A.A.A. Spiritualità cercasi

 



Se Giovanni XXIII dovesse curare una nuova edizione dell'enciclica Pacem in terris, probabilmente indicherebbe tra i segni del nostro tempo uno spiccato bisogno di spiritualità. Non già che altre epoche ne fossero prive, ma tale esigenza appare oggi ancor più accentuata, dopo che l'edonismo degli anni ottanta e la crisi ideologica seguita alla dissoluzione del modello sovietico, hanno posto l'uomo del duemila in una situazione tale per cui, se dispone di risorse scientifiche e tecnologiche senza precedenti, deve però fare i conti con vuoti esistenziali di difficile soluzione. Rivincita del sacro sul profano, della religione sulle ideologie atee e materialiste, di Dio sui suoi nemici? Non mancano certo quelli che cantano vittoria… ma la cosa potrebbe risultare più dannosa che proficua! Anzitutto perché, anche all'interno delle Chiese storiche, si va palesando sempre più la possibilità di pericolose derive spiritualistiche che, riducendo l'esperienza di fede ad un intimistico ripiegamento su di sé, portano inevitabilmente l'uomo - sempre più "individuo" - a fuggire dalla realtà e dalle relative responsabilità sociali. Partendo dall'ostinata convinzione che tutto possa risolversi nell'ambito della preghiera d'intercessione o di lode - condita magari con un po' di elemosina - e negando la necessità di lottare per far crescere, qui ed ora, nella storia, quel Regno che Gesù è venuto ad inaugurare, si arriva abbastanza velocemente e senza troppe forzature a ridurre l'esperienza religiosa a vero e proprio "oppio dei popoli", per quanto possa risultarci antipatico che siano altri a farcelo notare. Il passo successivo - per fortuna non automatico, ma rispetto al quale nessuna religione può ritenersi immune - è quello del fondamentalismo. Come ha recentemente e giustamente puntualizzato Mons. Martino, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, si parla spesso del fondamentalismo di matrice islamica, ma "anche noi cristiani abbiamo i nostri fondamentalisti: basti pensare a quei militanti di alcuni gruppi "anti-abortisti" che negli USA sono giunti ad uccidere un medico, reo di praticare l'aborto"… Quando l'intolleranza e la presunzione della verità portano ad uccidere in nome della vita il black out è veramente totale! E di intolleranza, presunzione e religiosità deviata è composta la miscela dei moderni kamikaze, che si fanno esplodere "in nome di Dio", seminando morte e dolore ovunque. Nel panorama del mercato religioso non manca infine una particolare forma di strumentalizzazione dei bisogni - certo più psicologici che spirituali - degli individui più fragili e sprovveduti, che, apparentemente innocua, si rivela piuttosto pericolosa nel tempo, a causa della grande efficacia, sociale e politica, della sua azione. E' la diffusione, già fomentata da almeno un ventennio in America Latina, di alcune sette fondamentaliste, che praticano una predicazione escatologica ed alienante. Utilizzate in funzione antirivoluzionaria fin dai tempi dell'amministrazione Reagan (e perciò sostenute con ingenti somme di denaro), inculcano nella gente la convinzione che la politica sia l'arte del demonio e di conseguenza promettono una meravigliosa ricompensa in paradiso a coloro che ne restano immuni, accettando con rassegnazione la condizione (…di povertà o miseria!) assegnatagli sulla terra "da Dio". Semplice e lineare… Resterebbe solo da chiarire di quale dio si tratti: se del Dio di Gerusalemme, di Nazareth, della Mecca o di quello di Washington! Il fenomeno, tutt'altro che trascurabile, ha già assunto dimensioni tali da costituire una delle principali preoccupazioni sia della Chiesa cattolica che delle Chiese protestanti, presenti nella regione. E poiché il modello funziona, qualcuno ha pensato di esportarlo: agli inizi di maggio, alcuni quotidiani hanno riportato la notizia che almeno 10.000 copie della Bibbia (in arabo) erano già state distribuite in Iraq, mentre altre 50.000 sarebbero in fase di spedizione, al seguito di un esercito di missionari "telepredicatori". Per quanto - a mio modesto parere - le possibilità di successo rasentino lo zero e rischino piuttosto di incrementare lo scontro religioso e sociale in un paese che definire "destabilizzato" sarebbe un eufemismo, l'intento è già di per sé preoccupante e si colloca benissimo nel contesto ideologico che tanto Al Qaeda quanto l'attuale amministrazione statunitense hanno utilizzato, all'indomani dell'11 settembre 2001, per conferire una parvenza