Chiesa
esiste, come Gesù, "per portare la buona novella ai poveri, per
guarire quelli che hanno il cuore ferito, per cercare e salvare
ciò che era perduto" (cfr. Lumen Gentium, n. 8)... Per dirla in
una sola parola, che è capace di riassumere e concretizzare tutto,
il mondo, che la Chiesa è chiamata a servire, è per noi il mondo
dei poveri. Il nostro mondo salvadoregno non è un'astrazione,
non è semplicemente un ulteriore esempio di ciò che, nei paesi
sviluppati come il vostro, si intende per "mondo". E un mondo
che nella sua immensa maggioranza è costituito di uomini e di
donne poveri e oppressi. E appunto di questo mondo di poveri,
noi diciamo che esso è la chiave per comprendere la fede cristiana
e l'agire della Chiesa, e insieme la dimensione politica di quella
fede e di quell'agire ecclesiale. I poveri sono coloro che ci
dicono che cos'è la "polis", la città, e che cosa significhi,
per la Chiesa, vivere realmente nel mondo. Permettetemi allora,
a partire dai poveri del mio popolo, che qui io rappresento, di
spiegare brevemente la situazione e l'agire della nostra Chiesa...
Il fatto di constatare queste realtà e di lasciarci toccare da
esse, lungi dall'allontanarci dalla nostra fede, ci ha rimandato
al mondo dei poveri come al nostro vero luogo, ci ha spinto, come
primo passo fondamentale, a incarnarci nel mondo dei poveri. In
esso abbiamo incontrato i volti concreti dei poveri di cui Puebla
ci parla (cfr. nn. 31-39). Lì abbiamo incontrato i contadini senza
terra e senza lavoro stabile, senz'acqua né luce nelle loro povere
abitazioni, senza assistenza sanitaria, quando le madri partoriscono,
e senza scuole, quando i bambini iniziano a crescere. Lì ci siamo
incontrati con gli operai, che sono senza diritti sindacali e
che vengono i scacciati dalle fabbriche non appena provino solo
a reclamarli, che sono alla mercé dei freddi calcoli dell'economia.
Lì ci siamo incontrati con le madri e le spose dei desaparecidos
e dei prigionieri politici. Lì ci siamo incontrati con gli abitanti
dei tuguri, la cui miseria supera ogni immaginazione e che sperimentano
l'insulto permanente rappresentato dalle dimore vicine. E in questo
mondo senza volto umano, che pure è l'attuale sacramento del servo
sofferente di JHWH, che la Chiesa della mia archidiocesi ha cercato
di incarnarsi. Non dico questo con spirito trionfalistico, giacché
ho ben chiaro il molto che ancora ci manca, in vista di un più
pieno avanzamento in questa incarnazione. Tuttavia ricordo questo
fatto con immensa gioia, poiché abbiamo compiuto lo sforzo di
non passare oltre, di non girare alla larga del ferito incontrato
lungo la strada, e ci siamo avvicinati a lui come il buon samaritano.
Questo avvicinamento al mondo dei poveri, lo intendiamo, al tempo
stesso, come incarnazione e conversione... Questo incontro con
i poveri ci ha fatto recuperare la verità centrale del Vangelo,
nel quale la parola di Dio ci sollecita alla conversione. La Chiesa
ha una buona novella da annunziare ai poveri. Quelle stesse persone,
che per secoli hanno ascoltato solo cattive notizie e vissuto
realtà anche peggiori, ora, attraverso la Chiesa, stanno ascoltando
la parola di Gesù: "Il regno di Dio è vicino" (Mc 1,15), "Beati
i poveri, perché di essi è il regno dei cieli" (cfr. Mt 5,3).
