"Sono venuto a proclamare
l'anno di grazia del Signore"

                                                                    (Lc 4,19)



Per celebrare il Giubileo senza travisarne il significato originario, anzi per viverlo nella sua interezza, mi sembra necessaria un'attenta rilettura della tradizione sabbatica e giubilare, nelle Scritture ebraiche e in quelle cristiane, che risalga nel tempo fino al grande evento fondante della fede di Israele che fu l'Esodo, la liberazione dalla schiavitù egiziana operata da Dio per mezzo di Mosé.
Le radici remote della tradizione che istituì il Giubileo non vanno cioè ricercate in un momento liturgico, ma nella condizione disperata di un popolo che aveva perso la propria dignità sotto il peso della schiavitù e al quale Dio si fece incontro, rivelandosi come il Liberatore. Sarà questo il primo articolo del credo biblico: "Jahweh è colui che ci ha liberato dalla schiavitù in Egitto e sempre ci libererà ".
Durante l'Esilio babilonese, questa fede crescerà ulteriormente fino a riconoscere che il "Dio di Israele" è in realtà anche Dio di tutti gli altri popoli, perché Egli è il Solo Vero Dio, padre-madre, Signore di tutta la terra.

Così nacque e si strutturò l'ideologia biblica, cioè l'idea centrale attorno alla quale prese forma il messaggio dei due Testamenti. Il Signore Dio è padre-madre di tutto il genere umano e perciò vuole che i beni della Creazione siano divisi e goduti in parti uguali da tutti i suoi figli. Questa consapevolezza, espressa in forma di parabola nel racconto del paradiso terrestre, verrà posta nei primi capitoli del libro della Genesi, all'inizio della Bibbia, come condizione imprescindibile per vivere l'alleanza con Dio. Cedere alla logica egoistica della concentrazione della proprietà terriera in poche mani e dell'accumulo illimitato della ricchezza a danno altrui, significa non solo violare la giustizia sociale, ma ancor più offendere la paternità-maternità di Dio e profanare la sua signoria sul mondo.
Di ciò si convinse Israele mentre lasciato l'Egitto si dirigeva verso la terra promessa.

Se Dio li aveva liberati dall'oppressione straniera, non era certo per rinnovare la medesima situazione in casa propria, ma perché sognava una società completamente nuova: un'economia di giustizia, una politica posta al servizio della dignità di tutti, una religione veramente libera!
Per questo appena giunti in Palestina, Giosuè, succeduto a Mosé, fece rinnovare agli israeliti l'Alleanza del Sinai in una solenne cerimonia, l'Anfizionia di Sichem, in cui le tribù si confederano in un solo popolo, Israele, e si diedero un sistema economico, politico e religioso che soddisfacesse queste aspirazioni.

Fu il momento in cui l'Ideologia dovette concretamente trasformarsi in Utopia, cioè in un grande progetto ideale da realizzare, il cui principio non sarebbe mai tramontato: la terra appartiene a Dio e quindi verrà divisa in parti uguali tra tutti i Suoi figli, che ne avranno l'usufrutto ma non la proprietà assoluta, secondo un concetto di "proprietà privata" completamente diverso dal nostro, che evidentemente non è l'unico possibile. Israele rifiuta perciò l'istituto della Monarchia, che comporta il sistema tributario (tutto appartiene al re - terra e popolo - e il tributo gli è dovuto in alimenti, servi e soldati) e dal 1200 al 1030 a. C. saranno i Giudici (leader carismatici inviati da Dio) a governare Israele. Ma non durò a lungo… dal 1030, col sorgere della Monarchia (Saul, Davide, Salomone…), si indebolisce la portata ideologico-teologica degli inizi e Israele si avvia ad essere un popolo con un sistema economico-politico-religioso come tutti gli altri.
Compaiono allora i profeti, mandati da Dio a rimproverare i continui tradimenti all'Alleanza e a denunciare ogni tipo di sfruttamento nei confronti dei poveri. E' in questo momento che si rende necessaria l'istituzione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico e del Giubileo, per difendere l'ideologia e l'utopia caratteristiche della fede biblica di fronte al sistema monarchico tributario.
I testi biblici di riferimento per la tradizione sabbatica - in ordine cronologico - sono: Es 34,21; Es 23,12; Es 20,8-11; Dt 5,12-15; Gn 2,1-3; Es 31,13-18; Es 35,1-3; Lv 23,3.

