L'opera
pastorale e sociale della Chiesa
di S. Cristobal De Las Casas
intervento
di don Samuel a Cusano Mil. (Mi)
15 febbraio 1998
Parte
prima: il saluto
Sono
veramente senza parole perché mai sospettavo che si sviluppasse
una lunga attesa per questo guaio avuto nel viaggio. Siamo usciti
da Città del Messico un ora e mezzo in ritardo sull'orario
fissato sempre dicono questioni tecniche, sicurezza dei passeggeri
e non siamo riusciti a fare la nostra connessione a Madrid sicché
siamo usciti alle 9 con conseguente ritardo per il nostro arrivo.
Io non ho altra cosa da dire a voi che sono in grande ammirazione
perché strada facendo in compagnia di padre Pierino della
diocesi di Lodi che da venti anni lavora a Città del Messico
e ora ha il passaporto messicano, mi ha fatto conoscere la grande
disposizione missionaria di Lodi e di questa regione verso parecchi
luoghi missionari dell'America Latina: come l'Ecuador, Città
del Messico e le sue vicinanze, lui mi diceva anche di tutti quei
sacerdoti che sono stati inviati e così vedevamo questo
nostro viaggio come un ringraziamento che porto a nome della nostra
nazione messicana per questa solidarietà missionaria che
da parecchi anni è stata sviluppata da voi verso di noi.
Cosi come quasi ogni giorno, specialmente da quando sono accaduti
gli avvenimenti conosciuti da tutti quanti, una grande, continua
e numerosa presenza dall'Italia si sviluppa nella nostra diocesi
di San Cristobal de Las Casas nel Sud del Messico, avvenimenti
non sempre gioiosi hanno preceduto una fama che adesso è
sparsa in tutto il mondo e voglio segnalare specialmente il grande
conforto che si sperimenta quando si sa che una situazione non
soltanto è conosciuta ma da parte di tante persone inondate
dalla stessa fede c'è una costante preghiera per la pace
e non soltanto una preghiera, ma una compagnia un attenzione alle
situazioni e la presenza fisica di molte persone che vanno là
per essere presenti, per dimostrare la loro solidarietà
con la gente che si trova nella sofferenza. Non ho altra parola
dunque da dire a voi che grazie tante per tutte queste cose che
voi fate e non so cos'altro fare perché sono un po' in
vergogna per essere la causa di tanta lunga attesa e non voglio
farvi faticare più con un italiano che non è precisamente
classico.
Parte
seconda: l'opera pastorale e sociale nella diocesi di San Cristobal
Mi
è stato suggerito di dire qualche cosa sul lavoro pastorale:
hanno toccato una figura speciale ma molto pericolosa perché
c'è il rischio di parlare fino alle 10 di domani mattina
di continuo. Posso dire che da 38 anni lavoro in quella diocesi.
Sono arrivato là nel 1959, nel mese di dicembre, senza
interruzione sono stato lì. Abbiamo scoperto gradualmente,
non è stata una scoperta immediata, il grande tesoro che
consiste nel lavorare coi poveri tra i poveri, cioè gli
indios. All'incirca il 75% della popolazione della nostra diocesi,
che attualmente è di un milione e trecentomila abitanti,
è indiano. Si parlano 5 lingue differenti tutte quante
derivate dall'antica lingua Maya perciò si chiamano lingue
mayenses, cosi come il latino genera lo spagnolo l'italiano il
portoghese il francese: lingue differenti ma con la stessa radice,
cosi si parlano là il Chol, il Tzeltal, il Tzotzil, Tojolabal,
il Chontales, che sono lingue differenti tra di loro ma con le
radici comuni. E' molto interessante addentrarsi nella mentalità,
nell'utopia che si può guardare tramite la lingua di quella
popolazione. Una lingua differente: non soltanto suoni distinti
con contenuto tale o quale, ma è un universo da guardare
da dentro. Dire per esempio "essere assetato" è
una espressione che significa "il mio cuore è duro
come un sasso", questo è avere sete. Tutto quanto
è in relazione con la coltivazione della terra. Per dire
di avere superato la fame si dice "il mio cuore è
soddisfatto". Non lo stomaco ma il cuore. Dunque essere affamato
significa avere qualche pena o sofferenza nel cuore. Interessante
la dimensione di comunità anche per la traduzione della
Bibbia nelle differenti lingue indiane. Abbiamo avuto parecchie
difficoltà, alcuna anche un po' bizzarra. Non ci sono generalmente
parlando in queste lingue nostre parole astratte, ma sono tutte
quante cose concrete. Per dire vita non si può parlare
della vita perché la vita è vivente in un uomo o
in una donna ma non si trova la vita per la strada da sola, ma
è incarnata in qualche essere vivente. Così abbiamo
avuto bisogno di fare la traduzione della preghiera dell'Ave Maria
e in quell'espressione "benedetto il frutto del tuo ventre"
abbiamo visto che la parola frutto era un po' astratta e bisognava
tradurla per quello che significa "benedetto il figlio del
tuo ventre". Ma i missionari ascoltavano due differenti parole.
