Per
celebrare il Giubileo senza travisarne il significato originario,
anzi per viverlo nella sua interezza, mi sembra necessaria un'attenta
rilettura della tradizione sabbatica e giubilare, nelle Scritture
ebraiche e in quelle cristiane, che risalga nel tempo fino al
grande evento fondante della fede di Israele che fu l'Esodo, la
liberazione dalla schiavitù egiziana operata da Dio per
mezzo di Mosé.
Le radici remote della tradizione che istituì il Giubileo
non vanno cioè ricercate in un momento liturgico, ma nella
condizione disperata di un popolo che aveva perso la propria dignità
sotto il peso della schiavitù e al quale Dio si fece incontro,
rivelandosi come il Liberatore. Sarà questo il primo articolo
del credo biblico: "Jahweh è colui che ci ha liberato
dalla schiavitù in Egitto e sempre ci libererà ".
Durante l'Esilio babilonese, questa fede crescerà ulteriormente
fino a riconoscere che il "Dio di Israele" è
in realtà anche Dio di tutti gli altri popoli, perché
Egli è il Solo Vero Dio, padre-madre, Signore di tutta
la terra.
Così
nacque e si strutturò l'ideologia biblica, cioè
l'idea centrale attorno alla quale prese forma il messaggio dei
due Testamenti. Il Signore Dio è padre-madre di tutto il
genere umano e perciò vuole che i beni della Creazione
siano divisi e goduti in parti uguali da tutti i suoi figli. Questa
consapevolezza, espressa in forma di parabola nel racconto del
paradiso terrestre, verrà posta nei primi capitoli del
libro della Genesi, all'inizio della Bibbia, come condizione imprescindibile
per vivere l'alleanza con Dio. Cedere alla logica egoistica della
concentrazione della proprietà terriera in poche mani e
dell'accumulo illimitato della ricchezza a danno altrui, significa
non solo violare la giustizia sociale, ma ancor più offendere
la paternità-maternità di Dio e profanare la sua
signoria sul mondo.
Di ciò si convinse Israele mentre lasciato l'Egitto si
dirigeva verso la terra promessa.
Se
Dio li aveva liberati dall'oppressione straniera, non era certo
per rinnovare la medesima situazione in casa propria, ma perché
sognava una società completamente nuova: un'economia di
giustizia, una politica posta al servizio della dignità
di tutti, una religione veramente libera!
Per questo appena giunti in Palestina, Giosuè, succeduto
a Mosé, fece rinnovare agli israeliti l'Alleanza del Sinai
in una solenne cerimonia, l'Anfizionia di Sichem, in cui le tribù
si confederano in un solo popolo, Israele, e si diedero un sistema
economico, politico e religioso che soddisfacesse queste aspirazioni.
Fu
il momento in cui l'Ideologia dovette concretamente trasformarsi
in Utopia, cioè in un grande progetto ideale da realizzare,
il cui principio non sarebbe mai tramontato: la terra appartiene
a Dio e quindi verrà divisa in parti uguali tra tutti i
Suoi figli, che ne avranno l'usufrutto ma non la proprietà
assoluta, secondo un concetto di "proprietà privata"
completamente diverso dal nostro, che evidentemente non è
l'unico possibile. Israele rifiuta perciò l'istituto della
Monarchia, che comporta il sistema tributario (tutto appartiene
al re - terra e popolo - e il tributo gli è dovuto in alimenti,
servi e soldati) e dal 1200 al 1030 a. C. saranno i Giudici (leader
carismatici inviati da Dio) a governare Israele. Ma non durò
a lungo
dal 1030, col sorgere della Monarchia (Saul, Davide,
Salomone
), si indebolisce la portata ideologico-teologica
degli inizi e Israele si avvia ad essere un popolo con un sistema
economico-politico-religioso come tutti gli altri.
Compaiono allora i profeti, mandati da Dio a rimproverare i continui
tradimenti all'Alleanza e a denunciare ogni tipo di sfruttamento
nei confronti dei poveri. E' in questo momento che si rende necessaria
l'istituzione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico e del
Giubileo, per difendere l'ideologia e l'utopia caratteristiche
della fede biblica di fronte al sistema monarchico tributario.
I testi biblici di riferimento per la tradizione sabbatica - in
ordine cronologico - sono: Es 34,21; Es 23,12; Es 20,8-11; Dt
5,12-15; Gn 2,1-3; Es 31,13-18; Es 35,1-3; Lv 23,3.
