Mons. Tonino Bello

 


Pax Christi per convertirsi all'unico Vangelo cristiano

Don Tonino per quale motivo lei consiglierebbe Pax Christi come luogo in cui vivere e approfondire l'esperienza cristiana?

Perché mi sembra un Movimento di cerniera tra i grandi problemi teorici, come quello della pace, della giustizia, dei diritti umani, della qualità della vita... e le concrete comunità ecclesiali: parrocchie, gruppi, associazioni. Pax Christi si prefigge infatti, come compito essenziale, quello di sollecitare l'attenzione della Chiesa (dei Pastori ma anche della gente) sulla questione della pace, e far diventare questo problema non accessorio alle tematiche pastorali, ma fondamentale per esse. Perché la pace non è un merletto che si aggiunge all'impegno della Chiesa, bensì il filo che intesse l'intero ordito della sua pastorale.

Ma può bastare l'impegno nei riguardi della pace, per far sperimentare l'interezza dell'annuncio evangelico?

La pace non è una delle mille "cose" che la Chiesa evangelizza. Non è uno scampolo del suo vasto assortimento. Non è un pezzo, tra i tanti, del suo repertorio. Ma è l'unico suo annuncio. È il solo brano che essa è abilitata a interpretare. Quando parla di pace, perciò, il suo messaggio è già esauriente. Se è vero, come dice san Paolo, che "Cristo è la nostra pace" (Ef 2,14), non c'è da temere che la Chiesa parzializzi l'annuncio evangelico, o trascuri altri aspetti dottrinali, o decurti l'ampiezza della rivelazione, parlando solo di pace. Anzi, per usare un'immagine, tutte le altre verità della Scrittura non sono che i colori dell'arcobaleno in cui si scompone l'unico raggio di sole: la pace.

Quali sono i principali obiettivi che Pax Christi si pone in questo tempo?

Aiutare tutta la Chiesa a vivere lo shalom biblico, considerando l'annuncio della pace come il principio architettonico della sua prassi pastorale. Sollecitare, quindi, l'approfondimento teologico e riscoprire la spiritualità della pace, da una parte. Fare aprire gli occhi alla gente sulle tristissime situazioni di "non pace", dall'altra. La violazione dei diritti umani, il problema della fame che investe popoli interi, la corsa alle armi e il commercio clandestino di esse, la militarizzazione crescente del territorio, la logica di guerra sottesa a molte cosiddette "scelte di civiltà", gli scudi stellari, certe visioni economiche che deprimono la qualità della vita... sono forme di peccato che rallentano l'avvento del regno di Dio. Non possono, perciò, considerarsi temi estranei alla predicazione del Vangelo.

Che ruolo vuole avere Pax Christi nell'odierna Chiesa italiana?

Un ruolo di stimolo, perché le comunità ecclesiali divengano più profetiche in tema di pace. Oggi sul coraggio prevale spesso la prudenza. Sulla chiarezza, la neutralità. Sul chiamare per nome le cose, il linguaggio sfumato. Non è che ci sia spreco di parresia! Ce una icona bellissima negli Atti degli Apostoli che dice che cosa è la parresia (Pietro levatosi in piedi, con gli altri Undici, parlò a voce alta" (2,14).
- Levatosi in piedi indica la fermezza
- Con gli altri Undici indica la comunione ecclesiale.
- Parlò ad alta voce esprime la chiarezza
Un altro ruolo che Pax Christi vuole esprimere è quello di esplicitare e mettere in circolo lo straordinario magistero (destinato diversamente a rimanere sepolto sotto valanghe di altri messaggi) che la Chiesa sta producendo in tema di pace. È urgente portare sino alla periferia tutto ciò su cui, non solo il Papa, ma a volte anche i vescovi di piccole diocesi (si pronunciano), affinché questo nutrimento dottrinale venga metabolizzato dal tessuto ecclesiale.

Quale rapporto c'è tra Pax Christi e gli altri Gruppi del laicato "organizzato"?

Se è vero che Pax Christi si caratterizza per l'attenzione riguardante la spiritualità, la teologia, l'educazione alla pace, è chiaro che il suo compito è quello di animare gli altri Gruppi laddove c'è da portare questo valore alle immediatezze concrete, sul versante cioè della prassi. Non è quindi un rapporto di buon vicinato soltanto, quasi che Pax Christi fosse una struttura collaterale che cerca alleanze nelle altre strutture per portare avanti il discorso della pace. Non vuole aggiungersi di fianco, ma suscitare dal di dentro.

Con quale risultato di coinvolgimento?

Lo stile di Pax Christi all'interno dei gruppi ecclesiali non è tanto quello di creare comportamenti unitari in ordine a certe scelte concrete, ma quello di essere segno profetico che indichi, in modo forte e talvolta paradossale, il valore che sta al di là del segno stesso. I segni profetici non sono segni partitici. Questi esigono consenso, quelli creano coscienza. Le varie obiezioni, ad esempio, al servizio militare o alle spese militari, essendo scelte che sono sotto il segno della profezia, non pretendono l'univocità della prassi. Chi le pratica, però, diviene testimone di pace, anche se scomodo.

Qual è la maggiore forza di Pax Christi?

La confidenza nel Signore. Una sottolineatura forte che si va facendo strada nel nostro Movimento è quella della preghiera. La pace, infatti, è un dono di Dio che si deve chiedere incessantemente nella implorazione. La pace non è frutto solo delle cancellerie o di particolari abilità diplomatiche: è essenzialmente un "made in Cielo". Solo quando si è molto pregato, vale la spesa pagare pedaggi personali molto costosi. Diversamente anche i sacrifici più generosi sono sprecati.

