Mons. Samuel Ruiz García

 


L'opera pastorale e sociale della Chiesa
di S. Cristobal De Las Casas

intervento di don Samuel a Cusano Mil. (Mi)
15 febbraio 1998

Parte prima: il saluto

Sono veramente senza parole perché mai sospettavo che si sviluppasse una lunga attesa per questo guaio avuto nel viaggio. Siamo usciti da Città del Messico un ora e mezzo in ritardo sull'orario fissato sempre dicono questioni tecniche, sicurezza dei passeggeri e non siamo riusciti a fare la nostra connessione a Madrid sicché siamo usciti alle 9 con conseguente ritardo per il nostro arrivo. Io non ho altra cosa da dire a voi che sono in grande ammirazione perché strada facendo in compagnia di padre Pierino della diocesi di Lodi che da venti anni lavora a Città del Messico e ora ha il passaporto messicano, mi ha fatto conoscere la grande disposizione missionaria di Lodi e di questa regione verso parecchi luoghi missionari dell'America Latina: come l'Ecuador, Città del Messico e le sue vicinanze, lui mi diceva anche di tutti quei sacerdoti che sono stati inviati e così vedevamo questo nostro viaggio come un ringraziamento che porto a nome della nostra nazione messicana per questa solidarietà missionaria che da parecchi anni è stata sviluppata da voi verso di noi. Cosi come quasi ogni giorno, specialmente da quando sono accaduti gli avvenimenti conosciuti da tutti quanti, una grande, continua e numerosa presenza dall'Italia si sviluppa nella nostra diocesi di San Cristobal de Las Casas nel Sud del Messico, avvenimenti non sempre gioiosi hanno preceduto una fama che adesso è sparsa in tutto il mondo e voglio segnalare specialmente il grande conforto che si sperimenta quando si sa che una situazione non soltanto è conosciuta ma da parte di tante persone inondate dalla stessa fede c'è una costante preghiera per la pace e non soltanto una preghiera, ma una compagnia un attenzione alle situazioni e la presenza fisica di molte persone che vanno là per essere presenti, per dimostrare la loro solidarietà con la gente che si trova nella sofferenza. Non ho altra parola dunque da dire a voi che grazie tante per tutte queste cose che voi fate e non so cos'altro fare perché sono un po' in vergogna per essere la causa di tanta lunga attesa e non voglio farvi faticare più con un italiano che non è precisamente classico.

