"Una
legge disumana, oppressiva, che calpesta i diritti più elementari
dell'uomo. Riduce l'immigrato a merce, lo fa vivere sotto una
spada di Damocle, minaccia il diritto d'asilo". E' schietto Mons.
Nogaro, vescovo di Caseta, mentre parla del decreto legge Bossi-Fini
sull'immigrazione, senza giri di parole né sottigliezze diplomatiche
proprio come Gesù ci ha comandato nel discorso della montagna:
"Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene
dal maligno" (Mt 5,37). L'occasione è stata l'intervista concessa
dal vescovo siciliano a Mimmo De Cillis e apparsa sul quotidiano
Il Manifesto il 2 giugno 2002. In essa il presule ha voluto coniugare
il giudizio morale cristiano con quello civile: "Se fosse approvata
così com'è sarebbe un fatto indegno di un paese civile". L'intervista
è poi così continuata: Monsignor Nogaro, come valuta il decreto
legge Bossi-Fini sull'immigrazione? "E' difficile esprimersi in
questo momento. La legge è in via di approvazione, magari ci saranno
modifiche, non so quale sarà il prodotto finito. Ma ho sempre
combattuto questa legge nel suo impianto complessivo. Già la legge
Turco-Napolitano aveva una impostazione restrittiva, ma quella
attuale è addirittura repressiva. Sono totalmente deluso: non
mi aspettavo che si potesse arrivare a questo grado di severità.
Ho fatto tutti i passi necessari per gridare che questa è una
legge-capestro, oppressiva e brutale, che priva l'uomo dei suoi
diritti basilari. E' inconcepibile che questo accada in Italia:
non posso credere che un governo, in un paese civile e umano,
possa giungere a un tale grado di disprezzo dell'umanità, trattando
un uomo con tanta brutalità e cieca violenza, privandolo della
sua dignità. L'uomo è la sede di tutti i diritti: invece l'immigrato
è considerato un uomo di serie B e ridotto alla stregua di merce".
Quali punti contesta con maggiore forza? "Tutta la legge è disumana
e calpesta i diritti essenziali degli immigrati. Da un lato rende
i lavoratori regolari instabili, riducendo la loro possibilità
di integrazione. Agli "irregolari" riserva poi l'espulsione senza
appello o possibilità di ricorso. Nessuno può esser trattato in
modo così tremendo: in un paese democratico ogni uomo deve avere
la possibilità di spiegare le sue ragioni. Al clandestino si dà
una reclusione immediata, senza il riconoscimento di diritti o
di tutela legale. La "clandestinità" diviene reato in sé, e compiono
un reato anche quei soggetti che appoggiano i clandestini, come
tantissime associazioni di volontariato, cattoliche e non, che
assistono gli immigrati". Come commenta la parte del testo che
regola i ricongiungimenti famigliari e l'asilo politico? "Su questi
temi il dettato di legge è sconcertante: permettere che una famiglia
si ricongiunga diventa davvero impossibile, perché l'immigrato
dovrebbe disporre di una riserva di capitale molto elevata. Ma
vivere unito alla propria famiglia è un diritto indispensabile
dell'uomo! L'Italia, inoltre, diventerebbe un paese che nega il
diritto di asilo politico, proprio di ogni stato democratico,
permesso in tutta Europa. In tal modo si distrugge ogni speranza
per immigrati che fuggono da regimi dittatoriali, dove si reprimono
i diritti umani". Cosa pensa della modifica che ha introdotto
l'obbligo da parte dell'immigrato di lasciare le impronte digitali?
"E' una modifica veramente indegna. Nessun uomo può essere "catalogato",
nessuno può vivere sotto una spada di Damocle, senza poter esercitare
il pensiero e l'azione in modo libero. E' davvero inconcepibile
che si possa colpire in modo così crudele l'identità stessa di
un essere umano". Pensa che le sue forti perplessità siano condivise
da tutta la Chiesa italiana? "Credo che la Chiesa italiana, in
larghi segmenti, condivida questa posizione di critica sostanziale
alla legge. Da più parti si sono avute proteste forti e chiare.
