"Dicono che eri un uomo religioso. Io dico che eri di giustizia
e di pace, che eri l'orazione di ogni uomo che non sa pregare;
di quello che ha appena la forza di lottare...". Inizia
con queste parole il canto che Manuel Contreras ha recentemente
dedicato a Mons. Romero, in occasione del XXX anniversario del
suo martirio.
Il
giovane cantautore salvadoregno ha voluto così dire la
sua su una delle questioni che da quasi trenta'anni infiamma
il dibattito sulla figura dell'arcivescovo di San Salvador e
cioè se la sua azione fu esclusivamente di carattere
religioso e pastorale o ebbe anche una chiara e deliberata connotazione
sciale e politica. La reciproca esclusione tra i due aspetti
- quello spirituale e quello politico - sembrerebbe, infatti,
un presupposto irrinunciabile per quanti urlano alla strumentalizzazione
della figura di questo vescovo, da parte delle forze della sinistra
salvadoregna.
In
realtà, la questione travalica ormai il piccolo paese
centroamericano, non soltanto perché ha comportato un
certo ritardo nello svolgersi del processo canonico - in virtù
del quale i salvadoregni attendono da decenni di vedere riconosciuta
anche dalla Chiesa di Roma la santità del loro pastore
(che loro invece hanno proclamato da subito "San Romero
d'America e martire della giustizia") - ma anche perché
tocca la consapevolezza stessa che la Chiesa ha della propria
missione.
In
altre parole: la missione della Chiesa è, e deve essere,
di natura "esclusivamente" spirituale o proprio per
questo anche sociale e politica? La questione, si capisce, è
complessa, perché obbliga anzitutto a porsi un altro
interrogativo: cosa significa, cristianamente parlando, il termine
"spirituale"? Vale a dire, una spiritualità
avulsa dalla storia, che non pretenderebbe di trasformare la
realtà sociale e politica, in ordine alla giustizia del
Regno di Dio, potrebbe davvero dirsi "cristiana"?...
Non
dimentichiamo, infine, come su tutto ciò pesi lo spettro
della Teologia della liberazione o meglio della posizione assunta
dal Vaticano nei suoi confronti. Da un punto di vista strettamente
biblico, infatti, non sembrerebbero esserci problemi, se persino
uno dei teologi più affermati del '900, H. Urs von Balthasar,
in occasione della riunione della Commissione teologica internazionale
del 1976, così scriveva: "L'aspetto religioso in
Israele rimane sempre politico e il politico religioso, fin
nelle viscere stesse della sua speranza escatologica... questo
monismo di religione-politica, che è essenzialmente costitutivo
per Israele, lo è stato e continua ad esserlo anche per
la Chiesa, sempre e in tutte le sue forme"(1).
Del
resto, dagli stessi evangeli appare chiaramente come Gesù
di Nazareth - che certo non era e non voleva essere un politico
- subì un processo politico di fronte a Pilato, al termine
del quale venne giustiziato col supplizio riservato ai rivoltosi
e ai sobillatori politici. E ancora, il Concilio Vaticano II,
nella costituzione Gaudium et Spes, dichiara che: "Tutti
i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale
vocazione nella comunità politica"... seguito nel
1968 dalla II Conferenza dell'Episcopato latinoamericano, riunita
a Medellín in Colombia, che assumendo quella che passerà
alla storia come "l'opzione per i poveri", farà
una critica puntuale delle ingiustizie strutturali dei sistemi
economici e politici vigenti, ribadendo il diritto degli oppressi
a lottare per la propria liberazione.
Ebbene,
Romero conosceva molto bene quei testi, che riteneva suo dovere
- in quanto pastore - diffondere ed attuare. La sua biografia
però ci rivela come in realtà le radici ultime
di questa profonda e reciproca compenetrazione tra spirituale,
sociale e politico nella sua esperienza vadano ricercate con
molto anticipo sullo svolgersi di questi eventi epocali. E soprattutto
come vadano ricercate negli ambiti più insospettabili
della sua devozione e pratica pastorale. Da buon salvadoregno,
infatti, era stato educato fin dal seminario minore alla devozione
alla Vergine della Pace di San Miguel e al Sacro Cuore di Gesù.
In seguito, a Roma, dove studiò teologia dal 1937 al
1943, incontrò la spiritualità ignaziana - in
particolare gli Esercizi spirituali, che divennero una pratica
abituale per lui - e la mistica (con relativa ascesi) del sacrificio
eucaristico proposta dal monaco belga Dom Columba Marmión.