di sacrosanta legittimità alle rispettive azioni di conquista. In altre parole: se non ci si può più scannare… o meglio, se non si possono più scannare gli innocenti (!) in nome delle defunte ideologie, non resta che farlo in nome della religione. Così antiche categorie del dualismo manicheo: bene-male, luce-tenebra, Dio-diavolo… e concetti classici della guerra "santa", quali crociata, infedeli, missione… che credevamo ormai sepolti in un remoto passato medievale, ritornano - come nei peggiori film dell'orrore - a giustificare gli attuali conflitti. E allora cosa pensare? Forse che l'esperienza religiosa sia ormai troppo "pericolosa" (suscettibile com'è di antiche e nuove strumentalizzazioni) per avere ancora spazio nella costruzione di un mondo nuovo e "globalizzato"? A qualche nostalgico laicista certo non dispiacerebbe una simile conclusione… ma, in verità, sono convinto dell'esatto contrario. Parafrasando una canzone di Zucchero, potremmo dire che "solo una sana e consapevole spiritualità può salvare il mondo dalla frustrazione e da una catastrofe", esistenziale prima ancora che nucleare. Vale a dire che i tentativi, già in atto, di manipolare a fini illegittimi e deviati il bisogno di spiritualità dell'uomo e della donna contemporanei non possono indurci a negare la genuinità di questa aspirazione, che cerca il proprio compimento tanto sui sentieri dell'esperienza religiosa, quanto su quelli di nuove forme di mistica laica. Negare tale necessità e sostenere pregiudizialmente che la fede, espressa in qualsiasi religione o ideologia, costituisca un elemento pericoloso nella costruzione del mondo nuovo, sarebbe un errore capace solo di portarci alla deriva, in una società certamente tecnologizzata, ma senz'anima; soggetta allo spietato determinismo delle leggi di mercato e agli interessi dei gruppi di potere. Dobbiamo perciò tornare ad attingere acqua, ciascuno al proprio pozzo; non con l'ingordigia di volerla bere da soli o la presunzione di poter rifiutare quella offertaci dal fratello nel cavo della propria mano, ma nella consapevolezza che il futuro dell'umanità potrà essere garantito solo da una vera "convivialità delle differenze", secondo la felice espressione di don Tonino Bello. E nel pozzo della tradizione giudaico-cristiana potremo così recuperare un concetto di spiritualità che, libero da tanti condizionamenti della filosofia greca, sia più vicino alla sensibilità e alle esigenze dell'uomo e della donna di oggi. Se infatti il termine spiritualità deriva da "spirito", nella mentalità comune - della cosiddetta "cultura occidentale" - spirito si contrappone a materia e in ciò è evidente lo scotto pagato all'eredità del dualismo platonico. Poiché, inoltre, con "spiriti" intendiamo generalmente esseri immateriali, senza corpo, molto diversi da noi, va da sé che riteniamo spirituale ciò che non è materiale, che non ha corpo e di conseguenza la parola "spiritualità" finisce per indicare qualche cosa di lontano dalla vita reale, addirittura di inutile. Anche il ricordo di alcune forme particolari di ascetica, che hanno segnato nei secoli la devozione di molte persone, possono indurre ulteriormente a questa conclusione. Ma per la Bibbia "spirito" non si oppone a materia, né a corpo, ma a malvagità e a morte; persino a legge, quando questa venga intesa come un'imposizione che sfocia nella paura e nel castigo: pensiamo, ad esempio, alla riflessione polemica di S. Paolo, contenuta nella lettera ai Romani, che oppone lo spirito che vivifica alla legge che uccide. In ebraico la parola spirito, ruah, significa appunto vento, respiro, alito. E' l'alito che Dio soffia sulla terra appena plasmata perché diventi uomo. In questo senso "spirito" è allora sinonimo di vita, forza e libertà. Non è qualche cosa che si trova fuori dalla materia, dal corpo o dalla realtà, ma è proprio ciò che la fa essere, abitandola e orientandola. Una cosa, una persona è dunque spirituale non quando vive fuori dal tempo, dalla realtà storica e materiale, ma, al contrario, quando vi sta dentro, camminando, perché mossa dallo spirito. Pedro Casaldáliga, vescovo in Brasile e J. M. Vigil definiscono così lo spirito di una persona: "è ciò che vi è di più profondo nel suo essere: le sue "motivazioni" ultime, il suo ideale, la sua utopia, la sua passione, la mistica di cui vive, con cui lotta e da cui sono contagiati gli altri". Da ciò si evince immediatamente che lo spirito è quella cosa originale che caratterizza gli uomini e le donne, oltre la loro stessa