Parte seconda: l'opera pastorale e sociale nella diocesi di San Cristobal

Mi è stato suggerito di dire qualche cosa sul lavoro pastorale: hanno toccato una figura speciale ma molto pericolosa perché c'è il rischio di parlare fino alle 10 di domani mattina di continuo. Posso dire che da 38 anni lavoro in quella diocesi. Sono arrivato là nel 1959, nel mese di dicembre, senza interruzione sono stato lì. Abbiamo scoperto gradualmente, non è stata una scoperta immediata, il grande tesoro che consiste nel lavorare coi poveri tra i poveri, cioè gli indios. All'incirca il 75% della popolazione della nostra diocesi, che attualmente è di un milione e trecentomila abitanti, è indiano. Si parlano 5 lingue differenti tutte quante derivate dall'antica lingua Maya perciò si chiamano lingue mayenses, cosi come il latino genera lo spagnolo l'italiano il portoghese il francese: lingue differenti ma con la stessa radice, cosi si parlano là il Chol, il Tzeltal, il Tzotzil, Tojolabal, il Chontales, che sono lingue differenti tra di loro ma con le radici comuni. E' molto interessante addentrarsi nella mentalità, nell'utopia che si può guardare tramite la lingua di quella popolazione. Una lingua differente: non soltanto suoni distinti con contenuto tale o quale, ma è un universo da guardare da dentro. Dire per esempio "essere assetato" è una espressione che significa "il mio cuore è duro come un sasso", questo è avere sete. Tutto quanto è in relazione con la coltivazione della terra. Per dire di avere superato la fame si dice "il mio cuore è soddisfatto". Non lo stomaco ma il cuore. Dunque essere affamato significa avere qualche pena o sofferenza nel cuore. Interessante la dimensione di comunità anche per la traduzione della Bibbia nelle differenti lingue indiane. Abbiamo avuto parecchie difficoltà, alcuna anche un po' bizzarra. Non ci sono generalmente parlando in queste lingue nostre parole astratte, ma sono tutte quante cose concrete. Per dire vita non si può parlare della vita perché la vita è vivente in un uomo o in una donna ma non si trova la vita per la strada da sola, ma è incarnata in qualche essere vivente. Così abbiamo avuto bisogno di fare la traduzione della preghiera dell'Ave Maria e in quell'espressione "benedetto il frutto del tuo ventre" abbiamo visto che la parola frutto era un po' astratta e bisognava tradurla per quello che significa "benedetto il figlio del tuo ventre". Ma i missionari ascoltavano due differenti parole. Una più frequentemente per dire figlio, un'altra meno frequente ma significava per loro lo stesso: Nician, figlio e Alal, figlio. Hanno scelto quella parola più frequentemente ascoltata, Nician, e hanno tradotto dunque "benedetto il figlio del tuo ventre". Ma avevano una grande confusione perché solitamente parlavano con gli uomini e meno con le donne più prese con le loro case. La parola Nician, figlio, significa certamente un figlio ma che ha il suo babbo, non la sua mamma. Dunque abbiamo fatto Maria Vergine babbo, il padre di Gesù. Quando poi abbiamo chiesto agli indiani: mai perché mai non ci avete corretto? "O padre tu ci hai detto che era un mistero". Qualche cosa che è accaduta è la seguente. In parecchie regioni della nostra diocesi sono arrivati prima coloro che seguono altre confessioni cristiane. Essi hanno fatto la traduzione del Nuovo Testamento prima che noi facessimo una nostra traduzione e abbiamo usato anche la loro. Diventando amici di qualche persone che è stato l'assistente l'assessore generale per l'America Latina per la traduzione dallo spagnolo chiamata "Dios llega a l'hombre" Dio arriva all'uomo, una versione ormai conosciuta in tutto il continente latinoamericano ci hanno offerto di fare una revisione della traduzione in lingua Tzeltal, perché noi eravamo quelli che acquistavano di più questa traduzione, allora ci hanno detto fateci una revisione, diteci cosa si può cambiare nella nostra edizione perché dobbiamo farne un'altra. C'erano purtroppo parecchie parole, non soltanto non adeguate, ma anche mistraduzioni. Una persona molto capace, non era per ignoranza, aveva fatto questo apposta. Cioè per esempio nella lettera di s. Paolo ai Filippesi si legge "con grande