In
principio la Trinità
Una
delle cose più belle e più pratiche messe in luce
dalla teologia in questi ultimi anni è che la SS. Trinità
non è solo il mistero principale della nostra fede, ma
è anche il principio architettonico supremo della nostra
morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una
dottrina da contemplare, ma un'etica da vivere. Non solo urta
verità tesa ad alimentare il bisogno di trascendenza, ma
una fonte normativa cui attingere per le nostre scelte quotidiane.
Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua
non certo per accontentare le nostre curiosità intellettuali,
quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega
le tre persone divine.
Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente
la comunione, che formano un solo Dio.
Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte
per estrazione, sono chiamate a vivere così intensamente
la solidarietà, da formare un solo uomo, l'uomo nuovo:
Cristo Gesù.
Sicché l'essenza della nostra vita etica consiste nel tradurre
con gesti feriali la contemplazione festiva del mistero trinitario,
scoprendo in tutti gli essere umani la dignità della persona,
riconoscendo la loro fondamentale uguaglianza, rispettando i tratti
caratteristici della loro distinzione.
C'è da aggiungere, poi, che nel cielo le ricchezze proprie
di una persona divina sono così trasferibili dall'una all'altra
(c'è, potremmo dire, un così intenso scambio culturale
tra Padre, Figlio e Spirito), che la teologia per indicare questo
fenomeno ha dovuto coniare un'espressione forse un po' difficile
per i non addetti ai lavori, ma estremamente significativa: la
comunicazione degli idiomi.
Ebbene, l'imperativo etico che ne deriva per coloro che vivono
sulla terra è che se tengono sotto sequestro le proprie
risorse spirituali o materiali senza metterle a disposizione degli
altri, non possono esimersi dall'accusa di appropriazione indebita.
Convivialità
delle differenze
Possiamo
concludere, allora, che il genere umano è chiamato a vivere
sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo:
la convivialità delle differenze.
Che significa?
Nel cielo, più persone mettono così tutto in comunione
sul tavolo della stessa divinità, che a loro rimane intrasferibile
solo l'identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente
l'essere Padre, l'essere Figlio, l'essere Spirito Santo.
Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo
archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione
sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé
solo ciò che fa parte del proprio identikit personale.
Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità
delle differenze. Definizione più bella non possiamo dare.
Perché siamo andati a cercarla proprio nel cuore della
SS. Trinità.
Le stesse parole che servono a definire il mistero principale
della nostra fede, ci servono a definire l'anelito supremo del
nostro impegno umano.
Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è
neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della
terra.
Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i
fratelli.
Convivialità delle differenze, appunto.
La
Trinità, tavola promessa
Ma
c'è di più: la vita trinitaria del cielo non è
solo un modulo da rovesciare sulla terra perché gli uomini
ne vivano le esigenze radicali con uno sforzo di imitazione fine
a se stessa.
La Trinità, cioè, non è solo un archetipo
da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno
avremo la sorte dì sederci, all'unica condizione che anche
sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno
alla stessa mensa della vita.
Dopo che sulla terra ci saremo impegnati a essere una sola cosa
nel Cristo, divenuti "Figli nel Figlio", prenderemo
posto "per ipsum, cum ipso et in ipso" al tavolo della
Santissima Trinità.
Come è dato vedere, il Signore Gesù se ci ha rivelato
questo mistero, non l'ha fatto certo per complicarci le idee.
Ma l'ha fatto per offrirci un principio permanente di critica
cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni personali
e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale
attraccheremo finalmente la nostra barca.
Sicché la Trinità non è una specie di teorema
celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma
è la sorgente da cui devono scaturire l'etica del contadino
e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli
obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici
dell'economia, le ragioni che fondano l'impegno per la pace e
gli orientamenti di fondo del diritto internazionale.
La Trinità, dunque, è una storia che ci riguarda.
Ed è a partire da essa che va pensata tutta l'esistenza
cristiana.
Bloch diceva che Dio è un padrone collocato così
in alto, che l'uomo, il servo, di fronte a lui rimane a bocca
asciutta.
Nulla di più falso, almeno per il nostro Signore, il quale,
se si è rivelato uno e trino, è perché vuol
far sedere il servo alla tavola delle sue ricchezze.
(Tratto
da: "La famiglia come laboratorio di pace", Prato 10
settembre 1988)
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