La
giustizia, supremo principio dell'ordine
Vi
è una natura in cui non vi è male alcuno, o anche non vi può essere
male alcuno; ma non può esistere una natura in cui non vi sia
nessun bene. Per questo, neppure la natura del diavolo, in quanto
natura, è male: la perversità la rende cattiva. Perciò egli, pur
non restando nella verità, non sfuggì al giudizio della verità:
non rimase nella tranquillità dell'ordine, perciò non sfuggì al
potere dell'Ordinatore. La bontà di Dio, che appare nella sua
natura, non lo sottrasse alla giustizia di Dio, che lo ordina
alla pena. Dio non castiga in lui, il bene da lui, creato, ma
il male che il demonio commise. Non priva la natura di tutto ciò
che le diede, ma qualcosa gli toglie e qualcosa gli lascia, affinché
ci sia colui che soffre per la sottrazione. Il dolore stesso è
testimone del bene tolto e del bene lasciato. Chi pecca è peggiore
se si allieta di aver recato danno al retto ordine. Ora chi soffre,
se non ne guadagna nulla di bene, si rattrista per il danno della
sua salute. Ma sia il retto ordine, sia la salute sono un bene,
e ci si deve addolorare per la perdita del bene, non certo allietarsene
(se tuttavia non ci sia una compensazione migliore, ed è migliore
l'equità dell'animo che la salute del corpo); perciò è senz'altro
più conveniente che l'ingiusto soffra nel castigo, piuttosto che
si allieti nella colpa. Come dunque nel peccato la gioia di aver
abbandonato il bene è testimonianza di cattiva volontà, così nel
castigo il dolore di aver perso il bene è testimonianza di natura
buona. Chi soffre per aver perso la pace della propria natura,
soffre per qualche rimasuglio di quella pace, il quale fa sì che
egli abbia amica la propria natura. Se dunque nell'estremo supplizio
gli iniqui ed empi piangono la perdita, fra le pene, di alcuni
loro beni naturali e sentono che loro li ha giustissimamente tolti
Dio, da essi disprezzato pur avendo quelli loro benignissimamente
elargiti, tutto ciò è nel retto ordine. Perciò Dio, sapientissimo
creatore e giustissimo ordinatore di ogni natura, che ha istituito
il genere umano mortale a coronamento di tutte le bellezze terrene,
elargì agli uomini alcuni beni convenienti a questa vita, cioè
la pace temporale, quale può godersi in questa vita mortale, che
si ha nella salute, nell'incolumità e nell'unione sociale ai propri
simili; e inoltre tutto ciò che è necessario per difendere o recuperare
questa pace, come ciò che si addice e conviene ai sensi: la luce,
la notte, l'aura respirabile, l'acqua potabile e tutto ciò che
è necessario per il nutrimento, il vestito, la cura e l'ornamento
del corpo. E tutto ciò, a questo patto veramente giusto: chi fa
retto uso di tali beni caduchi consoni alla pace dei mortali,
riceverà dei beni più grandi e migliori, cioè la stessa pace dell'immortalità
e, ciò che ad essa è consono, la gloria e l'onore della vita eterna
per godere di Dio e del prossimo in Dio; chi invece ne fa uso
cattivo, non riceverà quei beni e perderà questi.
Agostino,
La città di Dio, 19,13
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