E la maggiore debolezza?

L'organizzazione, che di proposito intendiamo mantenere fragile. Pax Christi vuole essere movimento anche nella povertà intrinseca che tale termine sottolinea… Abbiamo poche strutture, senza tessere e senza organigrammi complicati.

Ma il non avere tessere non è forse un modo per non misurarsi con le cifre?

Tutti i censimenti sono un po' sospetti perché, volere o no alimentano le superbie corporative. A noi non importa sapere quante sono le nostre forze. Quando un Movimento comincia a strutturarsi in forme molto articolate, tende poi ad autoconservarsi. Noi siamo convinti che, finché Pax Christi si manterrà nella leggerezza organizzativa, sarà anche più incisiva la sua azione.
Chi, invece della fionda di Davide, preferisce la corazza di Saul... deve perdere molto tempo a lucidarla.

Quali sono le principali urgenze del mondo cattolico d'oggi?

Quelle che si riferiscono alla qualità della vita, da una parte. E qui c'è tutto il discorso sui "sistemi di significato" da riproporre al mondo, mai come oggi così assetato di "senso". La saldatura, dall'altra. Mi spiego: noi, credenti in Cristo morto e risuscitato, non siamo riusciti mai a comporre pienamente la Parola di Dio e il vissuto concreto, la testimonianza personale e la progettualità sociale, l'impegno locale e i mutamenti planetari, la carità spicciola e la solidarietà politica. Se non saldiamo queste cesure, ogni nostro impegno sarà sempre affetto da un forte tasso di riduzionismo o antropologico o teologico. E il mondo non volgerà mai lo sguardo a "Colui che è stato trafitto" (Gv 19,37).

Quali persone e quali letture hanno determinato ciò che lei è?

Sono stato sempre in mezzo alla gente che soffre e ho sentito il travaglio dei poveri che lottano per vivere, anzi per sopravvivere. Sono stati gli anonimi, perciò, a trasmettermi il gusto dell'impegno, e il sapore delle cose essenziali.
Quanto alle letture, non dico nulla, perché, abituati come siamo a giudicare la bottiglia dall'etichetta, c'è pericolo che non si assaggi il vino perché insospettiti dalle indicazioni di marca. Lascio indovinare a voi. Nella speranza di sentirmi dire che tra i libri che mi hanno formato... c'è il Vangelo.

Quando era piccolo, che cosa avrebbe voluto fare da grande?

Sono entrato molto presto in Seminario, e quindi ho pensato da sempre che, divenuto sacerdote, avrei potuto aiutare la gente a trovare ragioni forti per vivere. Prima ancora, mi sarebbe piaciuto fare il falegname, perché sono di origini molto umili, tanto che per continuare gli studi ho dovuto contare sull'aiuto sia del parroco che della gente del mio paese.

Quali interessi coltiva, nel tempo libero?

Oggi considero come tempo libero l'andare tra la gente, nelle scuole, nelle assemblee, nelle parrocchie. Questa non è mai una fatica per me. Anche perché mi libera dal peso ossessionante del telefono e del campanello di casa che squilla ogni momento.

Che cosa la rende più contento, oggi, nel ripensare a tutta la sua esperienza?

Ricevere lettere che mi testimoniano la vicinanza e l'incoraggiamento di persone umili che, avendomi conosciuto in qualche incontro, si sono sentite aiutate dalle mie parole, o che, a loro volta, mi assicurano il loro aiuto attraverso la preghiera.

E di che cosa, invece, si affligge di più?

Mi fa soffrire molto l'impossibilità di giungere a dare una mano a tutti. Ho un'agenda sovraccarica di persone che chiedono una visita, un sostegno, un appuntamento, del denaro, una soluzione ai loro problemi... Si vorrebbe avere occhi e mani per ognuno, ma non si riesce, e questo è il rammarico più grande.

Qual è la domanda che si pone più frequentemente?

C'è un passo di Isaia che dice: "Sentinella quanto resta della notte?" (Is 21,11). È l'interrogativo che mi pongo spesso anch'io. Per quanto tempo ancora, cioè, dobbiamo continuare a batterci? In questa lotta contro le forze perverse che opprimono l'uomo, c'è un traguardo che si avvicina, o siamo destinati a giocare interminabili tempi supplementari che si aggiungono l'uno all'altro senza fine? Ci sarà un fischio finale che chiuderà la partita? Gli orizzonti della Terra Promessa tarderanno ancora a delinearsi? E noi li varcheremo? O ci tocca indicarli soltanto, come accadde a Mosé?

Lei si sente un leader?

No, se per leader si intende protagonista o capo carismatico. Tutti, però, dobbiamo divenire punto di riferimento per i viandanti che camminano con noi. Se infatti, come cristiani, siamo chiamati a metterci alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi, ne viene di conseguenza che, per coloro che sulla strada ci stanno dietro, ognuno di noi deve divenire elemento di raccordo con Cristo che cammina più avanti. L'uso della parola leader, in questo senso, mi sta bene.

Quali attese e speranze ha riguardo al Sinodo dei vescovi sulla vocazione e la missione dei laici?

Adopero una espressione che può sembrare oscura a primo colpo, ma mi sembra efficace e sintetica: mi auguro che dalle riflessioni sinodali esca fuori la figura del laico, come colui che porta la veste battesimale nell'officina e la tuta di lavoro davanti al battistero.

Come descriverebbe se stesso, in trenta parole?

Un buono a nulla. Ma capace di tutto, perché consapevole che, quanto più ci si abbandona a Dio, tanto più si riesce a migliorare la gente che ci sta attorno.

(14 maggio 1987)

(tratto da "Le mie notti insonni" ed. Paoline)



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