Vi dico in verità che non
perderà la sua ricompensa



Sabato 1 ottobre 2000 il Card. Biffi è tornato sulla questione dell'immigrazione con affermazioni volte a "difendere la nostra cultura", che hanno avuto grande risonanza nei mezzi di comunicazione e non poco consenso anche tra i cristiani. Ciò nonostante non sono mancate coscienze capaci di esprimere una forte indignazione etica di fronte ad un atteggiamento che misconosce i diritti umani fondamentali, riconosciuti dalla civiltà laica occidentale e dalla coscienza credente, che scorge nel Vangelo i criteri vincolanti della propria azione. Ma fu soprattutto la Parola di Dio della stessa domenica ad illuminare la nostra riflessione sul significato che ha per noi, come "Gruppo Oscar Romero", vivere nel "qui ed oggi" della realtà italiana la nostra opzione per i poveri.

XXVI Annum B

Nm 11,25-29
Sal 18,8.10.12-13.14
Gc 5,1-6
Mc 9,37-42.44.46-47

La parola di Dio incontra resistenze non solo all'esterno, tra quei "nemici" che Giacomo identifica nei i ricchi, che sfruttano i lavoratori, defraudando i loro salari, e opprimono i miseri fino a farli morire morte, ma anche all'interno del popolo di Dio in coloro che confondono l'appartenenza al gruppo dei discepoli con i propri interessi!
Ne sono un chiaro esempio Giosuè e Giovanni! Se Mosé non cela il suo disappunto per l'incomprensione dell'amico fedele, per Gesù dovette essere una sofferenza particolare perché una volta tanto non erano i discepoli genericamente presi a "non comprendere" e nemmeno Pietro, al quale il Vangelo non risparmia certo le figuracce, ma proprio Giovanni, il discepolo "prediletto".
Ma la tentazione è comunque forte: i discepoli di ogni tempo si sentono gli unici depositari della verità di Dio, e così impediscono - o cercano di farlo - che altri agiscano nel suo nome. Il Signore però rifiuta questo fervore indebito a danno di coloro che non appartengono al circolo dei vicini perché la sua grazia e la forza dello Spirito sono destinati a tutti e tutti raggiungono, oltre i confini delle appartenenze razziali, culturali, ecclesiali e religiose. Ai discepoli offre invece una regola semplice, inequivocabile: "colui che non è contro di noi, è per noi". L'ampiezza del criterio sfida la tenacia dei discepoli a sentirsi proprietari privati del messaggio di Gesù. E continua a sfidare oggi i fervori che il Signore smaschera ancora in quanti tra noi continuano ad opporsi a coloro che non appartengono alla chiesa. Così la Parola che ci è stata rivolta costituisce una chiara risposta - in anticipo di 2000 anni - alle questioni che infervorano in questi giorni l'opinione pubblica a proposito dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei fratelli e delle sorelle immigrati. Questioni sollevate dalle parole del Card. Biffi, Arcivescovo di Bologna.
In realtà, per dirla col Qoelet, "non c'è niente di nuovo sotto il sole", esiste anzi un sottile filo rosso (coerente) che lega Giosuè, con Giovanni ed il Card. Biffi: è la difesa dei propri interessi, di quelli del proprio gruppo, della propria società, non curandosi di annoverare tra questi Dio stesso, privatizzando anche Lui!
Un atteggiamento non solo riprovevole dal punto di vista morale, ma che denuncia forti carenze quanto alla teologia della Creazione. E' fede biblica quella per cui Dio è Creatore di tutti, e a tutte le creature si comunica attraverso i beni creati. Perciò Dio, per la sua imperscrutabile volontà, appartiene a tutti e tutti devono godere dei beni della creazione, riconoscendosi fratelli, per potere così riconoscersi come figli e lodare il Padre che li ha creati. Senza limiti di barriere o frontiere non contemplate nel piano originario di Dio. Ogni altra valutazione deve necessariamente essere secondaria a questo. Certo, non possiamo pretendere che sia questo il criterio politico degli Stati laici; non possiamo pretendere che tutti ragionino in termini evangelici, ma almeno gli uomini di Chiesa sì!
Potrebbe sembrare dettata dal buon senso la misura della reciprocità: diamo quanto riceviamo. Tante moschee in occidente quante chiese nei paesi islamici. Ma, oltre al fatto che va contro il diritto alla libertà di culto, sancito da quella stessa "civiltà occidentale" che si vorrebbe difendere e fomenta tendenze razziste in forza di un presunto "fondamento teologico", rimane da chiedersi: "cosa c'è di evangelico in tutto questo?". Perché non va scordato che la misura del nostro comportamento non potranno mai essere i meriti altrui, ma i precetti evangelici, sui quali Gesù non ha mai fatto sconti a nessuno e per nessun motivo! Guai a noi se cominciassimo a distinguere "a priori" tra Vangelo e vita!
Inoltre la gravità di simili affermazioni si rivela anche nel fatto che getta nella confusione - "scandalizza" - i piccoli. Non i bambini, che negli asili e nelle scuole hanno già fraternizzato con compagni, sempre più numerosi, venuti da lontano e se oggi ci guardano attoniti - perché non capiscono dove stia il problema - domani (… prima di Dio) ci giudicheranno, ma coloro che non sono così avvezzi alle sottigliezze della teologia da distinguere tra fede e religione, tra religione e cultura, tra le parole di un eminente prelato ed il Magistero stesso della Chiesa. Così restano sconcertati per lo iato tra le affermazioni di un Vescovo e l'insegnamento ed i gesti del Papa: pensiamo anche solo alla lettera enciclica "Ut Unum Sint" e all'incontro di Assisi del 27 ottobre 1986.
Coloro, che a ragione, credono che il Vangelo esiga amore e accoglienza; che ritengono che quanto è fatto agli altri in bene o in male (anche solo un bicchiere…) sia fatto a Dio.
Queste persone spesso restano sconcertate, non si ritrovano in ciò che hanno creduto e faticano a discernere la Verità: "quando sento gli uni mi sembra che abbiano ragione, ma quando ascolto gli altri anche: non so più a chi dar retta!".
Per questo le Parole di Gesù sono tanto sferzanti: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare!". Fortuna del Cardinale, la maggioranza dei cattolici italiani non è fondamentalista, solo certe frange che non sono prerogativa dell'islam, perciò non prenderemo il Vangelo alla lettera: ci limiteremo a buttare nel mare solo le parole che scopriremo antagoniste a quello.
Prendiamo invece sul serio l'altro filo rosso, quello che lega Mosé a Gesù e a Giovanni Paolo II: ritiriamo la mano, quando siamo tentati di stenderla solo per prendere e non per abbracciare o accogliere; fermiamo i nostri passi, quando vorrebbero portarci lontano da chi ha bisogno, non solo delle nostre cose, ma anche della nostra vicinanza; distogliamo gli occhi da quegli aspetti della vita che ci fa troppo comodo vedere, per guardare anche l'altra faccia della realtà.
Celebriamo infine l'Eucaristia anche con un atteggiamento penitenziale: chiedendo al Signore che liberi la sua Chiesa da antiche tentazioni di egoismo; offrendo noi stessi, anima e corpo come strumenti per realizzare le dure ma vitali esigenze del Vangelo; promettendo di alzare sempre la nostra voce ogni qualvolta, un fratello o una sorella rischino di essere discriminati, tanto più se, indebitamente, a nome del Vangelo: costi quel che costi!

Alberto Vitali



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