di
Emma Nuri Pavoni
Qualunque
nostra attività genera rifiuti, da quelle domestiche fino
a quelle produttive e commerciali, dell’agricoltura e dell’industria.
Utilizzando materie prime, produciamo beni consumando però
energia e scartando una quantità crescente di rifiuti.
Nel nostro piccolo produciamo circa 1 chilo e mezzo di rifiuti
ogni giorno, pari a 450 chili l’anno. Essendo noi italiani 58
milioni, questo significa che ogni anno il nostro paese deve smaltire
228 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica, vetro, alluminio,
scarti alimentari, batterie, farmaci scaduti, olii esausti, copertoni,
carta e una quantità incredibile d’imballaggi che costituiscono
ormai un serio problema igienico sanitario. Lo smaltimento di
tali rifiuti costituisce perciò una questione di primaria
importanza, soprattutto nelle grandi città per il rischio
sempre incombente di malattie dovute ai processi putrefattivi
di tali elementi. I rifiuti vanno dunque rimossi quanto prima,
ma ciò crea l’ulteriore problema della loro collocazione
finale. Tradizionalmente questo avviene mediante l’utilizzo di
discariche, realizzate con criteri più o meno compatibili
con l’ambiente. Se non pensate e gestite in luoghi adatti e con
criteri ottimali causano facilmente l’inquinamento delle falde
acquifere, utilizzate a fini potabili o agricoli, o dei corsi
d’acqua superficiali, posti nelle loro vicinanze. Un problema
molto concreto che riguarda comunque le discariche è quello
dei tempi necessari affinché i rifiuti vengano trasformati
in sostanze inerti.
Questo
è infatti superiore ai 100 anni e ciò impedisce
che i territori interessati possano essere destinati ad altri
usi per molto tempo. Esiste inoltre il fenomeno delle discariche
abusive, quando addirittura i rifiuti non vengono abbandonati
nei corsi d’acqua o nei boschi che circondano le città.
Un altro modo di smaltire i rifiuti è quello dell’incenerimento.
Questo rappresenta sicuramente una buona alternativa alle discariche
e offre in più l’opportunità di recuperare energia
calorica riutilizzabile ad esempio per riscaldare le abitazioni
(teleriscaldamento), facendo così risparmiare il ricorso
ad altre forme di energia più inquinanti, costose e socialmente
devastanti quali l’utilizzo del petrolio. Anche ciò questo
però non è esente da rischi, primo fra tutti l’immissione
in atmosfera di sostanze tossiche. Per quanto i moderni sistemi
di controllo e le tecnologie di depurazione dei fumi riducano
i rischi a livelli accettabili, un’elevata temperatura di combustione
e la presenza di cloruri nei rifiuti piò innescare un processo
che porta alla produzione delle diossine.
Naturalmente
i paesi poveri sprecano molto meno e diverso è di conseguenza
il loro modo di affrontare il problema dei rifiuti. In questo
caso è però necessario distinguere nettamente tra
zone rurali e grandi centri urbani. Nelle prime gli scarti alimentari
sono ovviamente minimi, così come il riutilizzare più
volte gli oggetti è pratica consolidata. Non così
nelle grandi metropoli, per quanto la quantità di rifiuti
ivi prodotta è comunque inferiore a quella delle città
del nord del mondo. Nelle baraccopoli che le circondano, il 30
– 50% dei rifiuti non viene raccolto dal servizio pubblico: una
parte viene così riciclata sul posto, un’altra resta nelle
strade provocando una serie ben immaginabile di problemi sanitari.
In talune località inoltre, l’abitudine di bruciare i rifiuti
all’aperto provoca un grave inquinamento dell’aria. In Africa
e in America Latina in fine, il recupero nelle discariche di materiali
"utili", è molto diffuso da parte di molte famiglie,
che in questo modo si assicurano il minimo indispensabile per
vivere. I materiali organici recuperati vengono riutilizzati per
l’agricoltura o l’allevamento; vetro, metalli e carta vengono
invece rivenduti. Le condizioni di lavoro di queste persone sono
però drammatiche.
Emblematica
a questo proposito è l’immagine dei catadores brasiliani
che affollano in condizioni igieniche disastrose le discariche
nei dintorni di San Paolo e Rio de Janeiro.
Nonostante
il Sud del mondo produca una quantità di rifiuti decisamente
inferiore a quella del Nord, non per questo l’emergenza è
meno incombente; anche perché da anni bastimenti carichi
di rifiuti di ogni genere salpano dai porti europei e nord americani
alla volta dei paesi più poveri, dove legislazioni inadeguate,
corruzione e bisogno permettono loro di utilizzarli come discariche
planetarie.
I
rifiuti tecnologici degli Stati Uniti si esportano nei paesi poveri
Contenitori
carichi di computer in disuso vengono inviati in Cina, India o
Pakistan. Lì vengono riciclati, con risultati molte volte
nocivi per l’acqua e la terra. Preoccupa anche la partecipazione
dei lavoratori bambini in compiti che comprendono la manipolazione
dei materiali potenzialmente pericolosi.
Tra
il 50% e l’80% dei residui elettronici destinati al riciclaggio
negli Stati Uniti si colloca in contenitori e si invia per nave
in Cina, India, Pakistan e altri paesi sottosviluppati, dove si
riutilizzano o si riciclano in condizioni precarie, molte volte
con risultati pericolosi. L’esportazione globale di scarti tecnologici
(computer, monitor e schede di circuiti) sta creando problemi
ambientali e sanitari nel terzo mondo, secondo un rapporto recente
emesso da cinque organizzazioni ambientaliste.