Tutto
questo si trasformò non soltanto in ore di orazione personale,
ma soprattutto di pratica pastorale: nelle adorazioni eucaristiche
e confessioni che propose, non appena ordinato sacerdote, ai
fedeli delle diverse comunità che gli furono contemporaneamente
affidate. Di conseguenza, lo portò anche a conoscere
più profondamente la situazione del suo popolo: la miseria
tanto materiale quanto morale in cui versava quella gente, a
causa di un antico sistema capitalistico-feudatario di sfruttamento,
ma anche del carattere marcatamente anticlericale della conduzione
dello Stato. Non dimentichiamo che tutta l'America Centrale
in quegli anni aveva subito il fascino delle idee massoniche
e liberali propugnate dalla rivoluzione messicana.
Così,
se per i primi anni la sua azione non si discostò da
una buona pastorale di formazione e solidarietà, quando
fu nominato vescovo titolare - a Santiago de Maria, prima ancora
che a San Salvador - non poté disattendere nel fondo
della propria coscienza l'appello di quel Dio che sempre "ascolta
il lamento del suo popolo". Non sarebbe pertanto forzato
accostare la figura di questo vescovo salvadoregno a quella
del grande Mosè. Come lui, infatti, avrebbe continuato
più che volentieri a pascolare il suo piccolo gregge,
ai margini del paese (in san Miguel o a Santiago, entrambi nella
zona orientale d'El Salvador)... lontano dai centri che contano.
Ma proprio come lui fu portato, suo malgrado, a scontrarsi coi
potenti, nel tentativo di liberare dal giogo dell'oppressione
la sua gente. E lo fece con lo stesso stile.
Se,
infatti, non si vuole fraintendere la natura genuina del suo
ministero, non va dimenticato come anche lui visse costantemente
"al cospetto di Dio". Le più forti denunce
politiche (contro il governo, per la repressione; contro l'esercito
per le continue sparizioni; contro la Corte suprema di giustizia,
per l'iniquità che tollerava nelle varie Camere penali...
fino al grande appello all'obiezione di coscienza rivolto ai
militari, il giorno prima del suo assassinio) maturarono proprio
durante ore di raccoglimento davanti al Santissimo Sacramento.
Divenne
persino abituale vederlo uscire e abbandonare tutti, nel mezzo
delle sessioni più drammatiche della Conferenza episcopale
salvadoregna, per andare "a chiedere consiglio" in
cappella. Ma i consigli che lì riceveva spesso non piacevano
ai potenti, che perciò lo accusavano sempre più
d'essere politicizzato. Un giorno il Segretario di Stato vaticano
gli rivelò che persino l'ambasciatore degli Stati Uniti
presso la Santa Sede si era lamentato della posizione filo-rivoluzionaria
dell'arcivescovo di San Salvador.
A
questa valanga di accuse, Romero rispose risolutamente, durante
un'omelia, commentando la lettera di San Giacomo: "È
inconcepibile che qualcuno si dica "cristiano" e non
assuma, come Cristo, un'opzione preferenziale per i poveri.
È uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la
Chiesa perché pensa ai poveri. Questo non è cristianesimo!...
Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice
"in favore dei poveri", stia diventando comunista,
stia facendo politica, sia opportunista. Non è così,
perché questa è stata la dottrina di sempre. La
lettura di oggi non è stata scritta nel 1979. San Giacomo
scrisse venti secoli fa. Succede invece che noi, cristiani di
oggi, ci siamo dimenticati delle letture che devono reggere
la vita dei cristiani"(2) ...
Quelli
che invece compresero sempre magnificamente la natura del suo
ministero e della sua preghiera furono ancora una volta i semplici;
forse anche perché non avevano alcun bisogno di ridurre
la sua figura profetica a quella di un santino della spiritualità.
"Ah Romero, uomo d'amore sincero, che questo popolo continui
ad essere la tua orazione" continua la canzone di Contreras...
E davvero nella preghiera Romero portava tutto il popolo al
cospetto di Dio. Il suo Sinai era più modestamente la
cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, dove abitava
e che alla fine divenne l'altare del suo sacrificio. Ma divenne
anche la cattedra più vera del suo episcopato, quella
da cui continua a insegnare a quanti vogliono ascoltarlo che
per "cercare le cose di lassù" (Col 3,1) dobbiamo
tenere i piedi ben piantati sulla terra.