tristezza parlo a voi perché ci sono alcuni adoratori della croce di Cristo per i quali Dio è ventre", ma la traduzione fatta da questa persona diceva semplicemente "gli adoratori della croce di Cristo sono adoratori del ventre" facendo dunque una identità tra cattolici e adoratori del ventre. Quando abbiamo fatto questa retrotraduzione di fronte a questa persona è stata molto colpita da questo perché la signora Slocum, l'autrice di questa traduzione conosceva abbastanza bene non soltanto il latino ma il greco, l'ebraico, l'aramaico e parlava in latino fluentemente, anche due differenti lingue degli indiani dunque era una persona sufficientemente capace per fare questo lavoro. Non era uno sbaglio ma una traduzione in malafede. Dunque a conseguenza di questo ci hanno offerto un contributo per due persone che potessero fare un corso per poi aiutarci nel fare una traduzione fatta da noi perché era impossibile fare la revisione della loro traduzione perché ogni pagina c'era qualche cosa da correggere. Era su placche metalliche e non c'era la possibilità di fare troppi cambiamenti. Allora ci hanno offerto un contributo per fare una nostra traduzione. Questo è stato interessante per la nostra diocesi perché prima nella regione dove ci sono ancora a lavorare i gesuiti c'erano due fratelli, e ci sono ancora, che hanno imparato abbastanza bene la lingua tzeltal e ciascuno aveva un gruppetto di 10 persone come aiutanti per la traduzione così che si consultavano con questo gruppetto. Ogni due settimane avevano un incontro per confrontare la traduzione di dieci versetti del Vangelo di San Marco, con cui hanno cominciato. Si incontravano per fare la scelta della traduzione più appropriata. Poi si dava ad una comunità per verificare se effettivamente era comprensibile la traduzione scelta o se non lo fosse. Così pian piano si è arrivati a fare la traduzione del Vangelo di San Marco. Ma poi quando questo signore ci ha offerto questa possibilità di avere corsi specifici per traduttori della Bibbia subito hanno reagito questi due sacerdoti ricordando che la lingua tzeltal era imparata da loro ma non era la loro lingua materna e che per ciò quelli che dovevano tradurre la Bibbia non dovevano essere loro ma gli stessi indiani. Così che si è scelto tra le comunità: ogni comunità che voleva entrare in questo processo di traduzione ha scelto un libro differente da tradurre e così siamo arrivati ad un'esperienza interessante come quella che si è avuta nel Nuovo Testamento che prima di essere scritta la Bibbia o il Nuovo testamento è rimasto nella tradizione del popolo cristiano e poi finalmente è stata messa per iscritto. Così l'esperienza della diocesi in quest'area è stata molto interessante perché le comunità hanno cooperato nella traduzione della Bibbia in questo casi che racconto del Nuovo Testamento. Io sono rimasto veramente stupito quando mi hanno fatto arrivare la traduzione del primo capitolo del Vangelo di S. Giovanni. Quasi quasi sembrava che si stesse leggendo lo stesso originale di S. Giovanni perché gli indiani parlano con movimenti ideologici di trilogia, dicono più o meno la stessa cosa tre volte, e così rimane fortemente impressa nel cuore: "nel principio era il Verbo, il Verbo era Dio, e Dio era col Verbo" e così prosegue questo Vangelo parlando con tre idee in ogni versetto. Leggendo questa traduzione sembrava quasi di leggere lo stesso testo originale. Io ho visto veramente la differenza tra la traduzione antica di due sacerdoti con 10 persone ciascuno e una comunità che fa nella loro propria lingua una traduzione del Nuovo testamento. Noi entriamo adesso in un momento interessante. Abbiamo dopo 38 anni di lavoro e grazie alla collaborazione di tutti i sacerdoti e religiosi che lavorano con noi 8.000 catechisti indiani più 200 diaconi ordinati e siamo al punto di attraversare la linea critica per arrivare, magari prossimamente quando il papa visiterà nuovamente la nostra patria, all'ordinazione dei sacerdoti indiani. Non ci sono sacerdoti indiani ordinati là. Ci sono persone nate come indio che entrano in un processo di formazione piuttosto di trasformazione o di trasculturazione, dove rrivano con la