Ambrogio di Milano

(339-397)

                                                                    



ll re Acab, paradigma dei ricchi (cfr. 1Re 21)

La storia di Nabot è accaduta molto tempo fa, ma si rinnova tutti i giorni. Qual è il ricco che non ambisce di continuo alle cose altrui? Qual è il ricco che non aspira a strappare al povero il suo piccolo possesso e a invadere i confini dell'eredità dei suoi antenati? Chi si contenta di ciò che ha? Chi non viene eccitato nella propria cupidigia dal possesso del vicino? Non c'è stato solo un Acab; tutti i giorni Acab nasce di nuovo, e mai si estingue il suo seme in questo mondo... Ah, ricchi! Fino a dove aspirate a portare la vostra insensata cupidigia? Siete forse gli unici abitanti della terra? Per quale ragione voi espellete dai loro possessi quelli che hanno la vostra stessa natura, e rivendicate per voi soli il possesso di tutta la terra? La terra è stata creata in comune per tutti, ricchi e poveri: perché dunque vi arrogate il diritto esclusivo del suolo? Nessuno è ricco per natura, dal momento che questa tutti li genera egualmente poveri; veniamo al mondo nudi e senza oro né argento... La natura non fa distinzioni tra gli uomini, né al momento della nascita né in quello della morte. Tutti allo stesso modo li genera; e tutti, allo stesso modo, li riceve nel seno del sepolcro. Puoi forse stabilire delle classi tra i morti? Forza, scava nei sepolcri, e vedi se ti è possibile distinguere il ricco. Dissotterra una tomba, e vedi se riesci a riconoscere il bisognoso. Forse è possibile fare una distinzione, solo perché, insieme con il ricco, sono molte più cose a imputridire... Tu forse pensi in cuor tuo che, almeno finché sei in vita, possiedi, questo sì, cose in abbondanza. Ah, uomo ricco! Non immagini quanto sei povero e quanto bisognoso divieni, per stimarti ricco! Quanto più possiedi, più desideri. E se anche riuscissi ad acquistarti tutto quanto, seguiteresti nondimeno a essere indigente. Perché, con il lucro, l'avidità brucia sempre più forte, anziché estinguersi. Il ricco è tanto più tollerabile, quanto meno possiede... E voi, ricchi: togliere agli altri ciò che posseggono. Questo lo desiderate più ancora che possedere. Vi preoccupate più di spogliare i poveri che del vostro stesso reale vantaggio. Ma perché vi attraggono tanto le ricchezze della natura? Il mondo è stato creato per tutti, e voi, taluni pochi ricchi, vi sforzate di riservarvelo per voi soli. E non è questione solo della proprietà della terra: fino allo stesso cielo, l'aria e il mare, tutto reclamano per il proprio uso tal uni pochi ricchi... Voi, ricchi, tutto strappate ai poveri, e non lasciate loro nulla; e ciò nondimeno, la vostra pena è maggiore della loro... Siete voi in persona, per la vostra passione, a patire tribolazioni pari a quelle della stessa povertà. I poveri, per davvero, non hanno di che vivere. E voi non usate le vostre ricchezze, né le lasciate usare agli altri. Tirate l'oro fuori delle vene dei metalli, ma poi lo nascondete nuovamente. E quante vite rinchiudete insieme con quell'oro! lo in persona ho visto come veniva detenuto un povero, per costringerlo a pagare ciò che non teneva; ho visto come lo incarceravano, perché era mancato il vino dalla mensa del possidente; ho visto come metteva all'asta i propri figli, per differire il momento della condanna. Con la speranza di trovare chi lo possa aiutare in questa situazione di necessità, il povero ritorna alla propria casa e vede che non c'è speranza, che ormai non gli resta niente da mangiare. Piange un'altra volta la fame dei suoi figli, e si duole di non averli piuttosto venduti a colui che avrebbe potuto dare loro di che vivere. Ci pensa su ancora una volta, e prende la decisione di vendere qualcuno dei suoi figli. Ma il suo cuore si lacera tra due sentimenti opposti: la paura della miseria e l'affetto paterno. La fame gli reclama il denaro, la natura gli richiede di compiere il proprio dovere di padre. Molte volte ha preso la decisione di andare a morire insieme con i suoi figli, piuttosto che staccarsi da essi. E altrettante volte è ritornato sui suoi passi. Tuttavia, ora ha finito col vincere la