Lo
scorso 18 gennaio, la Commissione socio-politica della nostra
parrocchia ha organizzato una serata di riflessione e dibattito
sul tema "La Costituzione, patrimonio di tutti", relatore d'eccezione
il presidente Oscar Luigi Scalfaro. La competenza, ma anche il
pathos della sua testimonianza, frutto di una pluridecennale esperienza
personale, hanno impressionato molto positivamente gli intervenuti,
così che nei giorni successivi abbiamo ricevuto molti attestati
di apprezzamento e gratitudine.
Non sono però mancate - ancora una volta - note di disappunto,
perplessità e persino qualche protesta, tanto per l'esistenza
di una commissione "socio-politica" parrocchiale, che per gli
argomenti proposti nel corso di questi anni (guerre e pace, squilibrio
economico e sociale nel mondo, i diritti…); nonché per il taglio
con cui tali tematiche vengono affrontate. Pertanto, anzitutto
come prete, ma anche quale responsabile della suddetta commissione,
credo che alcune puntualizzazioni siano perlomeno necessarie,
spero anche utili...
Anzitutto
circa l'esistenza di una commissione socio-politica: almeno questa,
non è una peculiarità della nostra parrocchia. Sono infatti diverse
le istanze diocesane (parrocchie, decanati…) che hanno scelto
di concretizzare, mediante la creazione di un'apposita commissione,
l'indicazione del Sinodo 47° (Cfr. § 563) che sollecita una particolare
attenzione per l'educazione all'impegno sociale e politico dei
fedeli laici. Il testo sinodale incoraggia precisamente a diversificare
ed incrementare diversi livelli di formazione: da quello innestato
nella catechesi ordinaria a vere e proprie scuole diocesane di
formazione all'impegno sociale e politico…
Per evidenti ragioni di spazio, non possiamo analizzare qui, compiutamente,
i molteplici documenti ecclesiastici che a partire dal Concilio
Vaticano II hanno espresso, in contesti diversi, la medesima sollecitazione:
quella di aiutare i credenti a "leggere i segni dei tempi" (per
dirla con papa Giovanni) alla luce della Parola di Dio… ma proprio
qui viene il punto dolente.
Già,
perché tra i "credenti" non mancano evidentemente quelli che vorrebbero
ridurre il Vangelo ad una somma di "bei racconti edificanti";
la pratica cristiana ad uno scambio di "immaginette" e devozioni;
l'esperienza religiosa a pura consolazione e - perché no? - ad
una buona assicurazione sulla vita… per prendersela poi con il
Padreterno alla prima occasione in cui qualcosa va' storto! Purtroppo
per loro però, ciò significherebbe tradire il mandato lasciatoci
dal Signore Gesù, "il quale pur essendo di natura divina" per
primo ha provato (e pagato) nella sua carne il prezzo di una religione
che non si interessa della vita degli angeli, ma di quello che
succede sulla terra. Chi infatti potrebbe pensare che quando se
ne andava per strade e città proclamando: "Beati voi poveri… ma
guai a voi ricchi" (Lc 6,20-26), oppure: "Se uno ti percuote sulla
guancia destra, tu porgigli anche l'altra" (Mt 5,39)… tutti fossero
contenti? Non a caso non è propriamente morto nel suo letto! E
forse non è superfluo ricordare che l'accusa, e relativa sentenza,
che lo condannarono a morte, furono entrambe di natura politica:
da Pilato, Gesù fu condannato in quanto "si era messo contro Cesare"
(Gv 19,12); pericoloso all'impero, per le idee che diffondeva
ed il seguito che raccoglieva, non certo per essersi proclamato
figlio di Dio! La croce infatti era la morte riservata agli schiavi
ribelli o agli agitatori politici. Ma anche l'altro processo,
quello presieduto da Anna e Caifa (Gv 18,12ss) aveva fondamentalmente
una motivazione ed una preoccupazione politica: quella che - fraintendendo
la natura e gli scopi del suo movimento - per repressione, i romani
non distruggessero il tempio di Gerusalemme (Gv 11,48). Del resto,
di gente che si proclamava il Messia a quei tempi ce n'era un
sacco, e nei loro confronti, come dimostra l'episodio di Gamaliele
(At 5,34), persino il Sinedrio si mostrava tollerante, se non
addirittura indifferente.
Ma Gesù era davvero pericoloso, politicamente pericoloso: per
quanto tutt'altro che "partitico" le sue idee, i suoi valori,
rischiavano di corrodere dall'interno le fondamenta ingiuste,
oppressive, discriminanti dell'impero romano, e la storia lo avrebbe
dimostrato! E che dire infine di sua Madre, che ha avuto la sfrontatezza
di cantare nel Magnificat: "ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha
rimandato a mani vuote i ricchi" (Lc 1,52-53)?
Tranquilli:
nemmeno alla commissione socio-politica avremmo avuto il coraggio
di arrivare a tanto! Certo, abbiamo poi avuto 2000 anni di tempo
per "aggiustare le cose"; per "fare l'esegesi"… cioè per girarci
attorno e tentare di indorare la pillola, ma nessuno ha mai avuto
il coraggio di censurare, poco o tanto, il Vangelo. E certe parole,
così come lo Spirito le ha fatte pronunciare a Gesù, restano lì
a bruciarci sul vivo.
Per
finire, queste riflessioni mi hanno ricordato un episodio successo
a Mons. Romero, l'arcivescovo martire di San Salvador, di cui
il 24 marzo p.v. celebreremo il 25° anniversario. Lo raccontò
egli stesso ad una intervistatrice: "Sempre quando si predica
la verità contro le ingiustizie, contro gli abusi, contro i soprusi,
la verità fa male. Già le dissi un giorno l'esempio semplice del
contadino. Mi disse: "Monsignore quando uno mette la mano in una
pentola di acqua con sale, se la mano è sana non succede niente,
ma se ha una ferita, ahi, duole. La chiesa è il sale del mondo
e naturalmente dove ci sono ferite questo sale deve bruciare…".
Evidentemente
e per fortuna, il sale non si è ancora insipidito; ma altrettanto
evidentemente, purtroppo, alcune ferite stentano a cicatrizzarsi!
Alberto
Vitali
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