loro cultura e nel processo di formazione le strappano questa cultura. Mi diceva un sacerdote che aveva recuperato la sua coscienza di essere indio: "sono arrivato in Seminario e dopo pochi giorni mi ha chiamato il rettore e mi ha detto "devi fare qui un buco" "dobbiamo piantare qualcosa?" "Vediamo dopo: comincia a fare questo lavoro". E lui ha iniziato a fare un buco nella terra e quando era quasi alla cintura di profondità è andato dal rettore chiedendogli "è abbastanza o devo continuare?" "E' sufficiente" "Cosa piantiamo qui?" "Adesso qui - gli ha detto il rettore - devi mettere tutto il tuo complesso di inferiorità, la tua lingua, i tuoi costumi e copri con la terra. Devi essere uguale a tutti gli altri, non deve esserci differenza tra la tua persona e gli altri. Voleva essere un buon modo di non farlo sentire diverso ma uguale a tutti, ma così doveva mettere sotto terra tutta la sua identità indiana. "Così - mi ha detto - ho iniziato a sperimentare la vita di un pesce fuor d'acqua, ho imparato a fare questo. Ho dimenticato la mia lingua, la mia cultura, i miei costumi ed anche il mio babbo e la mia mamma erano nella mia città natale, loro non parlavano lo spagnolo ma io avevo dimenticato tutto quanto in questo processo di dieci anni di formazione. E quando sono arrivato all'ordinazione sacerdotale il vescovo mi ha destinato precisamente alla mia città. Tutta quanta la popolazione mi guardava con diffidenza dicendo "questo lo hanno spagnolizzato, questo è un traditore che non è riuscito a restare fedele alla nostra identità". Ho dovuto lavorare a causa di questa situazione per imparare di nuovo la mia lingua, i miei costumi. E dopo qualche tempo la popolazione mi ha domandato "tu sei deciso a stare con noi? Hai recuperato veramente la tua identità" "Certamente sono con voi fratelli fino alla fine della mia vita, eccezione fatta per un comando del vescovo se mi trasferisse in un altro luogo". Ebbene dopo qualche giorno sono arrivate le autorità e mi hanno detto "veramente abbiamo appurato che sei diventato uno dei nostri e ti siamo tanto grati. Qualche settimana fa ho sentito l'avvicinamento di una musica. La musica della banda musicale della popolazione. Dicevo: "non mi rendo conto. Oggi non è nessuna festività religiosa, non c'è nessun matrimonio. Cosa c'è? Tutta la popolazione con il presidente municipale è arrivata verso la parrocchia. Vengono qua! Non è il giorno del mio onomastico: cosa celebreranno? Allora sono arrivati là. Io ho aperto la porta sono passati. Ho chiesto: cosa si celebra? "Noi celebriamo con gioia la tua permanenza, la tua fedeltà a noi e perciò ha detto il presidente municipale come segno della nostra gratitudine verso te ecco la mia figlia in matrimonio!". Allora qualche movimento di terra è caduto e io sapevo - diceva questo prete - che c'era un lungo processo di sincerità in quel fatto. Dunque dovevo dire di no quando la popolazione era arrivata alla più grande decisione di gratitudine e di amicizia con me. Ho detto: "attendete un po', vado a chiedere un'indicazione al mio vescovo, cosa dice lui". Arrivando là gli ha detto il vescovo. "mamma mia, come vuoi tu poverino che io cambi tutta la legge della Chiesa per il tuo caso". Dunque questa è una situazione generalizzata nel continente. Per sapere se una persona è matura, se un adulto è maturo, deve avere almeno la minima esperienza di guidare la minima cellula della società che è la famiglia. "Se qualcuno a 35/40 anni non è maritato non ha avuto la possibilità di maturare e di avere una minima esperienza" questa è la maniera di pensare nella cultura degli indios dall'Alaska fina alla Patagonia, senza una sola eccezione. Dunque abbiamo questa sfida. Quando anni fa un Cardinale di cui non ricordo il nome, Prefetto della Evangelizzazione dei Popoli, aveva chiesto di visitare la mia diocesi. Dopo la visita abbiamo parlato con lui e gli abbiamo fatto questa domanda: "Eminenza cosa pensa dell'ordinazione degli indios nel continente?" Lui, conoscendo questo contesto spiegato, disse: "AH, ci sono delle domande che non si devono fare perché non si possono rispondere e io in qualità di cardinale presidente del Segretariato