Degna
fine di un usuraio
Vi
era un uomo in questa città (non ne dico il nome, perché mi guardo
di tirarlo per nome sulla scena, essendo egli morto), il cui mestiere
era prestare danaro e guadagnare gli interessi della detestabile
usura. Dominato da questa passione dell'avarizia, era tirchio
anche nelle proprie spese, come fanno gli avari: non poneva cibi
sufficienti sulla sua tavola, non mutava abito regolarmente o
secondo la necessità, non dava ai figli il necessario per vivere,
e non andava al bagno, perché aveva paura di pagare i tre oboli.
Di una cosa sola era sempre preoccupato: come aumentare il numero
delle sue ricchezze. E non riteneva nessuno custode fidato della
sua borsa: né figlio né servo né banchiere né chiave né sigillo:
perciò nascondeva il suo denaro in buchi nella parete, che ricopriva
esteriormente di malta, e teneva il suo tesoro nascosto a tutti,
trasferendolo incessantemente da luogo a luogo e da parete a parete,
pensando con questo mezzo ingegnoso di celarlo a tutti. All'improvviso
decedette da questa vita senza aver detto a nessuno dei familiari
dove l'oro fosse sepolto. E fu sepolto anche lui e guadagnò solo
di venire nascosto sotto terra. I suoi figli, sperando di diventare
per tanta ricchezza i più illustri nella città, cercarono ovunque,
chiesero a tutti, esaminarono gli schiavi, scavarono i pavimenti
delle case, ispezionarono le pareti, si introdussero spesso nelle
abitazioni dei parenti e dei vicini, smossero ogni pietra, come
si dice, ma non trovarono neppure un soldo. Ora vivono senza casa,
senza eredità, nella miseria, e ogni giorno accumulano maledizioni
sulla stoltezza del padre. Era questo un vostro amico, un vostro
compagno, o usurai! Ebbe una fine degna dei suoi costumi, un miserabile
sensale, tormentato dal dolore e dalla fame. Ammucchiò in eredità
per se stesso la pena eterna, e per i suoi figli la povertà.
Gregorio
di Nissa, Contro gli usurai
|