Una più frequentemente per dire figlio, un'altra meno frequente
ma significava per loro lo stesso: Nician, figlio e Alal, figlio.
Hanno scelto quella parola più frequentemente ascoltata,
Nician, e hanno tradotto dunque "benedetto il figlio del
tuo ventre". Ma avevano una grande confusione perché
solitamente parlavano con gli uomini e meno con le donne più
prese con le loro case. La parola Nician, figlio, significa certamente
un figlio ma che ha il suo babbo, non la sua mamma. Dunque abbiamo
fatto Maria Vergine babbo, il padre di Gesù. Quando poi
abbiamo chiesto agli indiani: mai perché mai non ci avete
corretto? "O padre tu ci hai detto che era un mistero".
Qualche cosa che è accaduta è la seguente. In parecchie
regioni della nostra diocesi sono arrivati prima coloro che seguono
altre confessioni cristiane. Essi hanno fatto la traduzione del
Nuovo Testamento prima che noi facessimo una nostra traduzione
e abbiamo usato anche la loro. Diventando amici di qualche persone
che è stato l'assistente l'assessore generale per l'America
Latina per la traduzione dallo spagnolo chiamata "Dios llega
a l'hombre" Dio arriva all'uomo, una versione ormai conosciuta
in tutto il continente latinoamericano ci hanno offerto di fare
una revisione della traduzione in lingua Tzeltal, perché
noi eravamo quelli che acquistavano di più questa traduzione,
allora ci hanno detto fateci una revisione, diteci cosa si può
cambiare nella nostra edizione perché dobbiamo farne un'altra.
C'erano purtroppo parecchie parole, non soltanto non adeguate,
ma anche mistraduzioni. Una persona molto capace, non era per
ignoranza, aveva fatto questo apposta. Cioè per esempio
nella lettera di s. Paolo ai Filippesi si legge "con grande
tristezza parlo a voi perché ci sono alcuni adoratori della
croce di Cristo per i quali Dio è ventre", ma la traduzione
fatta da questa persona diceva semplicemente "gli adoratori
della croce di Cristo sono adoratori del ventre" facendo
dunque una identità tra cattolici e adoratori del ventre.
Quando abbiamo fatto questa retrotraduzione di fronte a questa
persona è stata molto colpita da questo perché la
signora Slocum, l'autrice di questa traduzione conosceva abbastanza
bene non soltanto il latino ma il greco, l'ebraico, l'aramaico
e parlava in latino fluentemente, anche due differenti lingue
degli indiani dunque era una persona sufficientemente capace per
fare questo lavoro. Non era uno sbaglio ma una traduzione in malafede.
Dunque a conseguenza di questo ci hanno offerto un contributo
per due persone che potessero fare un corso per poi aiutarci nel
fare una traduzione fatta da noi perché era impossibile
fare la revisione della loro traduzione perché ogni pagina
c'era qualche cosa da correggere. Era su placche metalliche e
non c'era la possibilità di fare troppi cambiamenti. Allora
ci hanno offerto un contributo per fare una nostra traduzione.
