Pax
Christi per convertirsi all'unico Vangelo cristiano
Don
Tonino per quale motivo lei consiglierebbe Pax Christi come luogo
in cui vivere e approfondire l'esperienza cristiana?
Perché
mi sembra un Movimento di cerniera tra i grandi problemi teorici,
come quello della pace, della giustizia, dei diritti umani, della
qualità della vita... e le concrete comunità ecclesiali:
parrocchie, gruppi, associazioni. Pax Christi si prefigge infatti,
come compito essenziale, quello di sollecitare l'attenzione della
Chiesa (dei Pastori ma anche della gente) sulla questione della
pace, e far diventare questo problema non accessorio alle tematiche
pastorali, ma fondamentale per esse. Perché la pace non
è un merletto che si aggiunge all'impegno della Chiesa,
bensì il filo che intesse l'intero ordito della sua pastorale.
Ma
può bastare l'impegno nei riguardi della pace, per far
sperimentare l'interezza dell'annuncio evangelico?
La
pace non è una delle mille "cose" che la Chiesa
evangelizza. Non è uno scampolo del suo vasto assortimento.
Non è un pezzo, tra i tanti, del suo repertorio. Ma è
l'unico suo annuncio. È il solo brano che essa è
abilitata a interpretare. Quando parla di pace, perciò,
il suo messaggio è già esauriente. Se è vero,
come dice san Paolo, che "Cristo è la nostra pace"
(Ef 2,14), non c'è da temere che la Chiesa parzializzi
l'annuncio evangelico, o trascuri altri aspetti dottrinali, o
decurti l'ampiezza della rivelazione, parlando solo di pace. Anzi,
per usare un'immagine, tutte le altre verità della Scrittura
non sono che i colori dell'arcobaleno in cui si scompone l'unico
raggio di sole: la pace.
Quali
sono i principali obiettivi che Pax Christi si pone in questo
tempo?
Aiutare
tutta la Chiesa a vivere lo shalom biblico, considerando l'annuncio
della pace come il principio architettonico della sua prassi pastorale.
Sollecitare, quindi, l'approfondimento teologico e riscoprire
la spiritualità della pace, da una parte. Fare aprire gli
occhi alla gente sulle tristissime situazioni di "non pace",
dall'altra. La violazione dei diritti umani, il problema della
fame che investe popoli interi, la corsa alle armi e il commercio
clandestino di esse, la militarizzazione crescente del territorio,
la logica di guerra sottesa a molte cosiddette "scelte di
civiltà", gli scudi stellari, certe visioni economiche
che deprimono la qualità della vita... sono forme di peccato
che rallentano l'avvento del regno di Dio. Non possono, perciò,
considerarsi temi estranei alla predicazione del Vangelo.
Che
ruolo vuole avere Pax Christi nell'odierna Chiesa italiana?
Un
ruolo di stimolo, perché le comunità ecclesiali
divengano più profetiche in tema di pace. Oggi sul coraggio
prevale spesso la prudenza. Sulla chiarezza, la neutralità.
Sul chiamare per nome le cose, il linguaggio sfumato. Non è
che ci sia spreco di parresia! Ce una icona bellissima negli Atti
degli Apostoli che dice che cosa è la parresia (Pietro
levatosi in piedi, con gli altri Undici, parlò a voce alta"
(2,14).
- Levatosi in piedi indica la fermezza
- Con gli altri Undici indica la comunione ecclesiale.
- Parlò ad alta voce esprime la chiarezza
Un altro ruolo che Pax Christi vuole esprimere è quello
di esplicitare e mettere in circolo lo straordinario magistero
(destinato diversamente a rimanere sepolto sotto valanghe di altri
messaggi) che la Chiesa sta producendo in tema di pace. È
urgente portare sino alla periferia tutto ciò su cui, non
solo il Papa, ma a volte anche i vescovi di piccole diocesi (si
pronunciano), affinché questo nutrimento dottrinale venga
metabolizzato dal tessuto ecclesiale.