necessità, non l'amore; e la stessa pietà ha dovuto cedere dinanzi al bisogno. Dio ti concede la prosperità proprio perché tu non possa accampare scuse di fronte all'obbligo di vincere e condannare la tua avarizia. Ma quanto egli ha fatto sorgere, per mezzo tuo, a vantaggio di molti, tu intendi riservartelo per te solo, o, per meglio dire ancora, intendi perderlo per te solo: poiché tu stesso guadagneresti di più nel condividerlo con gli altri, dal momento che la grazia della liberalità la riceve chi è d'animo liberale... Mi replicherai ciò che voi ricchi siete soliti dire: che non si deve soccorrere chi Dio, lui per primo, maledice e vuole che patisca la necessità. E io ti dico che i poveri non sono maledetti, dal momento che sta scritto: "Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli" (cfr. Mt 5,3). E non del povero, ma del ricco, dice la Scrittura: "Maledetto sia colui che riceve l'interesse per il grano" (cfr. Pr 11,26). D'altra parte, non tocca certo a te giudicare i meriti di ciascuno. Perché è proprio della misericordia non considerare i meriti ma aiutare nel bisogno; soccorrere il povero e non esaminare la sua giustizia. Poiché sta anche scritto: "Beato chi ha cura del bisognoso e del povero" (cfr. Sal 41[40],2). E chi è colui che ne ha cura? Ebbene, è chi ne ha compassione; chi comprende che quello è partecipe della sua stessa natura; chi sa che tanto il ricco come il povero sono stati fatti dal medesimo Dio; chi crede che destinare parte dei propri guadagni per i poveri sia la maniera conveniente di benedirli... La Scrittura, come dipinge bene i modi di fare dei ricchi! Si rattristano, se non possono rubare l'altrui; cessano di mangiare e digiunano, e non per riparare il proprio peccato, ma solo per preparare le proprie ribalderie. E talora li vedrai pure venire in chiesa, tutti compiti, umili, assidui, per ottenere che i loro delitti abbiano una buona riuscita. Ma Dio dice loro: "Non è questo il digiuno che mi aggrada. Sai qual è il digiuno che io voglio? Sciogliere le catene inique, liberare gli oppressi, spezzare ogni giogo iniquo, dividere il pane con l'affamato, accogliere nella propria casa chi è senza tetto... ". [Segue l'intera lunga citazione di Is 58]. Quanto dai al bisognoso, è un guadagno anche per te stesso. Quanto riduce il tuo capitale, accresce in realtà il tuo profitto. Il pane che dai ai poveri, è esso ad alimentarti. Perché chi prova compassione per il bisognoso, coltiva se stesso con i frutti della propria umanità. La misericordia, la si semina sulla terra, ma è in cielo che germoglia. La si pianta nel povero, ma è in Dio che la si moltiplica... Perché tu, al povero, non dai del tuo, ma semplicemente restituisci del suo. Perché ciò che è comune ed è stato creato per l'uso da parte di tutti, ebbene, di questo, ora tu solo ne stai usando. La terra è di tutti, non soltanto dei ricchi. Ma sono molto più numerosi quelli che non ne godono di quelli che ne sfruttano. Quando tu aiuti, dunque, non dai gratuitamente quel che non sei tenuto a dare, ma ti limiti a pagare un debito... Voi, viceversa, denudate gli uomini e rivestite le vostre pareti. Il povero nudo geme alla tua porta, e tu non ti degni di guardarlo in faccia, preoccupato come sei solamente dei marmi con cui ti appresti a ricoprire i tuoi pavimenti. Il povero ti domanda il pane e non lo ottiene, mentre i tuoi cavalli rodono l'oro del freno sotto i loro denti. Che severo giudizio stai preparando per te stesso, oh ricco! Il popolo ha fame e tu chiudi i tuoi granai. E' povero sul serio colui che ha i mezzi per liberare tante vite dalla morte e non lo fa! Le pietre del tuo anello avrebbero potuto salvare le vite di un intero popolo. E' il proprietario che deve essere signore della proprietà, non la proprietà signora del proprietario! Ma chiunque usa del patrimonio di cui dispone a proprio arbitrio, e non sa dare con larghezza né ripartire con i poveri, costui è servo dei propri averi, anziché signore di essi. Perché guarda alle ricchezze altrui come se fosse un domestico, e non usa di esse come se fosse un signore.

Ambrogio in Naboth l'israelita: in PL 14,765ss



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