Romero, martire della giustizia   

                                                                    



Immersi nella folla di salvadoregni, e non solo, che attraversava le vie di San Salvador al grido "se ve', se siente, Romero esta' presente!", ma soprattutto parlando coi vecchi che portano impressa negli occhi la sofferenza patita in quegli anni, o ancora con i famigliari dei tanti desaparecidos del regime salvadoregno, una certezza saliva dal cuore alle labbra: davvero Romero è risorto, come aveva predetto: "se mi uccidono risorgerò nel popolo salvadoregno"!

Aveva però sbagliato le proporzioni: il 24 marzo 2000, a vent'anni esatti dal suo martirio, non c'erano solo i salvadoregni a celebrarne la "fiesta", ma gente venuta da ogni angolo della terra: dagli Usa come dall'Africa, dalla lontana Australia come da tutta l'America Latina. C'eravamo anche noi che, incrociando turbe di pellegrini diretti in Italia per celebrare il Giubileo a Roma, andavamo, noi pure pellegrini, a celebrarlo sulle orme dei martiri latinoamericani: da Mons. Gerardi a Rutilio Grande e i suoi compagni; da Romero e Marianela ai Gesuiti dell'Uca con Julia e Celina, uccise con loro… fino alle migliaia di campesinos e militanti senza nome, martiri della giustizia, della libertà e della pace.

E' una folla risorta, che vive e cammina dentro la storia e la vita di gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, che non ha rinunciato alla propria coscienza, e oggi come allora rifiuta di sacrificare al dio del Sistema. Questo orizzonte popolare e "martiriale" è imprescindibile per comprendere la figura di Romero, non solo perché "Monsignore" (… per antonomasia, come da venti tre anni lo chiama la gente) è morto per il popolo, ma soprattutto perché è morto "con" il popolo. Senza il martirio del popolo infatti non si sarebbe dato neanche il suo: non avrebbe avuto ragione per spingersi a tanto, e soprattutto non ne avrebbe avuto la forza. Per questo la sua morte, prevista e accettata come offerta a Dio, necessaria per essere fino in fondo buon pastore, e opzione incondizionata per un popolo martire, è un Martirio, nel duplice senso del Sacrifico e della Testimonianza. Faremo bene a ricordarlo in questi tempi di mistificazione, quanto perfino dentro la chiesa ci si lega alla ostinata e pretestuosa necessità canonica dell' "odium fidei" nella proclamazione dei martiri, per svalorizzare la sua figura - quasi che la giustizia non fosse un aspetto fondamentale e imprescindibile della stessa fede.

E il martirio, come è ovvio, è il punto d'arrivo di un cammino che Romero ha percorso col popolo, perché dal popolo era stato educato, o meglio "rieducato". Dagli anni della sua formazione romana, era stato a tutti gli effetti un moderato, un uomo prudente, un vero conservatore. Se non proprio al Concilio, sicuramente guardava con qualche apprensione all'assemblea di Medellin, nella quale la Chiesa latinoamericana aveva fatto la coraggiosa opzione per i poveri, con tutto quello che essa comportava. Soprattutto diffidava della teologia della liberazione e di certe prese di posizione sociali che avrebbero potuto tradire qualche simpatia ideologica. Questa diffidenza lo portò in diverse occasioni a prendere posizioni odiose di chiusura e censura nei confronti dell'operato degli stessi sacerdoti, quando fu vescovo ausiliare di San Salvador, al punto da attirarsi l'antipatia e la sfiducia di questi, che indusse l'Arcivescovo Luis Chavez a chiedere a Roma il suo allontanamento mediante la nomina alla sede di Santiago de Maria. Fu qui che Romero si ritrovò con la gente e con i suoi problemi; uscì dal suo mondo di libri, soprattutto dalle sue certezze e titubanze. Non poté più impedire, da uomo di Dio qual era, che la Parola gli facesse giudicare la realtà col metro stesso di Dio.