Questo è stato interessante per la nostra diocesi perché
prima nella regione dove ci sono ancora a lavorare i gesuiti c'erano
due fratelli, e ci sono ancora, che hanno imparato abbastanza
bene la lingua tzeltal e ciascuno aveva un gruppetto di 10 persone
come aiutanti per la traduzione così che si consultavano
con questo gruppetto. Ogni due settimane avevano un incontro per
confrontare la traduzione di dieci versetti del Vangelo di San
Marco, con cui hanno cominciato. Si incontravano per fare la scelta
della traduzione più appropriata. Poi si dava ad una comunità
per verificare se effettivamente era comprensibile la traduzione
scelta o se non lo fosse. Così pian piano si è arrivati
a fare la traduzione del Vangelo di San Marco. Ma poi quando questo
signore ci ha offerto questa possibilità di avere corsi
specifici per traduttori della Bibbia subito hanno reagito questi
due sacerdoti ricordando che la lingua tzeltal era imparata da
loro ma non era la loro lingua materna e che per ciò quelli
che dovevano tradurre la Bibbia non dovevano essere loro ma gli
stessi indiani. Così che si è scelto tra le comunità:
ogni comunità che voleva entrare in questo processo di
traduzione ha scelto un libro differente da tradurre e così
siamo arrivati ad un'esperienza interessante come quella che si
è avuta nel Nuovo Testamento che prima di essere scritta
la Bibbia o il Nuovo testamento è rimasto nella tradizione
del popolo cristiano e poi finalmente è stata messa per
iscritto. Così l'esperienza della diocesi in quest'area
è stata molto interessante perché le comunità
hanno cooperato nella traduzione della Bibbia in questo casi che
racconto del Nuovo Testamento. Io sono rimasto veramente stupito
quando mi hanno fatto arrivare la traduzione del primo capitolo
del Vangelo di S. Giovanni. Quasi quasi sembrava che si stesse
leggendo lo stesso originale di S. Giovanni perché gli
indiani parlano con movimenti ideologici di trilogia, dicono più
o meno la stessa cosa tre volte, e così rimane fortemente
impressa nel cuore: "nel principio era il Verbo, il Verbo
era Dio, e Dio era col Verbo" e così prosegue questo
Vangelo parlando con tre idee in ogni versetto. Leggendo questa
traduzione sembrava quasi di leggere lo stesso testo originale.
Io ho visto veramente la differenza tra la traduzione antica di
due sacerdoti con 10 persone ciascuno e una comunità che
fa nella loro propria lingua una traduzione del Nuovo testamento.
Noi entriamo adesso in un momento interessante. Abbiamo dopo 38
anni di lavoro e grazie alla collaborazione di tutti i sacerdoti
e religiosi che lavorano con noi 8.000 catechisti indiani più
200 diaconi ordinati e siamo al punto di attraversare la linea
critica per arrivare, magari prossimamente quando il papa visiterà
nuovamente la nostra patria, all'ordinazione dei sacerdoti indiani.
Non ci sono sacerdoti indiani ordinati là. Ci sono persone
nate come indio che entrano in un processo di formazione piuttosto
di trasformazione o di trasculturazione, dove rrivano con la loro
cultura e nel processo di formazione le strappano questa cultura.
Mi diceva un sacerdote che aveva recuperato la sua coscienza di
essere indio: "sono arrivato in Seminario e dopo pochi giorni
mi ha chiamato il rettore e mi ha detto "devi fare qui un
buco" "dobbiamo piantare qualcosa?" "Vediamo
dopo: comincia a fare questo lavoro". E lui ha iniziato a
fare un buco nella terra e quando era quasi alla cintura di profondità
è andato dal rettore chiedendogli "è abbastanza
o devo continuare?" "E' sufficiente" "Cosa
piantiamo qui?" "Adesso qui - gli ha detto il rettore
- devi mettere tutto il tuo complesso di inferiorità, la
tua lingua, i tuoi costumi e copri con la terra. Devi essere uguale
a tutti gli altri, non deve esserci differenza tra la tua persona
e gli altri. Voleva essere un buon modo di non farlo sentire diverso
ma uguale a tutti, ma così doveva mettere sotto terra tutta
la sua identità indiana. "Così - mi ha detto
- ho iniziato a sperimentare la vita di un pesce fuor d'acqua,
ho imparato a fare questo. Ho dimenticato la mia lingua, la mia
cultura, i miei costumi ed anche il mio babbo e la mia mamma erano
nella mia città natale, loro non parlavano lo spagnolo
ma io avevo dimenticato tutto quanto in questo processo di dieci
anni di formazione. E quando sono arrivato all'ordinazione sacerdotale
il vescovo mi ha destinato precisamente alla mia città.