Oggi abbiamo anche il pieno conforto della chiesa istituzionale:
la conferenza episcopale italiana ha inviato una richiesta al
governo chiedendo una modifica solida e radicale. Il governo ha
risposto che farà il possibile per ascoltare le obiezioni poste
da parti della chiesa come Caritas e Migrantes, che lavorano con
gli immigrati. Ma, come uomo di vangelo, dico che le modifiche
non servono: questa legge dev'essere semplicemente cestinata".
Cosa chiede al parlamento italiano che nei prossimi giorni discuterà
di questa legge e la voterà? "Al parlamento chiedo che questo
testo non venga approvato, e che sia rielaborato nella sua globalità,
secondo un filosofia del tutto diversa. Chiedo anche al centro-sinistra
di formulare pronunciamenti perentori, che ribadiscano la necessità
di tutelare i diritti degli immigrati, in quanto prima di tutto
"persone", titolari di diritti inalienabili. In questo momento
tutti i cittadini con un barlume di coscienza civile, cattolici
e non, devono sollevarsi. Se questa legge venisse approvata, significa
che il nostro paese non ha capito nulla del valore della vita
e dell'umanità. Un fatto davvero allucinante. Prego e spero che
questo non accada". Mons. Nogaro non è stato il solo religioso
a prendere posizione contro tale decreto. Tra gli altri, vogliamo
ricordare l'iniziativa di un sacerdote della diocesi di Novara,
don Renato Sacco, parroco di Cesara e consigliere nazionale di
Pax Christi, che, prendendo spunto proprio dall'intervista su
riportata, ha inviato una lettera ai parlamentari del proprio
collegio elettorale per esprime il suo forte dissenso sulla validità
della legge che il Parlamento si appresta a votare: "Un fatto
indegno di un Paese civile che calpesta i più elementari diritti
dell'uomo. Sorprende che a proporla sia un governo che ad ogni
piè sospinto si richiama ai valori della famiglia e poi impedisce
di fatto il ricongiungimento familiare degli immigrati". Secondo
quanto denunciato da don Sacco la legge, oltre ad essere assolutamente
inutile in quanto potrebbe addirittura incentivare la clandestinità,
finisce con l'essere una umiliazione nei confronti di chi invece
vuole vivere ed essere in regola nel nostro Paese. La reazione
non si è fatta attendere ed è stata quanto mai rabbiosa. Le segreterie
provinciali del "Verbanio Cusio Ossola" di Alleanza Nazionale
e della Lega Nord hanno diramato un comunicato stampa congiunto
nel quale si legge tra l'altro: "Come cittadino Don Sacco può
dire e pensare quel che vuole, ma come sacerdote avrebbe il dovere
morale di informarsi meglio, prima di rilasciare dichiarazioni
senza senso… Non è vero che la legge Fini-Bossi sia contro il
ricongiungimento famigliare, ma vuole evitare gli abusi, così
come non si è contro gli immigrati che vanno trattati bene e non
sfruttati… Se Don Sacco avesse meno manie di protagonismo e volesse
affrontare un dibattito serio su queste questioni (offerta accettata
dall'interessato n.d.r.) non ci tiriamo indietro… Sappiamo benissimo
che aprendo una polemica con Don Sacco gli facciamo solo un piacere
perché è proprio quello che vuole, ma siamo un po' stufi di queste
prediche a senso unico che sono solo demagogiche e politiche,
ma soprattutto molto lontane dal senso comune della gente che
non odia nessuno, ma vuole sicurezza…". A questo proposito, desiderando
esprimere solidarietà e gratitudine a Don Renato, sento anche
il bisogno-dovere di fare alcune precisazioni. Anzitutto le parole:
per quanto importanti, lasciano il tempo che trovano se non vengono
supportate dai fatti. Già l'apostolo Giacomo polemizzava contro
coloro che si nascondono dietro montagne di buoni propositi per
coltivare indisturbati i propri interessi: "Se un fratello o una
sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e
uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi",
ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche
la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa" (Gc 2,15-17).