vita biologica, e che pertanto non può essere solo una prerogativa delle persone religiose. Tutti hanno uno spirito, e di conseguenza vivono secondo una "spiritualità" propria, perché essere persona significa esattamente assumere la propria libertà di fronte al mistero della vita, al destino, personale e altrui, al futuro… E' "scegliere" per dare un senso alla storia, una risposta personale agli interrogativi ultimi dell'esistenza, che sono comuni a tutti. Non si tratta evidentemente di domande esclusivamente "religiose", ma sommamente "umane" e perciò la questione è cosa che riguarda tutti. E' la scelta fondamentale con cui ciascuno decide quale valore porre al centro della propria vita, quale sia il suo assoluto, il suo Dio, secondo l'accezione di Origene, per cui "Dio è quello che uno mette al di sopra di tutto il resto". Ostinarsi a separare lo spirito dalla materia e dal corpo, significherebbe condannare l'uomo a perdere il proprio centro, a vivere fuori di sé; in una parola: ad alienarsi. Ma allora è altrettanto vero che sarà proprio la storia - e nello specifico la realtà quotidiana - l'orizzonte dentro cui l'uomo deve cercare le sue risposte, le sue verità e infine trovare se stesso. Non a caso Gesù non ha voluto percorrere gli astrattismi della teologia del tempio, ma le strade impolverate della quotidianità palestinese, per parlare di Dio agli uomini, del suo e di ogni tempo. A quelli che lo professano figlio di Dio e a quanti lo riconoscono semplicemente come un buon compagno di strada. Persino a coloro che lo rifiutano come un inganno, che impedisce alla parte migliore dell'umanità di raggiungere il vertice delle proprie potenzialità, condannandola a strascinarsi dietro la zavorra dei poveri e degli straccioni. Per questo vogliamo tornare - e in fretta - ad attingere dai Vangeli la spiritualità di Gesù di Nazareth, perché, facendoci finalmente superare le fattezze del "Dio dei filosofi", ci porti a riscoprire il vero volto del Padre, che dai tempi di Abramo, e soprattutto con Mosé ed i profeti, si è rivelato Dio della vita, della storia e della liberazione. Di più, si è rivelato come il Dio della vera libertà. Colui che più di tutti rispetta l'uomo nella sua dignità e alterità; che "propone" e non impone un progetto veramente alternativo (il Regno) per la costruzione di un mondo solidale, nella giustizia e nella Pace. Per questo ha inviato Gesù!.. Ma il semplice fatto di "credere" non può bastare, né a noi cristiani (S. Giacomo dice che "anche i demoni credono e tremano!" Gc 2,19) né agli altri, uomini e donne del nostro tempo con cui vogliamo camminare. Abbiamo bisogno di credere "come" Gesù, nel "suo" Dio; quel Dio che si è compromesso, "sporcandosi le mani" con l'uomo e certo non è il "deus ex-machina", freddo e lontano: giustificazione ultima di tutti i nostri egoismi e dei nostri alibi. E allora, altro che fuga dalla storia e dalla realtà! La vera spiritualità del Vangelo ci ributterà dentro la mischia, costringendoci ad assumere fino in fondo le nostre responsabilità; a condividere con gli altri - di qualsiasi cultura, religione, ideologia - il compito di costruire un mondo diverso, possibile e necessario; a smetterla di essere gente di buon senso, per diventare uomini e donne di Dio, che è tutta un'altra cosa! A fare scelte radicali, come l'opzione per i poveri: se vorremo continuare a celebrare l'Eucaristia e a comunicarci in spirito e verità, dovremo comprendere che il peggior sacrilegio è quello di spezzare il "pane di Dio" nella celebrazione, rifiutandosi poi di spezzare il "pane della terra" nella vita di ogni giorno. E allora, ancora una volta, ci sovviene la "sapientia cordis" di don Tonino: "Spiritualità non significa confino nelle zone vaporose dei sospiri, o trastullo di gruppo con la panna montata delle canzonette religiose. Mi sembra molto significativa una espressione di Nicolas Berdiaeff: "il pane per me stesso è una questione materiale. Il pane per il mio vicino è una questione spirituale". Spiritualità della pace significa appunto cercare il pane per il proprio vicino". Se saremo cioè uomini e donne autenticamente "spirituali", saremo anche compagni di tutti, nel senso più vero ed etimologico del termine: "com-panio", "coloro che hanno il pane in comune". Perché già da ora e sempre più nel mondo futuro, diverso, possibile, necessario… il pane e la vita vogliamo "con-dividerli" con tutti. E allora ciascuno capirà.

Alberto Vitali



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