In
generale va notato come il divieto di lavorare in giorno di sabato
si carica di sempre maggiori significati: se all'inizio si fondava
unicamente sul diritto di Dio a decretare un tempo di riposo per
la terra che gli appartiene, poi acquista un valore sociale, tutelando
i diritti degli schiavi e degli animali e ponendo un freno all'accumulo
illimitato dei mezzi di produzione. Diventa poi celebrativo della
liberazione dall'Egitto e infine durante l'Esilio una necessità
per poter ricostruire la coscienza e la fede degli esiliati, abbruttiti
dal lavoro coatto. Il sabato è dunque importante per ricostruirsi
come persona e poter ricostruire l'identità del Popolo
di Dio. Durante l'Esilio babilonese venne così composto
il racconto della creazione ( Gn 1,1-2,4a), dove si evidenzia
il riposo di Jahweh, per legittimare il riposo degli schiavi ebrei.
Era il riposo del sabato che permetteva di lavorare in modo umano
come Jahweh. Il sabato assume pertanto un significato al tempo
stesso liberatore, sociale e religioso.
Terminato
l'esilio, il sabato si trasformò poco a poco in una imposizione
legalista e oppressiva.
I sacerdoti mutarono il significato liberatore del sabato e lo
usarono come strumento sacro di potere. In assenza della monarchia
erano loro infatti gli unici ad esercitarlo. Il sabato pertanto
non fu più considerato santo come riposo, con tutto il
suo significato teologico, sociale e liberatore, ma santo per
le azioni cultuali compiute nel tempio e nelle case. Si proibisce
di lavorare per poter celebrare il culto, giungendo per fino ad
imporre il rispetto del sabato con la pena di morte. Contro questa
perversione della tradizione del sabato reagirà con fermezza
Gesù: "il sabato è stato istituito per l'uomo
e non l'uomo per il sabato" (Mc 2,23-28, cfr. Mt 12,1-8 /
Lc 6,1-5).
I testi di riferimento sull'anno sabbatico e l'anno del Giubileo
sono: Es 23,10-11; Es 21,1-11; Dt 15,1-18; Ger 34,8-18; Is 61,1-2;
Lv 25, 1-55; Nem 5,1-13.
L'anno giubilare era invece l'anno culmine dopo sette anni sabbatici:
7x7 = 49 nel quale si trasferirono le caratteristiche dell'anno
sabbatico, quando tornati dall'Esilio, si comprese a malincuore
che non era realistico aspettarsi un'osservanza puntuale di questo.
L'anno 50 dunque fu istituito come Giubileo, anno di liberazione
e di profonde trasformazioni strutturali, nel quale erano comandate
tre azioni principali:
1°
il riposo della terra,
2° il recupero delle terre e dei beni alienati per i debiti
3° la liberazione degli schiavi.
La
liberazione degli schiavi era prima dell'esilio ogni sette anni,
ora ogni cinquant'anni. Questo è un regresso, e perciò
si istituisce la funzione del Goel o liberatore, che avrebbe potuto
riscattare gli schiavi e i possedimenti prima dell'anno cinquanta.
In ogni caso questa legislazione del Levitico non annullò,
almeno ufficialmente, la tradizione anteriore, molto più
radicale, dell'anno sabbatico.
In
sintesi: la tradizione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico,
e dell'anno giubilare, è una tradizione antica, che cerca
di proteggere la vita del clan dall'eccessivo sfruttamento, dalla
concentrazione della terra e dall'accumulo della ricchezza, e
che pone un limite preciso ad ogni schiavitù per debiti.
La tradizione sabbatica e giubilare esige una rottura storica
che permette alla terra e alle persone di recuperare la loro libertà.
Nella teologia di questa tradizione, la terra e le persone appartengono
a Dio e nessuno può appropriarsene in forma illimitata
o ingiusta. La parola "Giubileo" viene dal latino "iubilaeus",
che fu presa direttamente dall'ebraico "Yobel". Yobel
significa originariamente ariete, poi indicò il corno dell'ariete
usato come tromba per annunciare l'anno del Giubileo, e finalmente
significò schiettamente giubilo o Giubileo. Esprime l'allegria
della terra, degli schiavi e degli sfruttati in generale, quando
si suonava il corno e si annunciava un anno sabbatico o giubilare.
Questo tocco del corno era, certamente, una disgrazia per i potenti,
che "perdevano" i loro schiavi e tutte le proprietà
strappate al popolo che non aveva potuto pagare i tributi e i
debiti.
Il sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare, esprimono il potere
di Dio e la sua volontà liberatrice, che interviene nella
nostra storia, nel tempo e nello spazio, in favore dei poveri,
degli indebitati, degli schiavi, degli schiacciati e dei falliti
a causa della dominazione. Anno sabbatico, Giubileo, e Regno di
Dio appartengono alla medesima tradizione e teologia e sono un
riferimento basilare per l'interpretazione di tutta la Storia
della Salvezza.
