Quando
l'amico Gianni Novelli mi ha chiesto di presentare brevemente
il cammino di don Samuel, dopo un primo momento di smarrimento,
perché è sempre difficile parlare della vita di
una persona, soprattutto quando ti sta seduto di fronte e ti ascolta,
ho ricordato un episodio che mi sembra sintetizzi bene la sua
vicenda. E' accaduto lo scorso anno mentre tornavamo a San Cristobal
da Riobamba, in Ecuador, dove avevamo partecipato all'incontro
internazionale del Sicsal, di cui don Samuel è presidente,
e lui aveva contemporaneamente partecipato all'incontro annuale
di un gruppo di vescovi latinoamericani, molto amici ed in sintonia
tra loro. Percorrevamo la strada che collega Tuxla Gutierrez a
San Cristobal, accompagnati dalla scorta, perché la gente
che lavora seriamente per la pace come lui corre più pericoli
degli altri, quando, attraversando un piccolo paese, fece fermare
l'auto al mercato per offrirci una tipica bevanda indigena fatta
con mais e cacao. Non abbiamo avuto il tempo di scendere che la
folla riconoscendo don Samuel gli si gettò al collo per
salutarlo, e non con quella riverenza distaccata con la quale
qui a Roma e a Milano siamo soliti salutare i vescovi, ma proprio
come si suole abbracciare un padre (di fatto lo chiamano Tatic,
padre nella lingua indigena). Commosso e sorpreso al tempo stesso,
mi voltai istintivamente a guardare la scorta curioso di sapere
come avrebbero reagito, ma niente, nemmeno una mossa. In compenso
uno dei ragazzi, intuendo il mio pensiero mi disse: "sa padre,
non potremmo mai fermare l'entusiasmo degli indigeni nei confronti
di don Samuel, altrimenti sarebbero guai. Possiamo solo controllare
che non ci siano infiltrati". Ho riflettuto molto su questo
episodio: un vescovo
al mercato
tra la folla!
E' il punto di arrivo, di un cammino che parte lontano, perché
Tatic non ha perso tempo a lasciarsi convertire dai poveri! La
sua formazione è quanto di più normale per un prete,
avvenuta in seminario, consta anche di un periodo romano dal 1947
al 1952, dove è ordinato sacerdote il 2 aprile 1949. Potremmo
dunque definirla una formazione tradizionale e eurocentrica, impregnata
cioè di quella cultura europea che troppo spesso abbiamo
confuso con il Vangelo, facendo così danni enormi in altre
parti della terra quando credendo di evangelizzare stavamo invece
imponendo con la forza la nostra civiltà a danno delle
altre. Tornato in Messico sarà professore di Bibbia e poi
rettore nel Seminario di Leon: tutto regolare
fino a questo
punto!
Ma poi alla fine del 1959 fu nominato vescovo del Chiapas (che
allora era un'unica diocesi) da papa Giovanni XXIII a soli 35
anni! Se già ritrovarsi vescovo in Chiapas non è
cosa che possa non lasciare il segno, a sconvolgere la vita di
don Samuel, come quella di tutta la Chiesa, si preparava un altro
grandissimo evento: il Concilio Ecumenico Vaticano II. Così
don Samuel tornò a Roma come padre conciliare ad appena
trentasette anni! Tra tutta la ricchezza del Concilio mi sembra
che alcuni aspetti toccarono in modo particolare la sua sensibilità
e cioè il diverso approccio al mondo e alle culture non
europee espresso nella Gaudium et Spes e la nuova riflessione
sulla natura stessa della Chiesa intesa come popolo di Dio, promulgata
nella Lumen Gentium, con il conseguente ruolo spettante ai laici.
Particolarmente significativo per la sua esperienza fu anche l'incontro
con grandi figure di vescovi latinoamericani avvenuto in questi
anni, tra gli altri Leonidas Proano, Helder Camara
Rientrato da Roma, a lavori conclusi, don Samuel non ha messo
i documenti del Concilio in libreria a fare bella mostra, ma tenendoli
in mano percorse la diocesi per farla crescere nello spirito e
secondo le indicazioni del Concilio.
Ma un'altra tappa, per lui veramente sconvolgente, lo attendeva:
il I° Incontro Missionario Continentale nel 1968 a Melgar
in Colombia, fu l'occasione per ripensare il valore delle culture
indigene e la loro negazione da parte di quell'evangelizzazione
che già abbiamo detto aveva confuso troppo il Vangelo con
la cultura europea.