Così nominato nel 1977 Arcivescovo di San Salvador compie subito due scelte significative. Rifiuta l'offerta fattagli dall'aristocrazia cittadina di costruire l'Arcivescovado, che da anni non esisteva più, per andare a vivere nella stanzetta attigua alla sacrestia dell'Hospitalito (l'ospedale oncologico per i poveri, gestito dalle suore della Divina Provvidenza), vicino alla sofferenza dei più poveri. Rifiutò anche l'automobile, che secondo l'usanza il presidente della repubblica regalava all'Arcivescovo in occasione del suo insediamento. Ma l'assassinio di P. Rutilio Grande, con un vecchio ed un bambino, segnò sicuramente una tappa significativa ed un punto di non ritorno nel suo ministero. Anche altri sacerdoti e molti agenti di pastorale vennero uccisi in seguito. Romero comprese che la storia del Salvador e la sua vita erano giunte ad un bivio, quello della Verità. Lui, l'uomo della prudenza, che l'aveva insegnata e pretesa dai suoi preti, dirà:

" Dicono: Non bisogna creare conflitti, occorre prudenza, bisogna essere più prudenti. Ma Cristo non fu di questo pare e a chi gli consigliò di non esporsi al pericolo lo chiamò Satana e scandalo. Scandalo, parola greca che significa ostacolo, la pietra che si pone per ostacolare il cammino" (3 settembre '78).

Ormai aveva capito che "la prudenza non era più una virtù", ma la peggiore delle connivenze, una losca complicità. Ma per questo non diventa e non sarà mai un temerario: una suora che all'inizio del suo ministero lavorava all'Hospitalito ci ha riferito di come Monsignore non facesse mistero delle sue paure riguardo un possibile sequestro, la tortura, il lavaggio del cervello - con il rischio conseguente che gli facessero dire cose contro la chiesa ed il popolo - la stessa sofferenza fisica. Ma questi timori furono sempre superati dalla coscienza del suo ministero, dai doveri verso la gente, dal sapere che il buon pastore non fugge, ne si ammicca col lupo, quando lo vede venire. Anzi più la situazione precipitava e aumentava la paura, meno poteva tacere e più forte saliva la sua denuncia profetica. Alla domenica celebrava solitamente la Messa delle otto in Cattedrale e l'omelia (che durava anche due ore) comprendeva oltre l'aspetto dottrinale di commento alla Parola di Dio, la denuncia dei fatti accaduti durante le settimane precedenti, che l'ufficio del Soccorso Giuridico da lui istituito aveva nel frattempo documentato. Fu in quel tempo la sola voce contro ogni ingiustizia e sopraffazione, fu "la Voce dei senza voce". La Radio diocesana trasmetteva l'omelia ed il Salvador si fermava ad ascoltare: nelle chiese la messa si interrompeva in qualsiasi momento si trovasse. E quando il governo chiuse l'emittente diocesana, una radio guatemalteca, collegata via telefono, si incaricò, di garantirne la trasmissione.

Ma ascoltiamo direttamente alcuni brani delle sue omelie:

Gennaio '80: Messaggio per l'anno Nuovo:

" La nostra arcidiocesi di San Salvador non può restare al margine, di fronte a questo grido del popolo, che è voce di Dio e chiaro insegnamento della Chiesa universale. Per questo sento il dovere di rivolgere, ancora una volta e a nome vostro, in questo cordiale messaggio per l'anno nuovo, un caldo invito a tutti quelli che in quest'ora storica del popolo salvadoregno sono protagonisti ed artefici della tra-sformazione in atto.

Agli i uomini del governo e delle forze armate

Voi avete avuto il coraggio di promettere al popolo una trasformazione agraria e la nazionalizzazione del commercio estero del caffè e dello zucchero. Non suscitate, come in altre occasioni, false speranze in questo popolo che tanto ha sofferto. Realizzate quello che avete promesso, malgrado le reazioni della minoranza di duemila latifondisti, padroni del 40% delle terre salvadoregne. Siate coraggiosi e scon-giurate i tentativi di corruzione e di intimidazione. Non lasciatevi dividere da interessi meschini, nel momento in cui il vero interesse del popolo deve rinforzare l'unità. Più che un diritto dovete sentire l'obbligo di andare avanti, perché avete il dovere di eliminare davanti al popolo quelle che il papa ha chiamato le barriere dello sfruttamento.
La trasformazione agraria e gli altri cambiamenti di strut-ture ingiuste non sono un vostro regalo al popolo, per guadagnarvi il suo appoggio; si tratta piuttosto di appoggiare una conquista che il popolo sta realizzando col sangue sparso nelle sue giuste lotte rivendicative e, soprattutto, col suo lavoro mal pagato. Non è perciò un dono gratuito, ma uno stimolo all'azione e un invito a partecipare alla realizzazione della giustizia.
Non dovete neppure orientare questi sforzi verso uno sbocco del modello economico capitalista che, di fatto, con-tinui a concentrare in poche mani di industriali, di com-mercianti o di banchieri le ricchezze. Si tratta di una ripar-tizione del bene di tutti. Né si devono cercare nuove forme di dipendenza del contadino nei confronti dello stato, ma di ridare allo stato il suo vero ruolo di servitore del popolo.
Le trasformazioni sociali non devono soltanto ricercare una giusta distribuzione dei frutti della terra, ma anche facilitare a tutti l'accesso alle risorse sociali: medici, ospe-dali, elettricità, acqua ecc.
Voi avete nelle vostre mani, in quest'ora storica della provvidenza divina, la responsabilità di realizzare nel Sal-vador il grandioso ideale umano del concilio: la promozione di tutti gli uomini e di tutto l'uomo".