Allo stesso modo non servono fiumi di parole sulle buone intenzioni
della legge ed il desiderio di tutelare persino gli immigrati:
contano soltanto i fatti, cioè le misure repressive previste dal
decreto e puntualmente denunciate da Mons. Nogaro. Non posso poi
non criticare lo stile di certe reazioni che non mirano tanto
a confutare idee o a contestare fatti, quanto a denigrare le persone,
tradendo così la propria mancanza di ragioni e la cultura violenta
ed aggressiva da cui provengono. Conosco personalmente Don Sacco
e posso garantire che - oltre ad essere persona umilissima - l'unico
interesse da cui è animato è il desiderio della pace e della giustizia
secondo il Vangelo. Non so se lo conoscono altrettanto bene i
suoi detrattori: spero di no, perché per quanto possa essere sintomo
di ignoranza l'apostrofare chi non si conosce, è pur sempre meglio
della malafede che li animerebbe in caso contrario. Sfiora poi
il ridicolo la critica alla sua (ed altrui, aggiungo io) predicazione
"a senso unico… demagogica e soprattutto molto lontana dal senso
comune della gente". E' infatti utile ricordare che un evangelizzatore
non è una banderuola: deve andare sempre nel "senso unico" del
Vangelo! Dovrebbero inoltre decidere se accusarlo di demagogia
o d'essere "molto lontano dal senso comune della gente", perché
le due cose si escludono a vicenda. Succede però… quando si usano
parole che "suonano bene", ma di cui si ignora il significato!
Infine mi sembra del tutto evidente che un uomo del Vangelo non
faccia "indagini di mercato" per sapere che aria tira: nostro
compito non è predicare "il senso comune della gente", ma le esigenze
radicali della parola di Gesù. Ad altri lasciamo la preoccupazione
del consenso popolare e soprattutto la "fragilità" del valutare
la verità e la bontà delle proprie idee e valori sulla mera base
del successo elettorale. Gesù non era certo preoccupato di questo,
anzi, quando le folle lo abbandonarono - lungi dall'idea di "addomesticare"
il messaggio evangelico - chiese in perfetta libertà ai suoi discepoli:
"Forse volete andarvene anche voi?" (Gv 6,67). Fin qui però c'è
poco da stupirsi: "Può forse un fico produrre olive o una vite
produrre fichi?" (Gc 3,12). L'aspetto più doloroso, sul quale
dovremmo invece meditare, è che certi atteggiamenti vengano spesso
da persone che amano professarsi cattoliche! Magari cattolici
"ortodossi" o "tradizionali", cattolici "praticanti"… Ma quali
cattolici, se delle Sacre Scritture, dell'insegnamento dei Padri
e dei documenti del Magistero non gliene frega niente? Se tengono
più in considerazione le opinioni di Bossi e di Fini che le parole
di Giovanni Paolo II?… Così, sebbene il mio essere cattolico lo
sbandiero poco - e certamente non per picchiarlo a mo' di clava
sulla testa degli altri - quando il livello della mia "indignazione
etica" raggiunge livelli di guardia, per consolarmi e ricordare
a me stesso che essere cattolico è tutta un'altra cosa, vado a
rileggermi le grandi pagine della Tradizione cristiana (quella
con la T maiuscola) e rileggendo S. Ambrogio ho ritrovato un testo
che vorrei condividere con voi... Dov'è Ambrogio oggi? Ambrogio
è qui, in tanti pastori e laici che non hanno rinunciato a mettere
l'uomo, ogni uomo, al primo posto nella scala degli interessi
sociali e non si rassegnano a fare del Vangelo un addobbo da biblioteca.
Shalom-Salam
Alberto Vitali
Non si devono affatto approvare coloro
che scacciano dalla città gli estranei
Non
si devono affatto approvare coloro che scacciano dalla città gli
estranei, li allontanano proprio nel tempo in cui dovrebbero aiutarli,
li estromettono dalla vita della città, negano loro i beni prodotti
dal suolo per tutti, spezzano rapporti comuni ormai consolidati.
