Agostino di Ippona

(354-430)

                                                                    



L'amore per le realtà eterne è un giogo soave

Quale grave sacrificio impone la vita eterna ai suoi amanti, quando esige di essere amata allo stesso modo che questa nostra vita è amata dai suoi innamorati? È forse cosa degna o almeno tollerabile che, mentre si trascurano tutte le cose che si amano nel mondo per poter conservare la vita destinata dopo un breve spazio a finire, per conservarla - dico - almeno per quel breve spazio nel mondo, non si disprezzi egualmente il mondo, per conseguire la vita che è senza fine presso colui dal quale fu creato il mondo? Or non è molto, quando Roma medesima, sede della potenza più famosa del mondo, era devastata dall'invasione dei barbari [i visigoti condotti da Alarico, nell'anno 410], quante persone innamorate di questa vita temporale, pur di prolungarla nell'infelicità e riscattarla nella miseria, donarono tutti i beni che avevano in serbo non solo per renderla piacevole e bella, ma per sostentarla e proteggerla? Certo gli innamorati sono soliti recare molti doni alle donne che amano, per possederle; costoro invece non possederebbero la loro amata, se amandola non l'avessero resa povera, né le farebbero molti doni, ma piuttosto la spoglierebbero di tutto, per non farsela portare via dal nemico. Ma io non voglio biasimare la loro perspicacia: chi ignora infatti che essa sarebbe perita se non fossero stati distrutti quei beni già messi in serbo per lei? Con tutto ciò, alcuni hanno perso prima questi tesori e subito dopo l'amata; altri, pur disposti a perdere ogni bene per amore di lei, l'hanno persa prima. Da questi esempi dobbiamo trarre monito per ricordarci quali ardenti innamorati dobbiamo essere della vita eterna, sì da disprezzare, per amore di essa, ogni cosa superflua, dal momento che per questa vita transitoria furono disprezzati perfino i beni ad essa indispensabili. Noi invece non spogliamo, come fanno quelli, la nostra amata per conservarla, ma, per ottenere la vita eterna, facciamo servire la vita temporale come un'ancella più libera da impedimenti, se non la teniamo legata con vincoli di ornamenti inutili e non l'appesantiamo con fardelli di pensieri dannosi, ma porgiamo ascolto al Signore, che ci promette nel modo più veridico la vita eterna degna d'essere desiderata con ardentissimo amore e che ci grida come in un'assemblea di tutto il mondo: Venite da me, voi tutti che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre; poiché il mio giogo è soave e il mio carico è leggero (Mt 11,28-30). Questa lezione di santa umiltà scaccia dall'animo la vana e torbida cupidigia, avida di beni non sottoposti al nostro potere, e in qualche modo la fa esalare. Ci si affanna infatti quando si ricercano e amano molti beni, per il cui acquisto e possesso non è sufficiente la volontà, poiché non ha il potere necessario a raggiungerli. La vita giusta, invece, noi l'abbiamo quando la vogliamo, giacché il volerla pienamente è già la giustizia, e la giustizia, per essere perfetta, non richiede altro che una perfetta volontà. Guarda se c'è fatica, dove è sufficiente il volere. Ecco perché divinamente fu detto: Pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Dov'è pace, ivi è tranquillità, ivi è il termine di ogni desiderio e non c'è alcun motivo di penare. Ma a far sì che questa volontà sia piena, occorre che sia sana; sarà sana poi se non respingerà il medico per grazia del quale soltanto può esser risanata dal male di desideri nocivi. Orbene, il medico è proprio colui che ad alta voce proclama: Venite da me voi tutti che siete affaticati, e dice che il suo giogo è dolce e lieve il suo peso, poiché quando per mezzo dello Spirito Santo sarà stata diffusa la carità nei nostri cuori (cf. Rm 5,5), si amerà certo ciò che ci verrà comandato; il giogo di Cristo non sarà duro né gravoso, se sotto questo unico giogo quanto meno superbamente tanto più liberamente serviremo Dio. Questo è l'unico fardello da cui il portatore non è aggravato, ma alleviato. Se si ama la ricchezza, venga custodita là dove non può perire; se si ama l'onore, lo si riponga là dove non è onorato se non chi lo merita; se si ama la salute, si aspiri a conseguirla là dove per essa non si teme più quando si sia ottenuta; se si ama la vita, la si acquisti là dove non è troncata da nessuna morte.

Agostino, Le Lettere, II, 127,4-5 (ad Armentario e Paolina)



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