E, a partire di lì, hanno pure una buona novella da annunziare
ai ricchi: che costoro si convertano al povero, per condividere
con lui i beni del Regno... E' una novità, nel nostro popolo,
che i poveri vedano oggi nella Chiesa una fonte di speranza e
un sostegno dato alla loro nobile lotta di liberazione. La speranza
che la Chiesa sostiene non è ingenua né passiva. E piuttosto un
appello, che prende le mosse dalla stessa parola di Dio, affinché
le maggioranze povere si assumano la propria responsabilità, affinché
prendano coscienza del proprio stato, affinché si diano una propria
organizzazione - e ciò in un paese in cui, con un intensità che
può essere ora maggiore ora minore, tutto questo viene legalmente
o in concreto proibito. Ed è pure una difesa, talvolta anche critica,
delle loro giuste cause e rivendicazioni. La speranza che predichiamo
ai poveri è perché sia loro restituita la dignità, è per dare
loro il coraggio di essere, essi stessi, gli autori del proprio
destino. In una parola, la Chiesa non solo si è voltata verso
il povero, ma fa di lui il destinatario privilegiato della propria
missione, giacché, come ricorda Puebla, "Dio prende le loro difese
e li ama" (n. 1142)... La Chiesa non solo si è incarnata nel mondo
dei poveri, dando loro una speranza, ma si è impegnata fermamente
nella loro difesa. Le maggioranze povere della nostra nazione
sono quotidianamente oppresse e represse dalle strutture economiche
e politiche del nostro paese. Tra noi continuano a essere vere
le terribili parole dei profeti di Israele. Esistono tra noi quanti
vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali
(cfr. Am 2,6); quanti accumulano violenza e rapina nei loro palazzi
(cfr. Am 3,10); quanti schiacciano i poveri (cfr. Am 4,1); quanti
affrettano il sopravvento della violenza, sdraiati su letti di
avorio (cfr. Am 6,3-4); quanti aggiungono casa a casa e annettono
campo a campo, fino a occupare tutto lo spazio e restare da soli
nel paese (cfr. Is 5,8). Questi testi dei profeti Amos e Isaia
non sono voci lontane di molti secoli fa, non sono solo testi
che leggiamo con riverenza nella liturgia. Sono realtà quotidiane,
la cui crudeltà e intensità sperimentiamo ogni giorno... Questa
difesa dei poveri, in un mondo gravemente conflittuale, ha provocato
qualcosa di nuovo nella storia recente della nostra Chiesa: la
persecuzione. Voi già conoscerete i dati più importanti. In meno
di tre anni, più di cinquanta sacerdoti sono stati attaccati,
minacciati e calunniati. Sei di loro sono già martiri, morti assassinati;
vari altri sono stati torturati, e taluni espulsi. Anche le religiose
sono state fatte oggetto di persecuzione. L'emittente dell'arcivescovado,
come pure altre istituzioni educative cattoliche e di ispirazione
cristiana, sono state tutte costantemente attaccate e minacciate,
e ordigni micidiali sono stati fatti esplodere contro di loro
a scopo intimidatorio. Numerose case parrocchiali sono state perquisite...
E dunque un fatto certo, che la nostra Chiesa sia stata perseguitata
negli ultimi tre anni. Ma ancora più importante è considerare
le ragioni per cui è stata perseguitata. Non è stato perseguitato
un qualche sacerdote, né è stata attaccata una qualche istituzione.
E stata perseguitata e attaccata quella parte della Chiesa che
si è messa dalla parte del popolo povero e si è levata in sua
difesa. E dì nuovo troviamo in questi fatti la chiave che ci consente
di comprendere la persecuzione della Chiesa: i poveri. Sono nuovamente
i poveri, che ci fanno capire quel che è realmente accaduto. E
per questo, la Chiesa ha cominciato a comprendere la persecuzione
proprio a partire dai poveri. La persecuzione è stata provocata
dalla difesa dei poveri ed essa pure null'altro è se non farsi
carico del destino dei poveri. La vera persecuzione è stata indirizzata
verso il popolo povero, che è oggi il corpo di Cristo nella storia.
Questi sono coloro che completano nel loro corpo quel che manca
alla passione di Cristo. Ed è per questa ragione che anche la
Chiesa, una volta che ha scelto di organizzarsi e di radunarsi
nel nome delle speranze e delle ansie dei poveri, è andata incontro
alla stessa sorte di Gesù e dei poveri: la persecuzione... Questa
opzione della Chiesa per i poveri è ciò che spiega la dimensione
politica della sua fede, come qualcosa che è già nelle proprie
radici e nei propri tratti fondamentali. E perché essa ha optato
per i poveri concreti e non immaginari, è perché essa ha optato
per i veri oppressi e i veri repressi, che ora la Chiesa vive
nel mondo della sfera politica; e che essa si realizza, come Chiesa,
anche attraverso questa sfera. D'altro canto, non potrebbe essere
diversamente, se, come Gesù, si dirige verso i poveri... Ma c'è
di più. Nel corso di questo processo, che ha portato la Chiesa
a prendere posizione di fronte alla concreta e reale situazione
socio-politica, la stessa fede è andata approfondendosi, lo stesso
Vangelo è andato mostrando la propria ricchezza. E così, in primo
luogo, adesso sappiamo meglio che cos'è il peccato. Sappiamo che
l'offesa recata a Dio è la morte dell'uomo. Sappiamo che il peccato
è veramente mortale; e non semplicemente per la morte interiore
di chi lo commette, ma pure per la morte fisica e oggettiva che
produce. In questo modo, noi facciamo memoria di quello che è
il dato profondo della nostra fede cristiana. Peccato è ciò che
procurò la morte al Figlio di Dio, e peccato continua ad essere
ciò che procura la morte ai figli di Dio. Questa fondamentale
verità della fede cristiana la vediamo quotidianamente nelle situazioni
del nostro paese. Non si può offendere Dio senza offendere il
fratello. E la peggiore offesa a Dio, il peggiore dei secolarismi
è, come ha già detto uno dei nostri teologi, "il trasformare i
figli di Dio, i templi dello Spirito Santo, il corpo storico di
Cristo, in vittime dell'oppressione e dell'ingiustizia, in schiavi
di appetiti economici, in scarti della repressione politica; il
peggiore dei secolarismi è la negazione della grazia attraverso
il peccato, è l'oggettivazione di questo mondo come presenza operante
delle potenze del male, come presenza visibile della negazione
di Dio" (p. I. Ellacuria)... Per questo abbiamo denunciato l'idolatria
che, nel nostro paese, si fa della ricchezza, della proprietà
privata assolutizzata nel sistema capitalistico, del potere politico
nei regimi di sicurezza nazionale, in nome dei quali si istituzionalizza
l'insicurezza degli individui (IV Lettera pastorale, nn. 43-48)...