dell'Evangelizzazione dei popoli non posso dire questa parola" questo ha risposto ufficialmente dunque non dite a nessuno che io ho risposto così: "vescovi dell'America Latina dovete compiere la vostra responsabilità storica" Lui ha detto così qualche tempo fa. E' morto qualche hanno fa questo cardinale. Dunque si vede che il momento storico era favorevole a fare un passo avanti visto che il documento del Concilio Vaticano II, Ad Gentes, sulla missione alle genti, grazie alla chiarificazione fatta dai vescovi africani parla chiaramente che si deve lavorare profondamente per fare uscire nella Chiesa delle Chiese autoctone, cioè non dipendenti dall'esterno, che hanno la possibilità di avere i loro ministri, le loro vocazioni e anche la loro riflessione teologica secondo la loro cultura, non soltanto la traduzione linguistica, ma la maniera di vedere, rispettando i valori perché Dio è stato presente, si è rivelato a questi popoli come dice l'apostolo Paolo, consentendo che ogni gruppo etnico, ogni popolo abbia una rivelazione di Dio per arrivare ad un momento storico in cui Dio tramite Gesù Cristo chiama tutti questi popoli per fare un popolo dei popoli, il popolodi Dio che è configurato per la presenza di questi uomini e donne che hanno ricevuto una traduzione, una comunicazione di Dio anche loro per arrivare al momento di una chiamata universale. Molto delicatamente e molto poeticamente anche, i vescovi dell'America Latina radunati a Santo Domingo si sono espressi in un introduzione ai loro lavori dicendo "fortunatamente Cristoforo Colombo non ha portato Dio per la prima volta sui piroscafi: Dio c'era nel continente, era conosciuto con nomi diversi, altre tradizioni, avvicinamenti differenti a questa rivelazione di Dio, ma che non erano soltanto delle piattaforme di lancio per arrivare al cristianesimo, ma sono parte della rivelazione di Dio e fanno anche parte di quella ricchezza che deve essere divisa, partecipata a tutta la comunità universale. Anche il Concilio ci parla delle tradizioni mistiche delle diverse religioni che devono essere pure patrimonio della Chiesa universale, e cioè aspettiamo questo momento storico con la emergenza degli indios conosciuta e profeticamente rivelata dal papa attuale Giovanni Paolo II, quando nel maggio del 1993 in Jucatan parlando propriamente agli indios, rappresentanti di tutto il continente, gli ha detto: "voi siete soggetto della nuova evangelizzazione del continente" e anche ha detto "voi siete anche soggetto della trasformazione integrale del continente", riconoscendo l'emergenza di questo nuovo soggetto nel continente. Dunque siamo nelle vicinanze con questa emergenza degli indios nel continente di avere un tempo nuovo, cioè la possibilità di un rapporto, di una intercomunicazione tra le religione precolombiane degli indios e la religione cristiana, dialogo che mai è stato sviluppato tempo fa perché si è arrivati nel tempo dell'evangelizzazione del nostro continente a lasciarci certamente il contenuto dell'evangelizzazione, ma purtroppo in qualche momento con la confusione che questo contenuto dovesse esprimersi solo nella cultura occidentale così detta cristiana, perché ha avuto certamente il cristianesimo un influsso profondo nella nascita di questa cultura occidentale, ma si è fatto una identificazione così che nel continente latinoamericano c'è questo fenomeno psicologico di una doppia personalità: gli indios per esprimersi e realiz zarsi come cristiani devono uscire dallo loro cultura per manifestare la loro religione cristiana con la cultura che è estranea a loro, la cultura occidentale. Ma adesso nel continente c'è un evoluzione abbastanza grande: speriamo sia un momento opportuno di dialogo tra le religioni precolombiane, che adesso fanno una riflessione forte ed il cristianesimo. Siamo dunque in questo momento di grande ricchezza futura di un dialogo religioso che non si è sviluppato tempo fa. Dunque vi sono grato per questa vostra attenzione, per questa attesa e soprattutto per le vostre preghiere che so dite quotidianamente per la nostra strada di consolidamento della pace non senza la giustizia, perché come dice un salmo "la giustizia e la pace si baciano"

