Cipriano di Cartagine

(210 ca-258 ca.)

                                                                    



I beni secondo i ricchi

...Ti mostrerò allora quelle cose che l'ignoranza del mondo stima per beni. Vedrai che anche qui c'è da starsene alla larga. Ecco, sotto a quelli che tu credi siano onori, o alte cariche, o abbondanza di ricchezze, o potenza militare, o luccichio di porpora nei magistrati, o potestà piena nei prìncipi, sotto a tutto questo si nasconde il virus d'un male che accarezza; l'apparenza allegra e ridente della nequizia cela l'inganno e dietro la seduzione sta una calamità latente. È come un veleno che a bersi sembra una gradevole bevanda perché con astuzia e frode si è dato un sapore dolce ai succhi mortiferi: ma una volta trangugiato, si è bevuta la morte... Anche quelli che tu consideri ricchi, essi che continuano ad aggiungere poderi a poderi ed estendono sempre più al largo la loro proprietà davvero interminabile cacciando via dai confini i poveri, essi che sono carichi al massimo di oro e di argento e vivono tra montagne di fortune che accumulano o sotterrano, anche loro, tra i propri averi, sono nel tormento e nella trepidazione al pensiero che un ladro possa devastarglieli, o che un nemico li saccheggi o che l'invidia ostile di qualcuno più ricco non lo inquieti con liti e calunnie. Un tal uomo non può mangiare nella tranquillità, né prender sonno. Sospira a tavola, benché beva in coppe gemmate. E pur affondando poi in un letto morbido il suo corpo afflosciato dal gran mangiare, in mezzo a quelle piume non riesce a dormire. Quel disgraziato non capisce che s'è addossato un supplizio meraviglioso; che è tenuto in catene dall'oro; e che, più che possederle, le ricchezze, ne è posseduto. Ed ecco - quale detestabile cecità dell'anima e che densa caligine quella di una folle cupidigia! - pur potendosi svincolare e liberare di tutti questi pesi, continua a stare più dietro ai suoi beni crescenti, continua ad attaccarsi ostinatamente ai tesori accumulati che gli procurano tanta sofferenza. Questa gente non largheggia coi clienti; non dà niente ai bisognosi. Chiamano denaro proprio quello che con assidua fatica custodiscono sotto chiave a casa come fosse denaro di un altro, da cui non tirano fuori uno spicciolo né per gli amici, né per i figli, e neppure per se stessi. Possiedono solo per questo, perché non possieda un altro. E - guarda l'ironia delle parole! - chiamano un bene ciò che usano solo per fare del male.

Cipriano di Cartagine, A Donato, 11-12



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