Tutta quanta la popolazione mi guardava con diffidenza dicendo
"questo lo hanno spagnolizzato, questo è un traditore
che non è riuscito a restare fedele alla nostra identità".
Ho dovuto lavorare a causa di questa situazione per imparare di
nuovo la mia lingua, i miei costumi. E dopo qualche tempo la popolazione
mi ha domandato "tu sei deciso a stare con noi? Hai recuperato
veramente la tua identità" "Certamente sono con
voi fratelli fino alla fine della mia vita, eccezione fatta per
un comando del vescovo se mi trasferisse in un altro luogo".
Ebbene dopo qualche giorno sono arrivate le autorità e
mi hanno detto "veramente abbiamo appurato che sei diventato
uno dei nostri e ti siamo tanto grati. Qualche settimana fa ho
sentito l'avvicinamento di una musica. La musica della banda musicale
della popolazione. Dicevo: "non mi rendo conto. Oggi non
è nessuna festività religiosa, non c'è nessun
matrimonio. Cosa c'è? Tutta la popolazione con il presidente
municipale è arrivata verso la parrocchia. Vengono qua!
Non è il giorno del mio onomastico: cosa celebreranno?
Allora sono arrivati là. Io ho aperto la porta sono passati.
Ho chiesto: cosa si celebra? "Noi celebriamo con gioia la
tua permanenza, la tua fedeltà a noi e perciò ha
detto il presidente municipale come segno della nostra gratitudine
verso te ecco la mia figlia in matrimonio!". Allora qualche
movimento di terra è caduto e io sapevo - diceva questo
prete - che c'era un lungo processo di sincerità in quel
fatto. Dunque dovevo dire di no quando la popolazione era arrivata
alla più grande decisione di gratitudine e di amicizia
con me. Ho detto: "attendete un po', vado a chiedere un'indicazione
al mio vescovo, cosa dice lui". Arrivando là gli ha
detto il vescovo. "mamma mia, come vuoi tu poverino che io
cambi tutta la legge della Chiesa per il tuo caso". Dunque
questa è una situazione generalizzata nel continente. Per
sapere se una persona è matura, se un adulto è maturo,
deve avere almeno la minima esperienza di guidare la minima cellula
della società che è la famiglia. "Se qualcuno
a 35/40 anni non è maritato non ha avuto la possibilità
di maturare e di avere una minima esperienza" questa è
la maniera di pensare nella cultura degli indios dall'Alaska fina
alla Patagonia, senza una sola eccezione. Dunque abbiamo questa
sfida. Quando anni fa un Cardinale di cui non ricordo il nome,
Prefetto della Evangelizzazione dei Popoli, aveva chiesto di visitare
la mia diocesi. Dopo la visita abbiamo parlato con lui e gli abbiamo
fatto questa domanda: "Eminenza cosa pensa dell'ordinazione
degli indios nel continente?" Lui, conoscendo questo contesto
spiegato, disse: "AH, ci sono delle domande che non si devono
fare perché non si possono rispondere e io in qualità
di cardinale presidente del Segretariato dell'Evangelizzazione
dei popoli non posso dire questa parola" questo ha risposto
ufficialmente dunque non dite a nessuno che io ho risposto così:
"vescovi dell'America Latina dovete compiere la vostra responsabilità
storica" Lui ha detto così qualche tempo fa. E' morto
qualche hanno fa questo cardinale. Dunque si vede che il momento
storico era favorevole a fare un passo avanti visto che il documento
del Concilio Vaticano II, Ad Gentes, sulla missione alle genti,
grazie alla chiarificazione fatta dai vescovi africani parla chiaramente
che si deve lavorare profondamente per fare uscire nella Chiesa
delle Chiese autoctone, cioè non dipendenti dall'esterno,
che hanno la possibilità di avere i loro ministri, le loro
vocazioni e anche la loro riflessione teologica secondo la loro
cultura, non soltanto la traduzione linguistica, ma la maniera
di vedere, rispettando i valori perché Dio è stato
presente, si è rivelato a questi popoli come dice l'apostolo
Paolo, consentendo che ogni gruppo etnico, ogni popolo abbia una
rivelazione di Dio per arrivare ad un momento storico in cui Dio
tramite Gesù Cristo chiama tutti questi popoli per fare
un popolo dei popoli, il popolodi Dio che è configurato
per la presenza di questi uomini e donne che hanno ricevuto una
traduzione, una comunicazione di Dio anche loro per arrivare al
momento di una chiamata universale. Molto delicatamente e molto
poeticamente anche, i vescovi dell'America Latina radunati a Santo
Domingo si sono espressi in un introduzione ai loro lavori dicendo
"fortunatamente Cristoforo Colombo non ha portato Dio per
la prima volta sui piroscafi: Dio c'era nel continente, era conosciuto
con nomi diversi, altre tradizioni, avvicinamenti differenti a
questa rivelazione di Dio, ma che non erano soltanto delle piattaforme