Il 27 gennaio '80, durante l'omelia denuncia il massacro degli scioperanti pacifici di cinque giorni prima:

"1. Di fronte a questi fatti così dolorosi e di fronte agli altri tragici fatti di questa settimana macchiata da tanta violenza - alcuni dei quali li ho appena citati - desidero anzitutto rivolgermi a tutti, senza eccezione, a i parenti delle vittime e ai feriti o picchiati, per dire loro la parola di speranza del Vangelo e la solidarietà pastorale e la pre-ghiera della nostra Chiesa.

2. Come pastore e come cittadino salvadoregno, mi fa soffrire profondamente che si continui a massacrare il set-tore organizzato del nostro popolo solo per il fatto di mani-festare ordinatamente, per la strada, chiedendo giustizia e libertà. Sono certo che tanto sangue sparso e tanta soffe-renza causata ai parenti di tante vittime non saranno vani.
E' sangue e dolore che irrigheranno e feconderanno nuovi e sempre più numerosi salvadoregni che prenderanno co-scienza della loro responsabilità nel costruire una società più giusta ed umana e che porterà il frutto delle riforme strutturali coraggiose, urgenti e radicali di cui la nostra patria ha bisogno.

Il grido di liberazione di questo popolo, è clamore che sale fino a Dio e che ormai niente e nessuno potrà fermare.

Coloro che cadono nella lotta - sempre che sia con amore sincero verso il popolo e alla ricerca di una vera liberazione - dobbiamo sempre considerarli presenti fra di noi. Non solo perché continuano nel ricordo di quelli che proseguono la loro lotta, ma anche perché la trascendenza della nostra fede ci insegna che con la distruzione del corpo non finisce la vita umana... ma, dopo la morte, atten-diamo, per la misericordia divina, il raggiungimento per gli uomini della liberazione piena ed assoluta. Le liberazioni temporali saranno sempre imperfette e transitorie, e sono valide, e varrà la pena lottare per esse, solo in quanto sono un riflesso, sulla terra, della giustizia del regno di Dio.

3. Mi sembra anche sproporzionato, e perciò ingiusto, l'aver tenuto all'oscuro, per tanto tempo, il popolo su quello che succedeva, imponendo il monopolio dell'informazione radiofonica.
Finora la stampa e la televisione, generalmente, hanno diffuso solo la versione ufficiale e altre versioni che, in forma interessata, nascondono la partecipazione della destra e quella dei corpi di sicurezza e cercano di dare l'impres-sione che i colpevoli di tanti morti e feriti siano stati i manifestanti armati.
Dinanzi al saldo orrendo di sangue e di violenza di que-sta settimana, voglio rivolgere, a nome del Vangelo, un nuovo invito a tutti i settori salvadoregni, perché abban-donino le strade della violenza e cerchino con maggior impe-gno soluzioni ragionevoli di dialogo, sempre possibili, al-meno finché gli uomini non rinunciano alla propria razio-nalità e alla buona volontà. Si è visto, ancora una volta, che la violenza non costruisce; soprattutto la violenza di una destra recalcitrante che strumentalizza la violenza re-pressiva delle forze armate per violare, a proprio favore, i sacri diritti umani dell'espressione e dell'organizzazione che il popolo ormai sa difendere.

