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re Acab, paradigma dei ricchi (cfr. 1Re 21)
La
storia di Nabot è accaduta molto tempo fa, ma si rinnova tutti
i giorni. Qual è il ricco che non ambisce di continuo alle cose
altrui? Qual è il ricco che non aspira a strappare al povero il
suo piccolo possesso e a invadere i confini dell'eredità dei suoi
antenati? Chi si contenta di ciò che ha? Chi non viene eccitato
nella propria cupidigia dal possesso del vicino? Non c'è stato
solo un Acab; tutti i giorni Acab nasce di nuovo, e mai si estingue
il suo seme in questo mondo... Ah, ricchi! Fino a dove aspirate
a portare la vostra insensata cupidigia? Siete forse gli unici
abitanti della terra? Per quale ragione voi espellete dai loro
possessi quelli che hanno la vostra stessa natura, e rivendicate
per voi soli il possesso di tutta la terra? La terra è stata creata
in comune per tutti, ricchi e poveri: perché dunque vi arrogate
il diritto esclusivo del suolo? Nessuno è ricco per natura, dal
momento che questa tutti li genera egualmente poveri; veniamo
al mondo nudi e senza oro né argento... La natura non fa distinzioni
tra gli uomini, né al momento della nascita né in quello della
morte. Tutti allo stesso modo li genera; e tutti, allo stesso
modo, li riceve nel seno del sepolcro. Puoi forse stabilire delle
classi tra i morti? Forza, scava nei sepolcri, e vedi se ti è
possibile distinguere il ricco. Dissotterra una tomba, e vedi
se riesci a riconoscere il bisognoso. Forse è possibile fare una
distinzione, solo perché, insieme con il ricco, sono molte più
cose a imputridire... Tu forse pensi in cuor tuo che, almeno finché
sei in vita, possiedi, questo sì, cose in abbondanza. Ah, uomo
ricco! Non immagini quanto sei povero e quanto bisognoso divieni,
per stimarti ricco! Quanto più possiedi, più desideri. E se anche
riuscissi ad acquistarti tutto quanto, seguiteresti nondimeno
a essere indigente. Perché, con il lucro, l'avidità brucia sempre
più forte, anziché estinguersi. Il ricco è tanto più tollerabile,
quanto meno possiede... E voi, ricchi: togliere agli altri ciò
che posseggono. Questo lo desiderate più ancora che possedere.
Vi preoccupate più di spogliare i poveri che del vostro stesso
reale vantaggio. Ma perché vi attraggono tanto le ricchezze della
natura? Il mondo è stato creato per tutti, e voi, taluni pochi
ricchi, vi sforzate di riservarvelo per voi soli. E non è questione
solo della proprietà della terra: fino allo stesso cielo, l'aria
e il mare, tutto reclamano per il proprio uso tal uni pochi ricchi...
Voi, ricchi, tutto strappate ai poveri, e non lasciate loro nulla;
e ciò nondimeno, la vostra pena è maggiore della loro... Siete
voi in persona, per la vostra passione, a patire tribolazioni
pari a quelle della stessa povertà. I poveri, per davvero, non
hanno di che vivere. E voi non usate le vostre ricchezze, né le
lasciate usare agli altri. Tirate l'oro fuori delle vene dei metalli,
ma poi lo nascondete nuovamente. E quante vite rinchiudete insieme
con quell'oro! lo in persona ho visto come veniva detenuto un
povero, per costringerlo a pagare ciò che non teneva; ho visto
come lo incarceravano, perché era mancato il vino dalla mensa
del possidente; ho visto come metteva all'asta i propri figli,
per differire il momento della condanna. Con la speranza di trovare
chi lo possa aiutare in questa situazione di necessità, il povero
ritorna alla propria casa e vede che non c'è speranza, che ormai
non gli resta niente da mangiare. Piange un'altra volta la fame
dei suoi figli, e si duole di non averli piuttosto venduti a colui
che avrebbe potuto dare loro di che vivere. Ci pensa su ancora
una volta, e prende la decisione di vendere qualcuno dei suoi
figli. Ma il suo cuore si lacera tra due sentimenti opposti: la
paura della miseria e l'affetto paterno. La fame gli reclama il
denaro, la natura gli richiede di compiere il proprio dovere di
padre. Molte volte ha preso la decisione di andare a morire insieme
con i suoi figli, piuttosto che staccarsi da essi. E altrettante
volte è ritornato sui suoi passi. Tuttavia, ora ha finito col
vincere la necessità, non l'amore; e la stessa pietà ha dovuto
cedere dinanzi al bisogno. Dio ti concede la prosperità proprio
perché tu non possa accampare scuse di fronte all'obbligo di vincere
e condannare la tua avarizia. Ma quanto egli ha fatto sorgere,
per mezzo tuo, a vantaggio di molti, tu intendi riservartelo per
te solo, o, per meglio dire ancora, intendi perderlo per te solo:
poiché tu stesso guadagneresti di più nel condividerlo con gli
altri, dal momento che la grazia della liberalità la riceve chi
è d'animo liberale... Mi replicherai ciò che voi ricchi siete
soliti dire: che non si deve soccorrere chi Dio, lui per primo,
maledice e vuole che patisca la necessità. E io ti dico che i
poveri non sono maledetti, dal momento che sta scritto: "Beati
i poveri, perché di essi è il regno dei cieli" (cfr. Mt 5,3).