di lancio per arrivare al cristianesimo, ma sono parte della rivelazione
di Dio e fanno anche parte di quella ricchezza che deve essere
divisa, partecipata a tutta la comunità universale. Anche
il Concilio ci parla delle tradizioni mistiche delle diverse religioni
che devono essere pure patrimonio della Chiesa universale, e cioè
aspettiamo questo momento storico con la emergenza degli indios
conosciuta e profeticamente rivelata dal papa attuale Giovanni
Paolo II, quando nel maggio del 1993 in Jucatan parlando propriamente
agli indios, rappresentanti di tutto il continente, gli ha detto:
"voi siete soggetto della nuova evangelizzazione del continente"
e anche ha detto "voi siete anche soggetto della trasformazione
integrale del continente", riconoscendo l'emergenza di questo
nuovo soggetto nel continente. Dunque siamo nelle vicinanze con
questa emergenza degli indios nel continente di avere un tempo
nuovo, cioè la possibilità di un rapporto, di una
intercomunicazione tra le religione precolombiane degli indios
e la religione cristiana, dialogo che mai è stato sviluppato
tempo fa perché si è arrivati nel tempo dell'evangelizzazione
del nostro continente a lasciarci certamente il contenuto dell'evangelizzazione,
ma purtroppo in qualche momento con la confusione che questo contenuto
dovesse esprimersi solo nella cultura occidentale così
detta cristiana, perché ha avuto certamente il cristianesimo
un influsso profondo nella nascita di questa cultura occidentale,
ma si è fatto una identificazione così che nel continente
latinoamericano c'è questo fenomeno psicologico di una
doppia personalità: gli indios per esprimersi e realiz
zarsi come cristiani devono uscire dallo loro cultura per manifestare
la loro religione cristiana con la cultura che è estranea
a loro, la cultura occidentale. Ma adesso nel continente c'è
un evoluzione abbastanza grande: speriamo sia un momento opportuno
di dialogo tra le religioni precolombiane, che adesso fanno una
riflessione forte ed il cristianesimo. Siamo dunque in questo
momento di grande ricchezza futura di un dialogo religioso che
non si è sviluppato tempo fa. Dunque vi sono grato per
questa vostra attenzione, per questa attesa e soprattutto per
le vostre preghiere che so dite quotidianamente per la nostra
strada di consolidamento della pace non senza la giustizia, perché
come dice un salmo "la giustizia e la pace si baciano"
Parte
terza: cosa possiamo fare noi
D'una
parte io so che si fa quello che si può domandare, voi
siete solidali nella preghiera e questa preghiera diretta al Signore
si traduce in una grande fortezza, in una continuazione dei lavori,
stranamente quando le cose portano ad uno scoraggiamento si sente
invece tutto il contrario perché si sa poi dopo che non
siamo soli abbandonati, ma siamo schierati sotto il riparo di
tanta gente che dappertutto ci accompagna in questo istante. Questa
preghiera senza stanchezza è la mia raccomandazione anche
oggi. Quando abbiamo lasciato Città del Messico stavano
arrivando parecchie persone dall'Europa e anche dall'Italia in
qualità di osservatori, 140 persone, abbiamo avuto contatto
con qualche responsabile di questo grande gruppo prima che si
organizzasse, ora non ho potuto avere il contatto diretto: arriveranno
nella nostra diocesi senza la mia presenza, ma ci saranno altri
membri dell'organizzazione Commissione Nazionale di Intermediazione
per riceverli là a San Cristobal. Rispetto a quelle osservazioni
che verranno pubblicate dopo la loro presenza in parecchi luoghi
sarebbe in questo stesso momento di grande aiuto per noi perché
abbiamo purtroppo ancora scoperto e riconfermato che il Messico
ha ancora qualche considerazione, anche se recentemente è
diventato un po' cinico in qualche risposta date a domande specifiche,
ma ancora ha qualche forza l'immagine esterna per avere qualche
influenza nell'interiore sviluppo della nostra forza. Dunque credo
che la divulgazione che saranno fatte e che non saranno pubblicate
primariamente in Messico perché sarebbero interpretate
come ingerenza diretta negli affari interni del paese, ma comunicate
dall'esterno, fatecelo arrivare subito perché questo abbia
ripercussioni immediate là. Siamo venuti a conoscenza come
gli ultimi avvenimenti ad Acteal, piccolo luogo dove sono state
massacrate almeno 45 persone: la cifra è una cifra non
esatta, non matematica come 12 apostoli sono 11 quando sparisce
il traditore e sono 12 quando viene eletto Mattia, sono 13 quando
arriva San Paolo, si può dire anche 14, ma insomma 12 è
la cifra matematicamente non esatta ma simbolica della universalità.