Furono
da prima i sacerdoti a formulare questa istituzione nell'ambito
della Legge, al tempo delle riforme dei re Ezechia e Giosia (nel
622 a.C. il sacerdote Elkia annunciò il ritrovamento del
libro della Legge - il Deuteronomio - nel tempio), poi i profeti
ne divennero i più convinti sostenitori. I profeti pre-esilici,
Amos, Geremia, Sofonia ed il I Isaia, lottarono senza successo
per difendere questa tradizione, minacciando l'abbandono da parte
di Dio per l'infedeltà del popolo e dei suoi capi. In seguito,
quando caddero prima Samaria e poi anche Gerusalemme e fu l'Esilio
a Babilonia, il movimento profetico lesse tutto ciò come
il risultato dell'infedeltà a quelle prescrizioni e della
diffusa oppressione dei poveri. Infine i profeti post-esilici,
Ezechiele, il III Isaia e gli altri, mostrano la volontà
di ricostruire la coscienza del popolo non già dalle istituzioni
civili o religiose e nemmeno dagli edifici (il Tempio), ma piuttosto
dalla tradizione sabbatica e giubilare.
Giungiamo
così alle soglie del Nuovo Testamento, quando Gesù
si presenta nella sinagoga di Nazareth ad un popolo oppresso dai
dominatori romani e dai sacerdoti latifondisti, applicando a sé
la profezia di Is 61, 1-2, nella quale ravvisiamo le dimensioni
fondamentali della missione del Cristo e di una autentica Spiritualità
cristiana: (Luca 4, 16-21).
Alla
luce di questo avvenimento però non è più
sufficiente una semplice ricostruzione storica e teologica del
Giubileo, ma si rende necessaria anche una rilettura cristologica,
che dia ragione della sua celebrazione al cristiano del terzo
millennio. Coerentemente al principio metodologico che vuole la
persona di Gesù di Nazareth, nella sua singolarità
storica, il principio costitutivo della nostra fede, e la nostra
conformazione a lui quale essenza della sequela, è necessario
superare una concezione del Giubileo puramente liturgica o legata
alla prassi, per riconoscere come Gesù non sia semplicemente
venuto a proclamare il Giubileo - "l'Anno di Grazia"
(Lc 4, 19) - ma Egli stesso è il Giubileo. Per questo è
utile evidenziare come le motivazioni originali, sopra menzionate,
che portarono nel corso dell'Antico Testamento all'istituzione
dell'anno giubilare, dentro il solco della tradizione sabbatica,
siano le stesse che caratterizzarono la proclamazione del Regno
di Dio da parte di Gesù. Regno che, alla luce della Pasqua,
la comunità primitiva lo identificò con la sua persona.
Leggendo
il testo di Is 61 nella sinagoga di Nazareth, e riferendolo alla
propria missione, Gesù si pone dunque nel solco della tradizione
anteriore attribuendosi il compito di portarla a compimento:
"Lo
Spirito del Signore sta sopra di me
perché mi ha unto per evangelizzare i poveri,
mi ha inviato per proclamare ai prigionieri libertà
e ai ciechi il recupero della vista
per inviare gli oppressi in libertà
per proclamare un anno di grazia del Signore".
Così
commenta questa pericope il teologo cileno Pablo Richard: "Lo
Spirito del Signore sta' sopra Gesù, proprio perché
è stato unto e inviato per compiere una missione. I verbi
"mi ha unto" e "mi ha inviato" stanno in parallelo.
Lo Spirito e l'unzione sono in funzione dell'invio. La finalità
"per" dell'unzione e dell'invio si esprime in quattro
frasi che iniziano con l'infinito:" evangelizzare, proclamare,
inviare e proclamare". Ogni frase è un azione. La
prima ("evangelizzare i poveri") è un annuncio
generico. La seconda frase è una proclamazione di due azioni:
proclamare libertà ai prigionieri e recuperare la vista
ai ciechi. La terza frase è già in se stessa un
azione :" inviare gli oppressi in libertà". Per
la seconda volta appare la parola libertà. Si invia (traduzione
letterale) in libertà "gli oppressi". Questo
termine ("tethraumeno") significa falliti, frustrati,
deboli, oppressi. La quarta frase è ancora generale: proclamazione
del "anno di grazia del Signore", che è chiaramente
l'anno del Giubileo. In Isaia si aggiungeva "giorno di vendetta
del nostro Dio", frase che Gesù (o Luca) omette. Eco
di questa citazione la incontriamo in Mt.11,2-6 e Lc.7,18-23.
Gesù
è il messaggero, unto e inviato da Dio, portatore dello
Spirito, che annuncia la venuta del Regno nella ricostruzione
della vita del popolo oppresso. Gesù, continuando la tradizione
del Giubileo, identifica il Regno di Dio con la vita del popolo.