A questa violenza intransigente della destra, torno a ripetere il severo ammonimento della Chiesa che la fa col-pevole della collera e della disperazione del popolo. Essi sono il vero germe, il vero pericolo del comunismo che denunciano ipocritamente.
Alla violenza delle forze armate devo ricordare il dovere di essere al servizio del popolo e non dei privilegi di pochi.
Vorremmo vedere reprimere con la stessa furia la sovver-sione di destra che è più criminale di quella di sinistra e che potrebbe essere meglio controllata dalle forze di sicurezza".

L'ultima omilia contiene un accorato appello perché cessi la repressione… di fatto la propria condanna a morte!

"Vorrei rivolgere un invito particolare agli uomini dell'eser-cito e, in concreto, alle basi della guardia nazionale, della polizia, delle caserme

Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini e davanti ad un ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: NON UCCIDERE... Nessun soldato è obbligato ad obbe-dire a un ordine che sia contro la legge di Dio... Una legge immorale nessuno deve adempierla...
E' ora, ormai, che recuperiate la vostra coscienza e obbediate anzitutto ad essa, piuttosto che all'ordine del peccato... La Chiesa, che difende i diritti di Dio, della legge di Dio, della dignità umana, della persona, non può rimanere in silenzio di fronte a così grande abominazione. Vogliamo che il governo si renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con tanto sangue... In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: Basta con la repressione!...".

Impressionante a questo riguardo la testimonianza delle suore, secondo cui proprio in quegli ultimi giorni, la paura era tornata ad impadronirsi così fortemente di lui, da indurlo a lasciare nuovamente la casa, messagli a disposizione nel cortile dell'Hospitalito, per rifugiarsi nella piccola stanza dietro l'altare, dove si sentiva più sicuro.

Ci confidava padre Rutilio Sanchez, suo collaboratore come responsabile della Caritas diocesana: "era incredibile vedere la differenza tra la fragilità della sua umanità, le sue paure e la forza della sua profezia quando denunciava i crimini. Sull'altare era un altro uomo!". E ancora: "siamo stati noi a mandarlo al Martirio, perché gli portavamo i fatti documentati di quanto succedeva durante la settimana e gli dicevamo "deve denunciarli". Ed egli aveva paura, ma dopo averli esaminati concludeva sempre: "è giusto, è il mio dovere di pastore!"

Ora che è risorto, è ancor più motivo di fede e consolazione per ogni popolo e… di paura fuori e dentro la chiesa!
Fuori, perché il sistema economico genocida che sacrifica la maggioranza a salvaguardia degli interessi di pochi, servendosi degli eserciti come dei trattati commerciali, è lo stesso ieri e oggi: meglio esaltare altri santi che hanno soccorso i poveri senza però denunciarne le cause.

Dentro, perché celebrare nella verità Romero significherebbe andare oltre la generica denuncia dell'ingiustizia presente nel mondo e la rituale invocazione dei Diritti Umani, per dare nome e cognome a vittime e carnefici come Lui ha fatto. Ma ciò comporterebbe la denuncia di preziosi alleati, la rinunciare a privilegi consolidati e l'avvio di un processo non controllabile. Romero oggi interpella le Chiese dell'America Latina, ma soprattutto noi che viviamo nel cuore del sistema e in tempo di globalizzazione ci ricorda che vanno anzitutto globalizzate la giustizia e la solidarietà.

Finora abbiamo portato in Vaticano 85.000 firme (tra cui quelle a impronta dei campesinos del Chiapas…) per chiederne la canonizzazione. Ci vorrà del tempo. Ma intanto il popolo che è la Chiesa (cfr. Lumen Gentium) lo ha già proclamato San Romero d'America, Martire della Giustizia, della Verità e della Pace. E perciò della Fede.

Quel popolo che conta niente agli occhi del mondo ma è prezioso al cospetto di Dio, ed è simbolizzato dall'Agnello dell'Apocalisse: agnello sgozzato - perché rappresenta tutti gi sgozzati della storia - ma ritto di fronte al trono - perché al suo cospetto un giorno tutte le nazioni e i poteri saranno giudicati.

Il giorno in cui finalmente i potenti saranno rovesciati dai troni
e gli umili innalzati,
gli affamati saranno ricolmati di beni
e i ricchi saranno rimandati a mani vuote
e ai poveri sarà dato in eredità il Regno di Dio!

Alberto Vitali



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