Così 45, anche se sono di più, è rimasta
la cifra di questi martiri che dopo tre giorni di digiuno e preghiera
sono stati massacrati da gruppi interni purtroppo diretti e appoggiati
da differenti autorità di differenti livelli. Dunque questo
massacro che è uscito al di là del nostro paese
è ritornato in una onda di simpatia, di risposte pratiche,
non soltanto di una solidarietà proclamata, ma attiva,
con delle attenzioni che hanno delle ripercussioni nelle decisioni
che adesso muovono il mondo che purtroppo sono le decisioni economiche.
Ha avuto un po' di risultato positivo il fatto che parecchi paesi
non sono decisi a fare una firma di un trattato economico se non
si ha l'accettazione da parte delle nostre autorità di
avere un gruppo permanente di osservazione per assicurare la vigilanza
sul compimento dei diritti dell'uomo. Hanno detto, qui con abbastanza
coraggio, se noi abbiamo messo una parola dobbiamo quindi vigilare
e portarla a compimento altrimenti dobbiamo toglierla, altrimenti
se non esigiamo la vigilanza sui diritti umani non dobbiamo metterla
più nei nostri scritti. Se si mette si deve dunque essere
vigilanti perché venga compiuta questa osservazione. Dunque
questo è il contesto che adesso ci può aiutare molto
nella trasformazione e poi non è ancora detto che sia sufficiente
e ci sono anche provvedimenti necessari presi dal governo, come
il caso di questi 140 stranieri che visitano il nostro paese,
ci sono disposizioni legali per avere speciale maniera di essere
presenti senza avere disturbo e preoccupazione se dichiarano quello
che si va a fare, cioè un'osservazione della situazione.
La pressione internazionale arriva a questo, dunque è necessaria
la permanenza, la continuità dei gruppi di osservatori
o anche lo stabilirsi di un accampamento di pace. Vi racconto
che quando recentemente abbiamo fatto un pellegrinaggio dal Chiapas
verso la Basilica di Città del Messico, abbiamo avuto osservazioni
interessanti: un gruppo di nord-americani si è reso conto
di questo pellegrinaggio e invece di andare a visitare come prevedeva
il loro programma la scala Zwavasur o le rovine del Palenki hanno
fatto la strada insieme a questa gente che si recava dalla nostra
diocesi verso la Basilica. Un gruppo di tedeschi, quattro o cinque
giorni prima, sapevano che questi martiri erano in digiuno e preghiera
e hanno dedicato una giornata per fare un digiuno anche loro in
solidarietà con questo gruppo di persone che hanno dato
la vita per la pace. Dunque grazie anche a Miguel che non so cosa
vi abbia detto, ma certamente non ci saranno menzogne. Qualche
cosa molto verificabile è lo stabilimento permanente, perché
è stabilita una relazione adesso tra questo luogo e la
nostra diocesi, ma può farsi permanente, si può
dettagliare anche più auspicatamente. Credo che sia una
buona idea stabilire un ponte continuo di comunicazione, di solidarietà
fraterna mutua: qualche cosa si può dare anche dalla nostra
povertà. Condividere da qui una solidarietà fraterna
permanente. Questo sarà qualche cosa che si può
anche dettagliare.
Samuel
Ruiz Garcia, Vescovo
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