Non
si devono approvare coloro che scacciano dalla città gli estranei
Non
si devono affatto approvare coloro che scacciano dalla città gli
estranei, li allontanano proprio nel tempo in cui dovrebbero aiutarli,
li estromettono dalla vita della città, negano loro i beni prodotti
dal suolo per tutti, spezzano rapporti comuni ormai consolidati.
Con quelli che avevano prima comuni diritti, non vogliono più
dividere i sussidi necessari. Le fiere non cacciano le fiere,
e l'uomo allontana l'uomo. Le bestie ritengono comune a tutti
il vitto offerto dalla terra. Esse aiutano gli individui della
propria specie, e l'uomo li combatte; egli che non dovrebbe considerare
estraneo a sé tutto ciò che in qualche modo è umano. Quanto più
retto il modo di agire di un prefetto dell'Urbe! Mentre la fame
tormentava la città e, come avviene in questi casi, il popolo
chiedeva che si allontanassero gli stranieri egli, già avanzato
in età e più di ogni altro preoccupato, data la sua carica, convocò
i cittadini più ricchi e più in vista e chiese loro di decidere
pubblicamente, ricordando quanto fosse grave allontanare gli stranieri
e come sia togliere all'uomo la propria umanità negare il cibo
a chi muore di fame. Non sopportiamo che i cani restino digiuni
presso la nostra tavola, e ne allontaniamo gli uomini. Ricordò
quanto fosse inutile la morte di tanti popoli oppressi dalla carestia,
e quanto fosse inutile per la città che morissero tanti uomini,
i quali prima le erano di aiuto o nella produzione di beni di
consumo o nel loro commercio. A nessuno giova la fame altrui:
si possono protrarre i giorni tutt'al più, non togliere il bisogno.
Anzi, con la morte di tanti lavoratori, con la sparizione di tanti
agricoltori, ne avrebbe sofferto per sempre il vettovagliamento.
Noi dunque allontaniamo e non vogliamo nutrire nella carestia
questi che ci hanno sempre nutrito; e quanti sono i servizi che
in questo stesso tempo essi ci prestano! Non di solo pane vive
l'uomo (Dt 8,3). Sono la nostra famiglia, sono nostri parenti:
rendiamo loro ciò che abbiamo ricevuto. Ma temiamo che il bisogno
ci opprima. Anzitutto la misericordia non è mai un danno, ma un
aiuto. Poi le vettovaglie necessarie per loro, compriamole a prezzo
d'oro, facendo una colletta. Se questi vengono a mancarci, pensiamo
forse di trovare altri agricoltori? Quanto è più facile mantenere
che comprare i lavoratori! E dove potrai un giorno trovarli, come
potrai rimpiazzarli? E aggiungi, se pur li trovi, che non li conosci,
che sono di costumi diversi, che puoi calcolarne il numero, non
puoi certo calcolarne la laboriosità. Non aggiungo altro. Si fece
una colletta, si comprò il frumento. Così non diminuirono le scorte
della città e si poterono mantenere gli stranieri. E quanto valse
agli occhi di Dio l'opera di quel vecchio santo quanta gloria
gli procurò davanti agli uomini! Davvero fu benemerito del suo
ufficio, perché poté dire all'imperatore, mostrandogli tutto il
popolo della provincia: Tutti questi io ti ho conservato; essi
vivono per l'interessamento del tuo senato, la tua curia li ha
strappati dalla morte. Quanto più utile ciò di quanto avvenne
recentemente a Roma: furono cacciati dalla città, pur così grande,
anche quelli che tanti anni avevano in essa trascorsi; se ne andarono
piangendo con i loro figli. E si pianse la loro partenza, come
se fossero stati cittadini. Furono interrotti rapporti di anni,
furono stroncate parentele! Eppure ci si aspettava un anno fertile.
Solo alla città l'approvvigionamento di frumento era per il momento
difficile. Ci si poteva aiutare, se si fosse chiesto frumento
agli itali, i cui figli invece si allontanavano. Nulla è più vergognoso
che allontanare qualcuno come estraneo, cacciare via direi quasi
il proprio fratello. Perché cacci chi si nutre del suo? Perché
allontani chi nutre te stesso? Tieni lo schiavo, e cacci il fratello?
Ricevi il frumento, e non ne serbi il ricordo? Esigi il vitto,
e non ne sei grato? Che sconcezza e inutilità in tutto ciò! Come
può essere utile ciò che è sconveniente?
Ambrogio,
I doveri, 3,45-50
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