Uguale
distribuzione del beni importanti per la vita
e diversa per quelli non importanti
Per
quale motivo Dio ha creato come beni comuni i più importanti e
necessari che ci sostengono in vita, mentre quelli meno importanti
e più meschini non sono comuni? Parlo cioè delle ricchezze. Per
quale motivo? Perché la nostra vita sia assicurata e ci sia data
una palestra di virtù. Se infatti questi beni necessari non fossero
comuni, forse i ricchi, con la loro abituale avarizia, strozzerebbero
i poveri: se lo fanno già per i soldi, tanto più lo farebbero
per i beni necessari. E ancora, se le ricchezze fossero comuni
e fossero ugualmente alla portata di tutti, mancherebbe ogni occasione
di fare elemosina, ogni opportunità d'esercitare la carità. Affinché
dunque ci sia dato di vivere in sicurezza, ci sono comuni le fonti
della vita; e affinché ci sia data occasione di acquistare la
corona e buona fama, le ricchezze non sono comuni; in questo modo,
odiando l'avarizia e perseguendo la giustizia, elargendo ai bisognosi
le nostre sostanze, possiamo giungere ad alleviare i nostri peccati.
Dio ti ha fatto ricco; perché tu ti fai povero? Ti ha fatto ricco
affinché tu aiuti i bisognosi, affinché tu ti sciolga dai tuoi
peccati per la tua generosità verso gli altri; ti ha dato le ricchezze
non perché tu le rinchiuda a tua rovina, ma perché tu le effonda
a tua salvezza. E inoltre ha fatto sì che il loro possesso sia
incerto e instabile, per annientare l'impeto della folle passione
verso di esse. Infatti, chi ora le possiede non può esserne sicuro,
bensì vede tante insidie nascere intorno ad esse; ma se alla prosperità
andasse unita anche la sicurezza e la stabilità, a chi mai la
perdonerebbero? Davanti a chi si arresterebbero? Davanti a quale
vedova, davanti a quali orfani, davanti a quali poveri? Pertanto
non riteniamo un gran bene la ricchezza; un bene grande è possedere
non un patrimonio, ma il timore di Dio e la pietà tutta quanta.
Osserva dunque: se uno è giusto e ha molta sicurezza presso Dio,
anche se fosse il più povero degli uomini, può risolvere i mali
di quaggiù: gli basta solamente stendere le mani al cielo, innalzare
a Dio la sua invocazione, e varcherà le nubi! Si ripone tanto
oro, ed è più inutile di tutto il fango per risolvere i mali che
ci sovrastano, e non solo in questi rischi: se ci sopraggiunge
una malattia, o la morte, o qualcos'altro di simile, resta smascherata
tutta l'impotenza della ricchezza e la sua incapacità ad assicurare
contro gli eventi. In una cosa sembra che la ricchezza superi
la povertà: godere ogni giorno e saziarsi di squisitezze nei banchetti.
Ma si può ben vedere che questo si verifica anche alla tavola
dei poveri: essi godono d'una gioia che è maggiore di quella di
tutti i ricchi. E non meravigliatevi, né credete che sia un paradosso
quel che vi dico: ve lo chiarisco subito con l'esporvi di che
si tratta. Sapete infatti, senza dubbio, e ammettete tutti che
non è la qualità delle portate, ma la disposizione dei commensali
che crea la gioia nei convivi: se qualcuno quando si siede a mensa
ha fame, gusta il cibo, anche più misero, più d'ogni condimento,
d'ogni squisitezza e di mille leccornie. Chi invece, come fanno
i ricchi, non aspetta il bisogno, non attende l'appetito, per
sedersi a tavola, anche se vi trovasse dei dolci, non ne proverebbe
gusto, proprio perché il suo appetito non si è ancora svegliato...
E non solo riguardo al cibo, ma anche riguardo alle bevande si
può osservare questo: come l'appetito eccita il gusto più che
la qualità delle portate, così la sete suole rendere graditissima
la bevanda, anche se si bevesse solo acqua... E ciò lo si può
notare anche nel sonno. Non è infatti il materasso soffice, né
il letto montato in argento, né la tranquillità nella stanza,
né qualcosa di simile che ordinariamente rende dolce e facile
il sonno, ma piuttosto il lavoro e la fatica, e il coricarsi bisognosi
di riposo e già quasi addormentati... È opera della benignità
di Dio che le gioie si acquistino non con le ricchezze e con i
soldi, ma con la fatica e il travaglio, con la necessità e con
la saggezza. Ma non così i ricchi: pur giacendo su soffici letti,
spesso restano insonni per tutta la notte, e per quante ne escogitino,
non giungono a godere questa gioia. Il povero, invece, quando
si toglie dal lavoro quotidiano, ha le membra affrante e prima
ancora di coricarsi viene preso da un sonno profondo, soave, meritato,
e ottiene così la ricompensa, non piccola, delle sue oneste fatiche.
Dato dunque che il povero con più piacere dorme, beve e mangia,
che merito resta dunque alla ricchezza, privata anche del privilegio
che sembrava avere sulla povertà? Per questo, fin dall'inizio,
Dio soggiogò l'uomo alla fatica, non per castigarlo o punirlo,
ma per correggerlo e educarlo. Mentre Adamo conduceva una vita
inoperosa cadde dal paradiso; mentre l'Apostolo conduceva una
vita piena di fatiche e travagli, tanto da dire: Nella fatica
e nel travaglio sto lavorando giorno e notte (2Cor 11,27; 1 Tess.
6,9), fu rapito in paradiso e salì al terzo cielo. Non lamentiamoci
dunque della fatica e non rifiutiamo il lavoro: prima ancora che
nel regno dei cieli, ancor quaggiù ne riceveremo una grande mercede:
non solo la gioia, ma anche, ciò che è molto meglio, una salute
purissima. I ricchi infatti, oltre che dalla noia anche da molte
malattie sono sommersi; i poveri, invece, restano liberi dalle
mani dei medici. Che se poi cadono ammalati, presto si tirano
su, perché sono lontani da ogni mollezza e hanno un fisico robusto.
Crisostomo
Giovanni, Omelie sulle statue, 2,6-8
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