E non del povero, ma del ricco, dice la Scrittura: "Maledetto
sia colui che riceve l'interesse per il grano" (cfr. Pr 11,26).
D'altra parte, non tocca certo a te giudicare i meriti di ciascuno.
Perché è proprio della misericordia non considerare i meriti ma
aiutare nel bisogno; soccorrere il povero e non esaminare la sua
giustizia. Poiché sta anche scritto: "Beato chi ha cura del bisognoso
e del povero" (cfr. Sal 41[40],2). E chi è colui che ne ha cura?
Ebbene, è chi ne ha compassione; chi comprende che quello è partecipe
della sua stessa natura; chi sa che tanto il ricco come il povero
sono stati fatti dal medesimo Dio; chi crede che destinare parte
dei propri guadagni per i poveri sia la maniera conveniente di
benedirli... La Scrittura, come dipinge bene i modi di fare dei
ricchi! Si rattristano, se non possono rubare l'altrui; cessano
di mangiare e digiunano, e non per riparare il proprio peccato,
ma solo per preparare le proprie ribalderie. E talora li vedrai
pure venire in chiesa, tutti compiti, umili, assidui, per ottenere
che i loro delitti abbiano una buona riuscita. Ma Dio dice loro:
"Non è questo il digiuno che mi aggrada. Sai qual è il digiuno
che io voglio? Sciogliere le catene inique, liberare gli oppressi,
spezzare ogni giogo iniquo, dividere il pane con l'affamato, accogliere
nella propria casa chi è senza tetto... ". [Segue l'intera lunga
citazione di Is 58]. Quanto dai al bisognoso, è un guadagno anche
per te stesso. Quanto riduce il tuo capitale, accresce in realtà
il tuo profitto. Il pane che dai ai poveri, è esso ad alimentarti.
Perché chi prova compassione per il bisognoso, coltiva se stesso
con i frutti della propria umanità. La misericordia, la si semina
sulla terra, ma è in cielo che germoglia. La si pianta nel povero,
ma è in Dio che la si moltiplica... Perché tu, al povero, non
dai del tuo, ma semplicemente restituisci del suo. Perché ciò
che è comune ed è stato creato per l'uso da parte di tutti, ebbene,
di questo, ora tu solo ne stai usando. La terra è di tutti, non
soltanto dei ricchi. Ma sono molto più numerosi quelli che non
ne godono di quelli che ne sfruttano. Quando tu aiuti, dunque,
non dai gratuitamente quel che non sei tenuto a dare, ma ti limiti
a pagare un debito... Voi, viceversa, denudate gli uomini e rivestite
le vostre pareti. Il povero nudo geme alla tua porta, e tu non
ti degni di guardarlo in faccia, preoccupato come sei solamente
dei marmi con cui ti appresti a ricoprire i tuoi pavimenti. Il
povero ti domanda il pane e non lo ottiene, mentre i tuoi cavalli
rodono l'oro del freno sotto i loro denti. Che severo giudizio
stai preparando per te stesso, oh ricco! Il popolo ha fame e tu
chiudi i tuoi granai. E' povero sul serio colui che ha i mezzi
per liberare tante vite dalla morte e non lo fa! Le pietre del
tuo anello avrebbero potuto salvare le vite di un intero popolo.
E' il proprietario che deve essere signore della proprietà, non
la proprietà signora del proprietario! Ma chiunque usa del patrimonio
di cui dispone a proprio arbitrio, e non sa dare con larghezza
né ripartire con i poveri, costui è servo dei propri averi, anziché
signore di essi. Perché guarda alle ricchezze altrui come se fosse
un domestico, e non usa di esse come se fosse un signore.
Ambrogio
in Naboth l'israelita: in PL 14,765ss
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