Con quelli che avevano prima comuni diritti, non vogliono più
dividere i sussidi necessari. Le fiere non cacciano le fiere,
e l'uomo allontana l'uomo. Le bestie ritengono comune a tutti
il vitto offerto dalla terra. Esse aiutano gli individui della
propria specie, e l'uomo li combatte; egli che non dovrebbe considerare
estraneo a sé tutto ciò che in qualche modo è umano. Quanto più
retto il modo di agire di un prefetto dell'Urbe! Mentre la fame
tormentava la città e, come avviene in questi casi, il popolo
chiedeva che si allontanassero gli stranieri egli, già avanzato
in età e più di ogni altro preoccupato, data la sua carica, convocò
i cittadini più ricchi e più in vista e chiese loro di decidere
pubblicamente, ricordando quanto fosse grave allontanare gli stranieri
e come sia togliere all'uomo la propria umanità negare il cibo
a chi muore di fame. Non sopportiamo che i cani restino digiuni
presso la nostra tavola, e ne allontaniamo gli uomini. Ricordò
quanto fosse inutile la morte di tanti popoli oppressi dalla carestia,
e quanto fosse inutile per la città che morissero tanti uomini,
i quali prima le erano di aiuto o nella produzione di beni di
consumo o nel loro commercio. A nessuno giova la fame altrui:
si possono protrarre i giorni tutt'al più, non togliere il bisogno.
Anzi, con la morte di tanti lavoratori, con la sparizione di tanti
agricoltori, ne avrebbe sofferto per sempre il vettovagliamento.
Noi dunque allontaniamo e non vogliamo nutrire nella carestia
questi che ci hanno sempre nutrito; e quanti sono i servizi che
in questo stesso tempo essi ci prestano! Non di solo pane vive
l'uomo (Dt 8,3). Sono la nostra famiglia, sono nostri parenti:
rendiamo loro ciò che abbiamo ricevuto. Ma temiamo che il bisogno
ci opprima. Anzitutto la misericordia non è mai un danno, ma un
aiuto. Poi le vettovaglie necessarie per loro, compriamole a prezzo
d'oro, facendo una colletta. Se questi vengono a mancarci, pensiamo
forse di trovare altri agricoltori? Quanto è più facile mantenere
che comprare i lavoratori! E dove potrai un giorno trovarli, come
potrai rimpiazzarli? E aggiungi, se pur li trovi, che non li conosci,
che sono di costumi diversi, che puoi calcolarne il numero, non
puoi certo calcolarne la laboriosità. Non aggiungo altro. Si fece
una colletta, si comprò il frumento. Così non diminuirono le scorte
della città e si poterono mantenere gli stranieri. E quanto valse
agli occhi di Dio l'opera di quel vecchio santo quanta gloria
gli procurò davanti agli uomini! Davvero fu benemerito del suo
ufficio, perché poté dire all'imperatore, mostrandogli tutto il
popolo della provincia: Tutti questi io ti ho conservato; essi
vivono per l'interessamento del tuo senato, la tua curia li ha
strappati dalla morte. Quanto più utile ciò di quanto avvenne
recentemente a Roma: furono cacciati dalla città, pur così grande,
anche quelli che tanti anni avevano in essa trascorsi; se ne andarono
piangendo con i loro figli. E si pianse la loro partenza, come
se fossero stati cittadini. Furono interrotti rapporti di anni,
furono stroncate parentele! Eppure ci si aspettava un anno fertile.
Solo alla città l'approvvigionamento di frumento era per il momento
difficile. Ci si poteva aiutare, se si fosse chiesto frumento
agli itali, i cui figli invece si allontanavano. Nulla è più vergognoso
che allontanare qualcuno come estraneo, cacciare via direi quasi
il proprio fratello. Perché cacci chi si nutre del suo? Perché
allontani chi nutre te stesso? Tieni lo schiavo, e cacci il fratello?
Ricevi il frumento, e non ne serbi il ricordo? Esigi il vitto,
e non ne sei grato? Che sconcezza e inutilità in tutto ciò! Come
può essere utile ciò che è sconveniente?
S.
Ambrogio, I doveri, 3,45-50
Alberto
Vitali
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