Quale
rapporto c'è tra Pax Christi e gli altri Gruppi del laicato
"organizzato"?
Se
è vero che Pax Christi si caratterizza per l'attenzione
riguardante la spiritualità, la teologia, l'educazione
alla pace, è chiaro che il suo compito è quello
di animare gli altri Gruppi laddove c'è da portare questo
valore alle immediatezze concrete, sul versante cioè della
prassi. Non è quindi un rapporto di buon vicinato soltanto,
quasi che Pax Christi fosse una struttura collaterale che cerca
alleanze nelle altre strutture per portare avanti il discorso
della pace. Non vuole aggiungersi di fianco, ma suscitare dal
di dentro.
Con
quale risultato di coinvolgimento?
Lo
stile di Pax Christi all'interno dei gruppi ecclesiali non è
tanto quello di creare comportamenti unitari in ordine a certe
scelte concrete, ma quello di essere segno profetico che indichi,
in modo forte e talvolta paradossale, il valore che sta al di
là del segno stesso. I segni profetici non sono segni partitici.
Questi esigono consenso, quelli creano coscienza. Le varie obiezioni,
ad esempio, al servizio militare o alle spese militari, essendo
scelte che sono sotto il segno della profezia, non pretendono
l'univocità della prassi. Chi le pratica, però,
diviene testimone di pace, anche se scomodo.
Qual
è la maggiore forza di Pax Christi?
La
confidenza nel Signore. Una sottolineatura forte che si va facendo
strada nel nostro Movimento è quella della preghiera. La
pace, infatti, è un dono di Dio che si deve chiedere incessantemente
nella implorazione. La pace non è frutto solo delle cancellerie
o di particolari abilità diplomatiche: è essenzialmente
un "made in Cielo". Solo quando si è molto pregato,
vale la spesa pagare pedaggi personali molto costosi. Diversamente
anche i sacrifici più generosi sono sprecati.
E
la maggiore debolezza?
L'organizzazione,
che di proposito intendiamo mantenere fragile. Pax Christi vuole
essere movimento anche nella povertà intrinseca che tale
termine sottolinea
Abbiamo poche strutture, senza tessere
e senza organigrammi complicati.
Ma
il non avere tessere non è forse un modo per non misurarsi
con le cifre?
Tutti
i censimenti sono un po' sospetti perché, volere o no alimentano
le superbie corporative. A noi non importa sapere quante sono
le nostre forze. Quando un Movimento comincia a strutturarsi in
forme molto articolate, tende poi ad autoconservarsi. Noi siamo
convinti che, finché Pax Christi si manterrà nella
leggerezza organizzativa, sarà anche più incisiva
la sua azione.
Chi, invece della fionda di Davide, preferisce la corazza di Saul...
deve perdere molto tempo a lucidarla.
Quali
sono le principali urgenze del mondo cattolico d'oggi?
Quelle
che si riferiscono alla qualità della vita, da una parte.
E qui c'è tutto il discorso sui "sistemi di significato"
da riproporre al mondo, mai come oggi così assetato di
"senso". La saldatura, dall'altra. Mi spiego: noi, credenti
in Cristo morto e risuscitato, non siamo riusciti mai a comporre
pienamente la Parola di Dio e il vissuto concreto, la testimonianza
personale e la progettualità sociale, l'impegno locale
e i mutamenti planetari, la carità spicciola e la solidarietà
politica. Se non saldiamo queste cesure, ogni nostro impegno sarà
sempre affetto da un forte tasso di riduzionismo o antropologico
o teologico. E il mondo non volgerà mai lo sguardo a "Colui
che è stato trafitto" (Gv 19,37).
Quali
persone e quali letture hanno determinato ciò che lei è?
Sono
stato sempre in mezzo alla gente che soffre e ho sentito il travaglio
dei poveri che lottano per vivere, anzi per sopravvivere. Sono
stati gli anonimi, perciò, a trasmettermi il gusto dell'impegno,
e il sapore delle cose essenziali.