In generale va notato come il divieto di lavorare in giorno di sabato si carica di sempre maggiori significati: se all'inizio si fondava unicamente sul diritto di Dio a decretare un tempo di riposo per la terra che gli appartiene, poi acquista un valore sociale, tutelando i diritti degli schiavi e degli animali e ponendo un freno all'accumulo illimitato dei mezzi di produzione. Diventa poi celebrativo della liberazione dall'Egitto e infine durante l'Esilio una necessità per poter ricostruire la coscienza e la fede degli esiliati, abbruttiti dal lavoro coatto. Il sabato è dunque importante per ricostruirsi come persona e poter ricostruire l'identità del Popolo di Dio. Durante l'Esilio babilonese venne così composto il racconto della creazione ( Gn 1,1-2,4a), dove si evidenzia il riposo di Jahweh, per legittimare il riposo degli schiavi ebrei. Era il riposo del sabato che permetteva di lavorare in modo umano come Jahweh. Il sabato assume pertanto un significato al tempo stesso liberatore, sociale e religioso.

Terminato l'esilio, il sabato si trasformò poco a poco in una imposizione legalista e oppressiva.
I sacerdoti mutarono il significato liberatore del sabato e lo usarono come strumento sacro di potere. In assenza della monarchia erano loro infatti gli unici ad esercitarlo. Il sabato pertanto non fu più considerato santo come riposo, con tutto il suo significato teologico, sociale e liberatore, ma santo per le azioni cultuali compiute nel tempio e nelle case. Si proibisce di lavorare per poter celebrare il culto, giungendo per fino ad imporre il rispetto del sabato con la pena di morte. Contro questa perversione della tradizione del sabato reagirà con fermezza Gesù: "il sabato è stato istituito per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Mc 2,23-28, cfr. Mt 12,1-8 / Lc 6,1-5).
I testi di riferimento sull'anno sabbatico e l'anno del Giubileo sono: Es 23,10-11; Es 21,1-11; Dt 15,1-18; Ger 34,8-18; Is 61,1-2; Lv 25, 1-55; Nem 5,1-13.

L'anno giubilare era invece l'anno culmine dopo sette anni sabbatici: 7x7 = 49 nel quale si trasferirono le caratteristiche dell'anno sabbatico, quando tornati dall'Esilio, si comprese a malincuore che non era realistico aspettarsi un'osservanza puntuale di questo. L'anno 50 dunque fu istituito come Giubileo, anno di liberazione e di profonde trasformazioni strutturali, nel quale erano comandate tre azioni principali:

1° il riposo della terra,
2° il recupero delle terre e dei beni alienati per i debiti
3° la liberazione degli schiavi.

La liberazione degli schiavi era prima dell'esilio ogni sette anni, ora ogni cinquant'anni. Questo è un regresso, e perciò si istituisce la funzione del Goel o liberatore, che avrebbe potuto riscattare gli schiavi e i possedimenti prima dell'anno cinquanta. In ogni caso questa legislazione del Levitico non annullò, almeno ufficialmente, la tradizione anteriore, molto più radicale, dell'anno sabbatico.

In sintesi: la tradizione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico, e dell'anno giubilare, è una tradizione antica, che cerca di proteggere la vita del clan dall'eccessivo sfruttamento, dalla concentrazione della terra e dall'accumulo della ricchezza, e che pone un limite preciso ad ogni schiavitù per debiti. La tradizione sabbatica e giubilare esige una rottura storica che permette alla terra e alle persone di recuperare la loro libertà. Nella teologia di questa tradizione, la terra e le persone appartengono a Dio e nessuno può appropriarsene in forma illimitata o ingiusta. La parola "Giubileo" viene dal latino "iubilaeus", che fu presa direttamente dall'ebraico "Yobel". Yobel significa originariamente ariete, poi indicò il corno dell'ariete usato come tromba per annunciare l'anno del Giubileo, e finalmente significò schiettamente giubilo o Giubileo. Esprime l'allegria della terra, degli schiavi e degli sfruttati in generale, quando si suonava il corno e si annunciava un anno sabbatico o giubilare. Questo tocco del corno era, certamente, una disgrazia per i potenti, che "perdevano" i loro schiavi e tutte le proprietà strappate al popolo che non aveva potuto pagare i tributi e i debiti.

Il sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare, esprimono il potere di Dio e la sua volontà liberatrice, che interviene nella nostra storia, nel tempo e nello spazio, in favore dei poveri, degli indebitati, degli schiavi, degli schiacciati e dei falliti a causa della dominazione. Anno sabbatico, Giubileo, e Regno di Dio appartengono alla medesima tradizione e teologia e sono un riferimento basilare per l'interpretazione di tutta la Storia della Salvezza.

