E Dio passò per El Salvador   

                                                                    



"Nessun soldato è obbligato ad obbedire a un ordine contro la Legge di Dio…". Tremarono fin nelle fondamenta i palazzi del potere quando l'Arcivescovo, dall'altare della cattedrale, osò spingersi dove nessuno era mai arrivato: porre i militari di fronte all'alternativa tra gli ordini delle gerarchie e la legge di Dio. Oggi siamo noi a tremare di commozione, riascoltando quelle parole, che a distanza di ventidue anni suonano più che mai profetiche e che nessuno ha più avuto il coraggio di ripetere, da nessun altare del mondo. Forse perché Mons. Romero le firmò, la sera successiva, con il proprio sangue, sull'altare della cappella dell'ospedale dei poveri, al momento dell'offertorio. Forse perché per giungere a tanto è necessario un lungo cammino di liberazione che non si può percorrere da soli, ma soltanto in mezzo ad un popolo crocifisso.

E questa non è la condizione quotidiana delle chiese, per quanto lo sia per la maggior parte dell'umanità. L'Arcivescovo quel giorno non era salito sull'altare da solo: si portava dentro il suo popolo martoriato e disperato e ciò gli permetteva, da tempo, di trascendere i propri limiti e le proprie paure. Romero era infatti un uomo pauroso e psicologicamente fragile. Ci confidava padre Rutilio Sanchez, suo collaboratore come responsabile della Caritas diocesana: "era incredibile costatare la differenza tra la sua fragilità, le sue paure, e la forza profetica che erompeva dalla sua persona quando commentava il Vangelo e denunciava i crimini. Sull'altare era un altro uomo!".

E ancora: "siamo stati noi a mandarlo al martirio… perché gli portavamo ogni settimana i fatti documentati di quanto succedeva e gli dicevamo: "deve denunciarli". Lui aveva paura, ma dopo averli esaminati attentamente concludeva: "è giusto, è mio dovere di pastore!"". E allora prendeva posizione, in modo forte e discriminante, senza per questo essere ideologizzato… con buona pace di coloro che lo accusavano di comunismo perché si era messo dalla parte degli oppressi. In realtà ridevano anche i sassi del Salvador, quando l'Arcivescovo veniva etichettato così; altri vescovi in America Latina avevano appoggiato apertamente, in quegli anni, i movimenti di liberazione ispirati al marxismo, ma la sua formazione ed il suo carattere glielo avrebbero sempre impedito.

A muoverlo - e a creargli problemi - erano piuttosto la Parola di Dio ed il popolo: due elementi che combinandosi scatenavano in lui una miscela esplosiva di profezia: "È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un'opzione preferenziale per i poveri. E' uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché pensa "in favore" dei poveri. Questo non è cristianesimo!... Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice "in favore dei poveri", stia diventando comunista, stia facendo politica, sia opportunista. Non è così, perché questa è stata la dottrina di sempre. La lettura di oggi non è stata scritta nel 1979. San Giacomo scrisse venti secoli fa. Quel che succede, invece, è che noi, cristiani di oggi, ci siamo dimenticati di quali siano le letture chiamate a sostenere e indirizzare la vita dei cristiani. Quando diciamo "in favore dei poveri", non intendiamo - badate bene - indirizzarci in modo parziale verso una sola classe sociale: "Quel che noi diciamo - afferma Puebla - vuole essere un invito rivolto a tutte le classi sociali, senza distinzione di ricchi e di poveri. A tutti diciamo: Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più - come in effetti poi è - la causa stessa di Gesù Cristo"" (omelia 9.09.'79).

Ma evidentemente non tutti la pensavano così: allora come oggi, non mancano persone che ritengono di poter essere "buoni cristiani" anche opprimendo i poveri, uccidendo direttamente o indirettamente gli indifesi, e giustificando ogni forma di guerra e repressione. E' certamente paradossale, ma possibile quando si scava un abisso incolmabile tra la Parola di Dio e la risposta dell'uomo mediante l'annientamento della coscienza credente, che viene sostituita da una religiosità pretestuosa, gestita a proprio uso e consumo!

Per questo le parole di Mons. Romero suonano di straordinaria attualità: "Ora è tempo che recuperiate la vostra coscienza e che obbediate alla vostra coscienza piuttosto che all'ordine del peccato…": sono parole che evidentemente riguardano tutti, non solo i militari. Anche noi, che all'inizio del terzo millennio cristiano ci troviamo a fare i conti con una nuova guerra planetaria dai contorni e i tempi incerti. Una guerra che interpella il giudizio delle nostre coscienze e ci pone - se pur in condizioni molto differenti - nella stessa situazione esistenziale di quei soldati che Mons. Romero pose drasticamente di fronte alle proprie responsabilità, alle proprie coscienze e soprattutto a Dio. Certo noi non siamo mandati a sparare o a bombardare, ma deleghiamo altri a farlo per noi.

I nostri democraticissimi governi in nome della "sicurezza nazionale" - concetto sinistramente conosciuto in tutta l'America Latina - non si preoccupano del numero di vite innocenti sacrificate ogni volta nelle modernissime guerre umanitarie per il ripristino del "diritto" o la conservazione di una illusoria "libertà infinita". E l'Arcivescovo rimane lì, oltre il tempo, a ricordarci che un bambino, un vecchio, una donna… mutilati o martoriati in Salvador, negli Usa, in Iraq o in Afghanistan, hanno lo stesso valore al cospetto di Dio e non possono non lacerare la coscienza credente. Le sue parole, che richiamano alle responsabilità personali, risultano quanto mai in controtendenza nel momento in cui i poteri forti chiedono piuttosto deleghe in bianco. Niente può risultare più destabilizzante per l'ordine costituito che la coscienza personale.

Se i militari anziché obbedire ciecamente iniziassero ad interrogarsi; se la religione cessasse d'essere un analgesico dei popoli per diventare il principio attivo del loro riscatto; se il Vangelo proclamato nelle chiese, nei giorni festivi, diventasse volano di tutte le decisioni feriali: dove andremmo a finire? L'attuale sistema economico-politico può davvero permettere che la coscienza personale torni ad avere un ruolo primario nella vita dei singoli e di conseguenza costoro possano condizionare le scelte internazionali sulla base di principi etici? "Vogliamo che il Governo consideri seriamente che non servono a niente le riforme se sono ottenute con tanto sangue…".

Ecco l'altro picco inaudito toccato dall'Arcivescovo: presentare il conto di sangue e vite umane, pagato ogni giorno dagli indifesi alle moderne strategie economiche e finanziarie, supportate dagli stati. Che lo dica la piazza, pazienza, passi… ma se ci si mette anche la Chiesa, allora non ci stanno più. Non possono accettarlo coloro che concepiscono la religione quale damigella della politica, riverita certo, ma buona solo per benedire gagliardetti. Anche Romero l'aveva fatto un tempo, ma ormai la sua profonda sincerità e incondizionata fedeltà a Dio l'avevano irrimediabilmente guarito. Perciò quell'uomo andava eliminato. Troppo tardi però: la sua voce era già risuonata forte e precisa, e le sue parole, custodite nel cuore del popolo che lo amava, più nessuno avrebbe potuto spegnerle. Sono le stesse parole che oggi risuonano in noi e scuotono le nostre coscienze e le nostre emozioni. Parole vere e indelebili perché non umane. Come ebbe a dire Ignacio Ellacuria, suo amico e stretto collaboratore, che lo seguirà sulla via del martirio nove anni dopo, insieme a cinque confratelli gesuiti e a due donne inermi: "con Mons. Romero Dio è passato per il Salvador!".

Alberto Vitali



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