Parte terza: cosa possiamo fare noi

D'una parte io so che si fa quello che si può domandare, voi siete solidali nella preghiera e questa preghiera diretta al Signore si traduce in una grande fortezza, in una continuazione dei lavori, stranamente quando le cose portano ad uno scoraggiamento si sente invece tutto il contrario perché si sa poi dopo che non siamo soli abbandonati, ma siamo schierati sotto il riparo di tanta gente che dappertutto ci accompagna in questo istante. Questa preghiera senza stanchezza è la mia raccomandazione anche oggi. Quando abbiamo lasciato Città del Messico stavano arrivando parecchie persone dall'Europa e anche dall'Italia in qualità di osservatori, 140 persone, abbiamo avuto contatto con qualche responsabile di questo grande gruppo prima che si organizzasse, ora non ho potuto avere il contatto diretto: arriveranno nella nostra diocesi senza la mia presenza, ma ci saranno altri membri dell'organizzazione Commissione Nazionale di Intermediazione per riceverli là a San Cristobal. Rispetto a quelle osservazioni che verranno pubblicate dopo la loro presenza in parecchi luoghi sarebbe in questo stesso momento di grande aiuto per noi perché abbiamo purtroppo ancora scoperto e riconfermato che il Messico ha ancora qualche considerazione, anche se recentemente è diventato un po' cinico in qualche risposta date a domande specifiche, ma ancora ha qualche forza l'immagine esterna per avere qualche influenza nell'interiore sviluppo della nostra forza. Dunque credo che la divulgazione che saranno fatte e che non saranno pubblicate primariamente in Messico perché sarebbero interpretate come ingerenza diretta negli affari interni del paese, ma comunicate dall'esterno, fatecelo arrivare subito perché questo abbia ripercussioni immediate là. Siamo venuti a conoscenza come gli ultimi avvenimenti ad Acteal, piccolo luogo dove sono state massacrate almeno 45 persone: la cifra è una cifra non esatta, non matematica come 12 apostoli sono 11 quando sparisce il traditore e sono 12 quando viene eletto Mattia, sono 13 quando arriva San Paolo, si può dire anche 14, ma insomma 12 è la cifra matematicamente non esatta ma simbolica della universalità. Così 45, anche se sono di più, è rimasta la cifra di questi martiri che dopo tre giorni di digiuno e preghiera sono stati massacrati da gruppi interni purtroppo diretti e appoggiati da differenti autorità di differenti livelli. Dunque questo massacro che è uscito al di là del nostro paese è ritornato in una onda di simpatia, di risposte pratiche, non soltanto di una solidarietà proclamata, ma attiva, con delle attenzioni che hanno delle ripercussioni nelle decisioni che adesso muovono il mondo che purtroppo sono le decisioni economiche. Ha avuto un po' di risultato positivo il fatto che parecchi paesi non sono decisi a fare una firma di un trattato economico se non si ha l'accettazione da parte delle nostre autorità di avere un gruppo permanente di osservazione per assicurare la vigilanza sul compimento dei diritti dell'uomo. Hanno detto, qui con abbastanza coraggio, se noi abbiamo messo una parola dobbiamo quindi vigilare e portarla a compimento altrimenti dobbiamo toglierla, altrimenti se non esigiamo la vigilanza sui diritti umani non dobbiamo metterla più nei nostri scritti. Se si mette si deve dunque essere vigilanti perché venga compiuta questa osservazione. Dunque questo è il contesto che adesso ci può aiutare molto nella trasformazione e poi non è ancora detto che sia sufficiente e ci sono anche provvedimenti necessari presi dal governo, come il caso di questi 140 stranieri che visitano il nostro paese, ci sono disposizioni legali per avere speciale maniera di essere presenti senza avere disturbo e preoccupazione se dichiarano quello che si va a fare, cioè un'osservazione della situazione. La pressione internazionale arriva a questo, dunque è necessaria la permanenza, la continuità dei gruppi di osservatori o anche lo stabilirsi di un accampamento di pace. Vi racconto che quando recentemente abbiamo fatto un pellegrinaggio dal Chiapas verso la Basilica di Città del Messico, abbiamo avuto osservazioni interessanti: un gruppo di nord-americani si è reso conto di questo pellegrinaggio e invece di andare a visitare come prevedeva il loro programma la scala Zwavasur o le rovine del Palenki hanno fatto la strada insieme a questa gente che si recava dalla nostra diocesi verso la Basilica. Un gruppo di tedeschi, quattro o cinque giorni prima, sapevano che questi martiri erano in digiuno e preghiera e hanno dedicato una giornata per fare un digiuno anche loro in solidarietà con questo gruppo di persone che hanno dato la vita per la pace. Dunque grazie anche a Miguel che non so cosa vi abbia detto, ma certamente non ci saranno menzogne. Qualche cosa molto verificabile è lo stabilimento permanente, perché è stabilita una relazione adesso tra questo luogo e la nostra diocesi, ma può farsi permanente, si può dettagliare anche più auspicatamente. Credo che sia una buona idea stabilire un ponte continuo di comunicazione, di solidarietà fraterna mutua: qualche cosa si può dare anche dalla nostra povertà. Condividere da qui una solidarietà fraterna permanente. Questo sarà qualche cosa che si può anche dettagliare.

Samuel Ruiz Garcia, Vescovo



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