Sebbene
non esistano stime precise sul volume di questo tipo di rifiuti,
creati dallo scarto dei prodotti elettronici obsoleti, l’Agenzia
di Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA), calcolò
che nel 1997 circa 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici
riempirono le apposite discariche del paese e che tale quantità,
cresciuta nel tempo, potrebbe addirittura quadruplicarsi nei prossimi
anni. Nel rapporto, si citano anche le statistiche del Consiglio
Nazionale di sicurezza degli Stati Uniti secondo le quali circa
315.000 di computer diventeranno obsoleti ogni sette anni, e ciò
genererà una grande varietà di rifiuti potenzialmente
tossici. Ad esempio, ciascun monitor di computer o ciascun schermo
televisivo contiene una media variante tra i due e i quattro chili
di piombo, che possono contaminare l’ambiente quando questi vengono
buttati illegalmente nelle discariche. "Stiamo creando un
problema che ancora non ha soluzione", disse Ted Smith, direttore
esecutivo della Silicon Valley Toxicis Qualition, uno dei gruppi
che collaborarono alla stesura del rapporto.
Dal
canto suo, uno scienziato dell’EPA, Robert Tonetti, riconobbe
che una parte significativa dei prodotti elettronici obsoleti
degli Stati Uniti viene esportata, ma poiché non esiste
un informazione sistematica sulle spedizioni all’estero, non è
possibile quantificare con precisione l’entità del problema.
Secondo un rapporto del Consiglio Nazionale di Sicurezza degli
USA, risalente al 1999, citato da Tonetti, in questo paese, si
sarebbero riciclati circa 723.000 monitor ed esportati altri 100.000.
In
questi anni si è così sviluppato un dibattito internazionale
su come affrontare il problema. Secondo Tonetti. "L’Unione
Europea, per esempio, ha già iniziato ad esigere dai fabbricanti
che si assumano la responsabilità dei loro prodotti dall’origine
alla fine, in modo particolare quando contengono materiali potenzialmente
pericolosi". Denunciò inoltre che: "ciò
nonostante, l’industria ed il governo Nord americano resistono
a questo tipo di misure".
Secondo
il rapporto degli ecologisti, una delle principali vittime del
boom del riciclaggio dei prodotti tecnologici obsoleti provenienti
dagli Stati Uniti e diretti in Cina, fu l’acqua potabile. I ricercatori
ritengono inoltre che nelle operazioni di riciclaggio (incenerimento
della plastica, cavi, lavori con acidi per estrarre l’oro, fusione
e incenerimento delle schede dei circuiti saldati e distruzione
di tubi catodici con alto contenuto di piombo) sono soliti partecipare
bambini, naturalmente incoscienti dei pericoli a cui sono esposti.
"I lavoratori non possono contare su un equipaggiamento adeguato
di protezione e spesso aprono cartucce con cacciaviti e utilizzano
pinze o le mani per gettare il toner nei contenitori di smaltimento",
dice il rapporto.
Gli
autori sostengono infine che i regolamenti ambientali più
rigorosi nel mondo sviluppato, generano la tendenza ad esportare
materiali pericolosi nei paesi più poveri, dove le protezioni
lavorative e ambientali sono inadeguate. Alcuni gruppi ecologisti
raccolsero campioni dell’acqua e del suolo nel fiume Lianjiang,
in Cina e li fecero analizzare in un centro privato di Hong Kong.
I risultati rilevarono livelli allarmanti di metalli pesanti che
coincidevano direttamente con quelli che si utilizzano nei computer.
Il campione dell’acqua raccolto vicino a d un luogo dove vengono
trattate e incenerite le schede dei circuiti, rivelò livelli
di materiali tossici 190 volte superiori a quelli raccomandati
per l’acqua potabile, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ho
dieci anni e vendo rifiuti
La
testimonianza di un bambino della baraccopoli di Marotinho, a
Salvador de Bahia, Brasile.
"Il
mio nome è Chico, ho dieci anni. Abito con mio padre, mia
madre e mio fratello là nella strada "Boa Paz". La mia
casa è di foratoni, ha tre stanze e un bagno, c'è
un frigo, una radio, non ho la televisione.
Mio
padre e mia madre lavorano uno da carpentiere e l'altra in un
palazzo a far pulizie; qui nella discarica lavoriamo io e mio
fratello. lo vengo a lavorare qui perché sono ancora piccolo
e non c'è posto da altre parti. Nella discarica cerco lattine
di alluminio da vendere a 55 cruzeiros al kg., di solito
le vendo a dona Paulina, una signora che abita qui vicino. Guadagno
più o meno mille cruzeiros al mese (circa 40 euro)
che metto in casa e che mi servono per comperare le cose di cui
ho bisogno: vestiti, merenda, quaderno... Certo il lavoro è
pericoloso, in questo posto ci sono delle liti per raccogliere
tra i rifiuti e qualche volta ci scappa anche il morto come è
successo pochi giorni fa. Anche quando frana la montagna delle
immondizie schiaccia sempre qualcuno e muore.
A
me va bene che l'immondizia sia gettata qui perché è
vicino a casa mia e la puzza non mi disturba molto perché
mi sono già abituato. Quando arrivano i camion, aspetto
quello che porta i rifiuti del supermercato Paes Mendonça,
il camion n. 61, perché scarica cose buone che io poi mangio,
come pane, yogurt, banane. Vengo a lavorare al mattino alle 7
e ritorno a casa alle 14, non voglio lavorare di notte perché
è troppo rischioso a causa della ruspa che spiana i monti
di immondizia e può schiacciarmi, come è già
successo. A volte vengono qui dei fotografi a scattare fotografie
e a me piace perché così vado in televisione. A
me piacerebbe lavorare in officina, imparare a fare il meccanico,
ma i miei genitori non mi lasciano perché sono troppo piccolo".
Tratto
da: Machado-Pistelli, I figli della discarica, EMI, Bologna 1992
|