La sua pastorale fece così un deciso salto di qualità,
dall'essere una pastorale indigenista, dove i popoli indigeni
erano semplicemente oggetto di cura provvidente, ad una pastorale
indigena, nella quale assumono invece il ruolo di protagonisti
attivi del loro riscatto e della vita stessa della Chiesa.
Non si trattava più di insegnare la lingua spagnola agli
indigeni perché diventassero soggetti, ma imparare le loro
lingue per apprendere la loro cultura: e questo apparve in modo
chiaro al I° Congresso Indigeno nell'ottobre del 1974, tenutosi
in Chiapas per celebrare l'anniversario di Bartolomeo De Las Casas.
Nelle intenzioni del governatore dello stato che l'aveva promosso
doveva essere una chermes accademica, ma l'intuizione di don Samuel
di affidarne la realizzazione agli stessi indigeni fu una rivelazione,
nonché il modo più consono di onorare l'antico difensore
di quei popoli.
Il coinvolgimento diretto delle diverse etnie valse naturalmente
anche in campo pastorale: gli agenti pastorali indigeni divennero
i primi protagonisti dell'inculturazione del Vangelo, fino alla
sua traduzione nelle diverse lingue.
Di don Samuel possiamo così dire che non è un vescovo
che spiega il Vangelo agli indios, ma che lo ha loro consegnato
perché siano essi stessi a spiegarlo. Un Vescovo cioè
che ascolta la voce di Dio e la voce del popolo: per questo la
sua Parola è tanto preziosa.
Date queste premesse, lunghe una vita, fu il candidato obbligato
per la mediazione con la lotta zapatista al suo sorgere il 1°
gennaio '94. Ma anche questa volta non seguì formule già
provate; la sua è una nuova forma di mediazione: non al
di sopra delle parti, poiché il cristiano non può
evitare di prendere posizione, ma ponendosi dalla parte delle
giuste richieste degli indios, senza condividere però il
ricorso alle armi: solo la sua credibilità poteva permettersi
tanto.
E così lo abbiamo conosciuto in questi anni: in cammino
con la sua Chiesa nel Sinodo Diocesano, durato ben tre anni, fino
al pellegrinaggio in Terra santa, appena concluso, e in cammino
con la società civile alla ricerca di sentieri di pace.
Ogni volta che la vita mi riserva la fortuna insperata di incontrare
persone così, non posso non chiedermi cosa dice a me, a
noi, nella nostra situazione, qui ed ora.
La testimonianza di don Samuel, certamente ci offre molto, ma
dovendo indicare alcuni aspetti ne individuo almeno tre:
Il primo lo esprimo parafrasando don Tonino Bello, già
presidente di Pax Christi. La convivialità delle differenze
non è solo possibile, ma è l'unica strada percorribile,
la sola possibilità di futuro per tutti. Ci insegna che
non è delle culture diverse che dobbiamo avere paura, ma
dell'ignoranza che alberga anche a casa nostra. E' l'ignoranza
che si annida anche in chi ha la responsabilità della cosa
pubblica e insegna a guardare l'altro, il "diverso"
con sospetto, minando così i presupposti della convivenza
civile.
Secondo ci dice che il Concilio è praticabile: che la Chiesa
alle soglie del Terzo Millennio non può che strutturarsi
come popolo e guardare con fiducia il mondo se vuole essere credibile
nell'annuncio del Vangelo
Infine ci attesta che la Pace è frutto del dialogo, della
capacità di incontrarsi e della buona volontà. Che
le guerre umanitarie sono una mistificazione, e solo quando ogni
popolo e ogni uomo sarà protagonista della propria storia
avremo un'era di pace.
Ora che è giunto ad una nuova tappa del suo cammino, il
congedo per limiti d'età dalla Diocesi di San Cristobal,
vorremmo ricordare, a noi più che a lui, che un Padre non
va mai in pensione, e neanche un vescovo.
Se lascia la guida di una Diocesi è per mettersi al servizio
di tutti, perché il patrimonio d'esperienza maturato in
una vita sia ora a disposizione di tutti; per questo dal 25 gennaio
ti sentiremo ancora più nostro e per questo uniti ai tuoi
popoli indigeni ti diciamo "GRAZIE TATIC y ADELANTE"!
Alberto
Vitali
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