In secondo luogo, noi sappiamo ora meglio che cosa significhi
l'incarnazione, che cosa significhi che Gesù ha preso una carne
realmente umana, e che si è fatto solidale con i suoi fratelli
nella sofferenza, nei pianti e nei lamenti, nell'offerta. Sappiamo
che non si tratta direttamente di un'incarnazione universale,
che è qualcosa di impossibile, ma di un'incarnazione preferenziale
e parziale: un 'incarnazione nel mondo dei poveri. E a partire
da loro, che la Chiesa potrà essere per tutti, che la Chiesa potrà
anche prestare un servizio ai potenti, attraverso una pastorale
di conversione; ma non viceversa, come tante volte è capitato.
Il mondo dei poveri, con caratteristiche sociali e politiche assai
concrete, ci insegna dove debba incarnarsi la Chiesa, per evitare
quella falsa universalizzazione, che finisce sempre col trasformarsi
in connivenza con i potenti. Il mondo dei poveri ci insegna come
debba essere l'amore cristiano, che cerca certamente la pace,
ma smaschera pure il falso pacifismo, la rassegnazione e l'inazione;
che deve essere certamente gratuito, ma deve pure cercare l'efficacia
storica. Il mondo dei poveri ci insegna come la sublimità dell'amore
cristiano debba passare attraverso l'imperiosa necessità di un
impegno perché sia resa giustizia alle maggioranze, senza rifuggire
della lotta onesta. Il mondo dei poveri ci insegna che la liberazione
arriverà non il giorno in cui i poveri saranno i meri destinatari
di benefici resi dai governi e dalla stessa Chiesa, ma quello
in cui essi diverranno in prima persona attori e protagonisti
della propria lotta e della propria liberazione, smascherando
in tal modo la radice ultima dei falsi paternalismi, compresi
quelli ecclesiali. Il mondo concreto dei poveri ci insegna anche
in che cosa consista la speranza cristiana. La Chiesa predica
cieli nuovi e terra nuova; e sa che nessuna configurazione socio-politica
può venire scambiata per la pienezza finale che Dio solo concede.
Ma la Chiesa ha anche appreso come la speranza trascendente debba
conservarsi nei segni della speranza storica, per quanto si tratti
di segni così semplici, nella forma della loro presenza, come
sono quelli che proclama il "Trito Isaia", quando dice "Fabbricheranno
case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto"
(Is 65,21)... La fede è quella che spinge, in un primo momento,
a incarnarsi nel mondo socio-politico dei poveri, e a incoraggiare
i processi di liberazione, che sono pure socio-politici. E questa
incarnazione e questa prassi, a loro volta, danno concretezza
agli elementi fondamentali della fede... Anziché fornirvi una
dettagliata analisi di tutte le oscillazioni della politica del
mio paese, ho preferito cercare di spiegarvi quali siano le radici
profonde dell'azione della Chiesa, in questo mondo, così esplosivo,
che è il mondo socio-politico; e tentare di illustrarvi, parlandovi
del mondo dei poveri, quello che è il criterio ultimo - teologico
e insieme storico - che, in questo campo, guida l'azione ecclesiale.
A seconda dell'atteggiamento che assume nei confronti del mondo
dei poveri, nei confronti del popolo povero, la Chiesa, pur a
partire dalla propria specificità, finisce col sostenere o l'uno
o l'altro progetto politico. Crediamo che questo sia il modo col
quale conservare l'identità e la stessa trascendenza della Chiesa.
Inserirci nel concreto processo socio-politico del nostro popolo,
giudicarlo a partire dal popolo povero, e promuovere tutti i movimenti
di liberazione che conducano realmente a che le maggioranze godano
della giustizia e della pace. E crediamo che questo sia il modo
col quale conservare la trascendenza e l'identità della Chiesa,
perché è in questo modo che conserviamo la fede in Dio. I cristiani
del tempo antico dicevano: "Gloria Dei, vivens homo" ("La gloria
di Dio è l'uomo vivente"). Noi potremmo riformulare in termini
più concreti questo concetto, affermando: "Gloria Dei vivens pauper"
("La gloria di Dio è il povero che vive"). Crediamo che, a partire
dalla trascendenza del Vangelo, noi possiamo giudicare in che
cosa consista veramente la vita dei poveri, e crediamo pure che,
mettendoci dalla parte del povero e cercando dì dargli vita, giungeremo
a sapere in che cosa davvero consiste l'eterna verità del Vangelo.
Oscar
A. Romero
*
Discorso in occasione del Dottorato Honoris Causa conferitogli
dall'Università di Lovanio, il 2 febbraio 1980
|