Giovanni Crisostomo

(344?-407)

                                                                    



Ingiustizia originale della ricchezza

Ma per favore, ditemi: da dove vi derivano le vostre ricchezze? Da chi le avete ricevute? "Dai miei nonni, tramite mio padre". Ebbene, sareste capaci di risalire a ritroso lungo la storia della vostra famiglia, e dimostrare che quanto possedete, lo possedete secondo giustizia? La verità è che non ne siete capaci. Il principio e la radice sono sempre, per forza, l'ingiustizia. Perché? Perché in principio Dio non fece ricco uno e povero un altro, né prese uno e gli diede grandi giacimenti auriferi, privando un altro dei benefici derivanti da questo rinvenimento. Nossignore. Dio pose al cospetto di tutti la medesima terra. E com'è che di questa, pur essendo comune a tutti, tu ora ne possiedi ettari ed ettari, e quell'altro neanche una zolla? "Li ho ereditati da mio padre!", mi replichi. "E lui, a sua volta, da chi li aveva ricevuti?". "Dai suoi antenati". In realtà, è necessario che risaliamo ad ancor prima, giungendo fino al principio... Ma supponiamo che la ricchezza di cui ora tu disponi non sia frutto di ingiustizia, né di qualsivoglia rapina, e che tu non sia in alcun modo responsabile di quel che ha rubato tuo padre. In questo caso, ciò che possiedi è comunque frutto di rapina, per quanto non sia stato tu a rubare. Ma ancora: supponiamo poi che non sia stato neppure tuo padre a rubare, ma che il suo denaro sia come d'improvviso scaturito da un punto della terra che nemmeno conosciamo. Ci è sufficiente perché possiamo dire che la ricchezza è buona? No di certo. Voi mi replicherete: "Ma neppure per dire che è malvagia!". Non è malvagia solo se tu non sei avaro e ne dai ai bisognosi. Molto bene: e non è forse male che uno solo possegga quelli che sono beni del Signore e che uno solo goda di quanto è comune? Non dice infatti la Scrittura: "Del Signore è la terra e tutto quanto contiene" (Sal 24[23],l)? Perché, se quel che possediamo appartiene al comune Signore, allora appartiene anche a quanti sono suoi servi, che è il caso nostro. Ciò che è di Dio, è tutto comune. Non ti rendi conto che questo stesso è l'ordine stabilito nelle grandi case? A tutti si dà la medesima razione di cibo, poiché esce dai granai del padrone. La dimora del signore è aperta nella stessa misura a tutti i servitori. Comuni sono pure tutte le realtà dell'impero: le città, le piazze, i passeggi, non sono forse cose comuni a tutti? E non ne partecipiamo tutti in eguale misura?

Crisostomo Giovanni in Omelia 12 sulla prima Lettera a Timoteo



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