Furono da prima i sacerdoti a formulare questa istituzione nell'ambito della Legge, al tempo delle riforme dei re Ezechia e Giosia (nel 622 a.C. il sacerdote Elkia annunciò il ritrovamento del libro della Legge - il Deuteronomio - nel tempio), poi i profeti ne divennero i più convinti sostenitori. I profeti pre-esilici, Amos, Geremia, Sofonia ed il I Isaia, lottarono senza successo per difendere questa tradizione, minacciando l'abbandono da parte di Dio per l'infedeltà del popolo e dei suoi capi. In seguito, quando caddero prima Samaria e poi anche Gerusalemme e fu l'Esilio a Babilonia, il movimento profetico lesse tutto ciò come il risultato dell'infedeltà a quelle prescrizioni e della diffusa oppressione dei poveri. Infine i profeti post-esilici, Ezechiele, il III Isaia e gli altri, mostrano la volontà di ricostruire la coscienza del popolo non già dalle istituzioni civili o religiose e nemmeno dagli edifici (il Tempio), ma piuttosto dalla tradizione sabbatica e giubilare.

Giungiamo così alle soglie del Nuovo Testamento, quando Gesù si presenta nella sinagoga di Nazareth ad un popolo oppresso dai dominatori romani e dai sacerdoti latifondisti, applicando a sé la profezia di Is 61, 1-2, nella quale ravvisiamo le dimensioni fondamentali della missione del Cristo e di una autentica Spiritualità cristiana: (Luca 4, 16-21).

Alla luce di questo avvenimento però non è più sufficiente una semplice ricostruzione storica e teologica del Giubileo, ma si rende necessaria anche una rilettura cristologica, che dia ragione della sua celebrazione al cristiano del terzo millennio. Coerentemente al principio metodologico che vuole la persona di Gesù di Nazareth, nella sua singolarità storica, il principio costitutivo della nostra fede, e la nostra conformazione a lui quale essenza della sequela, è necessario superare una concezione del Giubileo puramente liturgica o legata alla prassi, per riconoscere come Gesù non sia semplicemente venuto a proclamare il Giubileo - "l'Anno di Grazia" (Lc 4, 19) - ma Egli stesso è il Giubileo. Per questo è utile evidenziare come le motivazioni originali, sopra menzionate, che portarono nel corso dell'Antico Testamento all'istituzione dell'anno giubilare, dentro il solco della tradizione sabbatica, siano le stesse che caratterizzarono la proclamazione del Regno di Dio da parte di Gesù. Regno che, alla luce della Pasqua, la comunità primitiva lo identificò con la sua persona.

 

 

Leggendo il testo di Is 61 nella sinagoga di Nazareth, e riferendolo alla propria missione, Gesù si pone dunque nel solco della tradizione anteriore attribuendosi il compito di portarla a compimento:

"Lo Spirito del Signore sta sopra di me
perché mi ha unto per evangelizzare i poveri,
mi ha inviato per proclamare ai prigionieri libertà
e ai ciechi il recupero della vista
per inviare gli oppressi in libertà
per proclamare un anno di grazia del Signore".

Così commenta questa pericope il teologo cileno Pablo Richard: "Lo Spirito del Signore sta' sopra Gesù, proprio perché è stato unto e inviato per compiere una missione. I verbi "mi ha unto" e "mi ha inviato" stanno in parallelo. Lo Spirito e l'unzione sono in funzione dell'invio. La finalità "per" dell'unzione e dell'invio si esprime in quattro frasi che iniziano con l'infinito:" evangelizzare, proclamare, inviare e proclamare". Ogni frase è un azione. La prima ("evangelizzare i poveri") è un annuncio generico. La seconda frase è una proclamazione di due azioni: proclamare libertà ai prigionieri e recuperare la vista ai ciechi. La terza frase è già in se stessa un azione :" inviare gli oppressi in libertà". Per la seconda volta appare la parola libertà. Si invia (traduzione letterale) in libertà "gli oppressi". Questo termine ("tethraumeno") significa falliti, frustrati, deboli, oppressi. La quarta frase è ancora generale: proclamazione del "anno di grazia del Signore", che è chiaramente l'anno del Giubileo. In Isaia si aggiungeva "giorno di vendetta del nostro Dio", frase che Gesù (o Luca) omette. Eco di questa citazione la incontriamo in Mt.11,2-6 e Lc.7,18-23.