I gruppi nazionalisti e teocratici identificavano il Regno di
Dio con la restaurazione del Regno di Davide: restaurazione della
monarchia contro l'impero romano. I sacerdoti lo identificavano
con la restaurazione del Tempio di Gerusalemme. I farisei lo identificavano
con la santità del popolo che si otteneva mediante il pieno
compimento della legge. Gesù rifiuta tutto ciò e
identifica il Regno di Dio con la vita del popolo. Gesù,
nella tradizione dell'anno sabbatico e giubilare, proclama l'inizio
della sua missione, un anno di grazia, un Giubileo straordinario.
Il Regno di Dio inizia con l'annuncio del Giubileo. Unisce cosi
Regno di Dio e Giubileo" (P. Richard, "Ora è
tempo di proclamare un giubileo").
Gli
incontri, le parole, i gesti di Gesù saranno una continua
celebrazione del Giubileo realizzato nella prassi liberatrice
della sua missione. Così per Zaccheo, per la peccatrice
in casa di Simone, per il Centurione, per la Samaritana, per gli
indemoniati, per Marta e Maria
Maria
di Nazareth riveste un ruolo di primo piano in questa azione di
salvezza, lei che cantando con esultanza il Magnificat, sogna
col cuore stesso di Dio l'avverarsi di un mondo nuovo, inedito,
utopico - il cui principio sta incarnandosi nel suo ventre - dove
per volere divino "i progetti dei superbi sono rovinati,
i potenti sono rovesciati dai troni mentre gli umili vengono innalzati;
gli affamati sono colmati di beni e i ricchi rimandati a mani
vuote", così che "Donna del Giubileo" e
"Madre dell'Utopia" la possiamo chiamare.
Per
lo stesso Gesù stesso gli incontri quotidiani furono occasione
di Giubilo: "In quello stesso istante Gesù esultò
nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore
del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti
e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli" (cfr. Luca 10,21).
Gesù gioisce perché i piccoli accolgono il Vangelo
della liberazione, perché le folle sono sfamate, i peccatori
perdonati, i ladri riabilitati, agli oppressi è promessa
la liberazione
Questa
continua coincidenza tra la liberazione economica e spirituale
dice bene l'idea che l'uomo biblico ha maturato riguardo alla
salvezza: educato da quel Dio che sempre "educa il suo popolo",
ha imparato a riconoscere come la salvezza che viene da Lui sia
"integrale" nei confronti della gente, e non scindibile
nelle categorie concettuali della filosofia classica ("materiale"
e "spirituale") che non rendono ragione dell'unicità
della persona.
Interessante
a questo proposito è osservare la preghiera del Padre nostro
così come ci viene presentata da Matteo e Luca. Mentre
in Matteo si dice "rimetti a noi i nostri debiti (ofeilémata:
i debiti economici) come noi li rimettiamo ai nostri debitori
(idem)", in Luca si dice "rimetti a noi i nostri peccati
(hamartias) come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Nel
primo caso ovviamente la richiesta è che venga proclamato
un Giubileo che tolga tutti i debiti. Una comunità angosciata
dai debiti economici ed una angosciata dai propri peccati offrono
a Dio in cambio della propria liberazione la stessa disponibilità
a liberare chi ha debiti economici con loro. Condizione necessaria
e indispensabile per celebrare la vera riconciliazione con Dio
è che questa diventi principio di vera e totale riconciliazione
tra gli uomini, nel rispetto della dignità di tutti.
Solo così si può celebrare un Giubileo!
Ma
è l'apostolo Paolo, con la sua straordinaria capacità
di contemplare le profondità del mistero di Cristo, che
ci permette di giungere al giubilo stesso di Dio.
Cristo è secondo l'apostolo l'archetipo della creazione:
Egli
è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
(Col 1,15-18)
Se
dunque il mondo e l'uomo sono creati in Cristo, è in Lui
che si esprime il Giubilo di Dio di fronte alla natura, "e
vide che era cosa buona", e all'uomo, "e vide che era
cosa molto buona" (cfr. Gn 1,31).
Infine
l'apostolo riferendosi alla natura e alla prassi liberatrice del
Cristo ci indica pure quale deve essere la nostra attitudine per
celebrare in verità il Giubileo, cioè la nostra
configurazione in Lui:
Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
(Fil 2, 5-11)
Per
"celebrare in spirito e verità il Giubileo" è
dunque necessario rivestirsi degli stessi sentimenti che furono
del Signore Gesù, continuando la sua pratica liberatrice
nel mondo. Ciò fonda una spiritualità, che se da
un lato non rischia di scadere in alienante spiritualismo (la
spiritualità se non è incarnata è fumo),
dall'altro non si riduce a semplice filantropia, che potrebbe
cedere sotto il peso della quotidianità, ma diventa sorgente
e strumento per edificare il Regno di Dio. Solo così il
Signore Gesù, guidandoci sulle strade della giustizia e
della riconciliazione con Dio, può essere veramente la
pienezza della nostra pace e della nostra gioia.
Alberto
Vitali
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