Quanto alle letture, non dico nulla, perché, abituati come
siamo a giudicare la bottiglia dall'etichetta, c'è pericolo
che non si assaggi il vino perché insospettiti dalle indicazioni
di marca. Lascio indovinare a voi. Nella speranza di sentirmi
dire che tra i libri che mi hanno formato... c'è il Vangelo.
Quando
era piccolo, che cosa avrebbe voluto fare da grande?
Sono
entrato molto presto in Seminario, e quindi ho pensato da sempre
che, divenuto sacerdote, avrei potuto aiutare la gente a trovare
ragioni forti per vivere. Prima ancora, mi sarebbe piaciuto fare
il falegname, perché sono di origini molto umili, tanto
che per continuare gli studi ho dovuto contare sull'aiuto sia
del parroco che della gente del mio paese.
Quali
interessi coltiva, nel tempo libero?
Oggi
considero come tempo libero l'andare tra la gente, nelle scuole,
nelle assemblee, nelle parrocchie. Questa non è mai una
fatica per me. Anche perché mi libera dal peso ossessionante
del telefono e del campanello di casa che squilla ogni momento.
Che
cosa la rende più contento, oggi, nel ripensare a tutta
la sua esperienza?
Ricevere
lettere che mi testimoniano la vicinanza e l'incoraggiamento di
persone umili che, avendomi conosciuto in qualche incontro, si
sono sentite aiutate dalle mie parole, o che, a loro volta, mi
assicurano il loro aiuto attraverso la preghiera.
E
di che cosa, invece, si affligge di più?
Mi
fa soffrire molto l'impossibilità di giungere a dare una
mano a tutti. Ho un'agenda sovraccarica di persone che chiedono
una visita, un sostegno, un appuntamento, del denaro, una soluzione
ai loro problemi... Si vorrebbe avere occhi e mani per ognuno,
ma non si riesce, e questo è il rammarico più grande.
Qual
è la domanda che si pone più frequentemente?
C'è
un passo di Isaia che dice: "Sentinella quanto resta della
notte?" (Is 21,11). È l'interrogativo che mi pongo
spesso anch'io. Per quanto tempo ancora, cioè, dobbiamo
continuare a batterci? In questa lotta contro le forze perverse
che opprimono l'uomo, c'è un traguardo che si avvicina,
o siamo destinati a giocare interminabili tempi supplementari
che si aggiungono l'uno all'altro senza fine? Ci sarà un
fischio finale che chiuderà la partita? Gli orizzonti della
Terra Promessa tarderanno ancora a delinearsi? E noi li varcheremo?
O ci tocca indicarli soltanto, come accadde a Mosé?
Lei
si sente un leader?
No,
se per leader si intende protagonista o capo carismatico. Tutti,
però, dobbiamo divenire punto di riferimento per i viandanti
che camminano con noi. Se infatti, come cristiani, siamo chiamati
a metterci alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi, ne
viene di conseguenza che, per coloro che sulla strada ci stanno
dietro, ognuno di noi deve divenire elemento di raccordo con Cristo
che cammina più avanti. L'uso della parola leader, in questo
senso, mi sta bene.
Quali
attese e speranze ha riguardo al Sinodo dei vescovi sulla vocazione
e la missione dei laici?
Adopero
una espressione che può sembrare oscura a primo colpo,
ma mi sembra efficace e sintetica: mi auguro che dalle riflessioni
sinodali esca fuori la figura del laico, come colui che porta
la veste battesimale nell'officina e la tuta di lavoro davanti
al battistero.
Come
descriverebbe se stesso, in trenta parole?
Un
buono a nulla. Ma capace di tutto, perché consapevole che,
quanto più ci si abbandona a Dio, tanto più si riesce
a migliorare la gente che ci sta attorno.
(14
maggio 1987)
(tratto
da "Le mie notti insonni" ed. Paoline)
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