Gesù è il messaggero, unto e inviato da Dio, portatore dello Spirito, che annuncia la venuta del Regno nella ricostruzione della vita del popolo oppresso. Gesù, continuando la tradizione del Giubileo, identifica il Regno di Dio con la vita del popolo. I gruppi nazionalisti e teocratici identificavano il Regno di Dio con la restaurazione del Regno di Davide: restaurazione della monarchia contro l'impero romano. I sacerdoti lo identificavano con la restaurazione del Tempio di Gerusalemme. I farisei lo identificavano con la santità del popolo che si otteneva mediante il pieno compimento della legge. Gesù rifiuta tutto ciò e identifica il Regno di Dio con la vita del popolo. Gesù, nella tradizione dell'anno sabbatico e giubilare, proclama l'inizio della sua missione, un anno di grazia, un Giubileo straordinario. Il Regno di Dio inizia con l'annuncio del Giubileo. Unisce cosi Regno di Dio e Giubileo" (P. Richard, "Ora è tempo di proclamare un giubileo").

Gli incontri, le parole, i gesti di Gesù saranno una continua celebrazione del Giubileo realizzato nella prassi liberatrice della sua missione. Così per Zaccheo, per la peccatrice in casa di Simone, per il Centurione, per la Samaritana, per gli indemoniati, per Marta e Maria…

Maria di Nazareth riveste un ruolo di primo piano in questa azione di salvezza, lei che cantando con esultanza il Magnificat, sogna col cuore stesso di Dio l'avverarsi di un mondo nuovo, inedito, utopico - il cui principio sta incarnandosi nel suo ventre - dove per volere divino "i progetti dei superbi sono rovinati, i potenti sono rovesciati dai troni mentre gli umili vengono innalzati; gli affamati sono colmati di beni e i ricchi rimandati a mani vuote", così che "Donna del Giubileo" e "Madre dell'Utopia" la possiamo chiamare.

Per lo stesso Gesù stesso gli incontri quotidiani furono occasione di Giubilo: "In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (cfr. Luca 10,21). Gesù gioisce perché i piccoli accolgono il Vangelo della liberazione, perché le folle sono sfamate, i peccatori perdonati, i ladri riabilitati, agli oppressi è promessa la liberazione…

Questa continua coincidenza tra la liberazione economica e spirituale dice bene l'idea che l'uomo biblico ha maturato riguardo alla salvezza: educato da quel Dio che sempre "educa il suo popolo", ha imparato a riconoscere come la salvezza che viene da Lui sia "integrale" nei confronti della gente, e non scindibile nelle categorie concettuali della filosofia classica ("materiale" e "spirituale") che non rendono ragione dell'unicità della persona.

Interessante a questo proposito è osservare la preghiera del Padre nostro così come ci viene presentata da Matteo e Luca. Mentre in Matteo si dice "rimetti a noi i nostri debiti (ofeilémata: i debiti economici) come noi li rimettiamo ai nostri debitori (idem)", in Luca si dice "rimetti a noi i nostri peccati (hamartias) come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Nel primo caso ovviamente la richiesta è che venga proclamato un Giubileo che tolga tutti i debiti. Una comunità angosciata dai debiti economici ed una angosciata dai propri peccati offrono a Dio in cambio della propria liberazione la stessa disponibilità a liberare chi ha debiti economici con loro. Condizione necessaria e indispensabile per celebrare la vera riconciliazione con Dio è che questa diventi principio di vera e totale riconciliazione tra gli uomini, nel rispetto della dignità di tutti.
Solo così si può celebrare un Giubileo!

Ma è l'apostolo Paolo, con la sua straordinaria capacità di contemplare le profondità del mistero di Cristo, che ci permette di giungere al giubilo stesso di Dio.
Cristo è secondo l'apostolo l'archetipo della creazione:

Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:…
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
(Col 1,15-18)

Se dunque il mondo e l'uomo sono creati in Cristo, è in Lui che si esprime il Giubilo di Dio di fronte alla natura, "e vide che era cosa buona", e all'uomo, "e vide che era cosa molto buona" (cfr. Gn 1,31).

Infine l'apostolo riferendosi alla natura e alla prassi liberatrice del Cristo ci indica pure quale deve essere la nostra attitudine per celebrare in verità il Giubileo, cioè la nostra configurazione in Lui:

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
(Fil 2, 5-11)

Per "celebrare in spirito e verità il Giubileo" è dunque necessario rivestirsi degli stessi sentimenti che furono del Signore Gesù, continuando la sua pratica liberatrice nel mondo. Ciò fonda una spiritualità, che se da un lato non rischia di scadere in alienante spiritualismo (la spiritualità se non è incarnata è fumo), dall'altro non si riduce a semplice filantropia, che potrebbe cedere sotto il peso della quotidianità, ma diventa sorgente e strumento per edificare il Regno di Dio. Solo così il Signore Gesù, guidandoci sulle strade della giustizia e della riconciliazione con Dio, può essere veramente la pienezza della nostra pace e della nostra gioia.

Alberto Vitali



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