"Noi
dichiariamo che non continueremo a combattere in questa guerra…
che non continueremo a combattere oltre la linea verde per dominare,
espellere, affamare e umiliare un intero popolo…". E' notte fonda
quando ascolto alla televisione le parole di quei militari israeliani
che in un impeto di coscienza hanno dichiarato di non essere più
disposti ad obbedire agli ordini iniqui ricevuti negli ultimi
mesi, perché distruggono i valori del loro stesso paese. Non saprei
descrivere la mia reazione, ma mi sono ritrovato in piedi. Forse
per effetto dell'emozione violentissima che mi ha pervaso, forse
per un impulso di rispetto e ammirazione verso quegli uomini,
forse perché ho percepito la presenza di Dio, che ancora passa
nella storia operando prodigi insperati. Nel momento in cui l'umanità
sembrava aver imboccato nuovamente il tunnel irrazionale della
violenza e dell'autodistruzione, un simile sussulto di coscienza,
dignità e umanità ci è giunto proprio dalla regione più compromessa
e dalla professione da cui meno ce lo saremmo potuti aspettare.
Dunque anche nell'era del pensiero unico e della mistificazione,
che cela la violenza e ogni brama di conquista sotto i falsi panni
del diritto, dell'ingerenza umanitaria e della libertà, esistono
persone capaci di anteporre la propria coscienza ad ogni interesse
e sudditanza, per riscattare il senso più profondo della propria
umanità. E' quindi ancora lecito sperare! Quando poi le mie emozioni
si sono trasformate in preghiera, lo hanno fatto con le parole
del Salmo 126: "Quando il Signore ricondusse i prigionieri di
Sion, ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al
sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia". Davvero,
dopo mesi di frustrazione sul versante della pace, mi sembrava
di sognare e pensando a quel gruppetto di uomini che avevano avuto
il coraggio di ribellarsi per amore, il ricordo mi è corso all'antica
promessa di Jahweh al suo popolo: "Farò restare in mezzo a te
un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto
d'Israele. Non commetteranno più iniquità…" (Sof 3,12-13a). Sì,
ancora una volta Dio è stato fedele alle antiche promesse: mentre
celebravamo il ricordo della Shoah, più sgomenti che mai - perché
a dimostrare di non aver imparato niente da quella immane tragedia
sono proprio i leader politici di Israele - Dio ha mantenuto la
promessa di un "resto" che conserva dignità e benevolenza al suo
popolo. E proprio il ricordo della Shoah ci invita ad allargare
gli orizzonti e a leggere la categoria del "resto" in termini
universali. Israele infatti ci ha insegnato a riconoscere anche
nella tragedia la presenza dei "giusti tra le nazioni": quelle
persone che, ieri come oggi, non si sottomettono alla malvagità
dei tempi e conservano puro il loro cuore. Quelli per rispetto
dei quali - dice il Talmud - Dio risparmia il mondo, trattenendo
la sua "ira vendicatrice" per il male compiuto dagli uomini. I
giusti sono quindi il "resto del mondo" e quella del "resto" mi
appare sempre più quale categoria "spirituale" feconda, per definire
ogni esperienza autenticamente umana e/o credente nel proprio
contesto storico. Il "resto" di sua natura è piccolo, non conta.
Si differenzia dalle masse, che seguono l'onda, incapaci di prendere
posizione, e tanto più dai potenti, che hanno la forza necessaria
per dominare gli eventi storici a proprio vantaggio. E' alternativo,
perché il solo ordine a cui obbedisce è quello morale, che si
annida nella coscienza, e non è finalizzato a interessi contingenti,
ai quali anzi è spesso addirittura contrario. Ma soprattutto il
"resto" è alternativo perché non misura la verità sul metro del
successo: buono e giusto è solo ciò che fa crescere in umanità,
non in potere o ricchezze. Inoltre non è trionfante, perché spesso
conosce il sacrificio e la sconfitta, e se talvolta - sulle distanze
- risulta vincente, non assume la logica della dominazione che
calpesta la dignità altrui. Non è però una situazione da pii perdenti,
anzi la sua prospettiva, feconda, è la sola capace di generare
futuro. Oggi più di ieri, in presenza di un sistema economico
genocida ed ecocida, in cui le scelte dei potenti - caratterizzate
da ingordigia egoistica - sono così prive di prospettiva da ipotecare
addirittura il destino dell'umanità, solo un "resto" di uomini
e donne mossi, non da meri interessi personali, ma dal rispetto
della vita di tutti e dall'avvenire delle giovani generazioni,
può offrire garanzie e speranza. Per questo la categoria teologica
del "resto" si rivela una dimensione spirituale, da coltivare
in forma personale e collettiva. A ciò la religione offre certamente
un supporto straordinario, ma non è l'unica strada. Quello che
l'esperienza di fede può offrire è un orizzonte interpretativo
della storia che, non limitandosi ad una concezione immanente,
sia di ampio respiro e aiuti a resistere alle inevitabili sconfitte,
perché non giungano a frustrare e a spegnere ogni impegno. I credenti
- ebrei, cristiani… - sanno che il tempo cronologico non esaurisce
l'orizzonte di senso del loro impegno, che la verità e la giustizia
non saranno compiutamente manifestate in esso e che anzi la storia
è irrimediabilmente segnata anche dal peccato. Comunque lo si
spieghi dal punto di vista metafisico, il male impedisce e impedirà
sempre la piena realizzazione della giustizia sulla terra. Saremo
quindi, in un certo senso, sempre destinati a restare insoddisfatti...
ma questo non giustifica nessuna resa. In termini cristiani, direi
che il Regno - il mondo, la vita come Dio la vuole - non si compie
qui. Sulla terra dovremo sempre fare i conti con la presenza della
malvagità umana, fonte perenne di ingiustizie, sofferenze e morte.
Però - e qui sta il nostro punto di forza - quello a cui siamo
invitati è lottare, da subito, per la costruzione di un mondo
nuovo: il Regno inizia qui! Perciò rimango sconcertato ogni qualvolta
incontro dei credenti - e non sono pochi - che arricciano il naso,
mostrano diffidenza, se non vera e propria avversione di fronte
al sogno che sta nascendo da diverse basi sociali in tutto il
mondo e nel Forum di Porto Alegre si è espresso nello slogan "un
nuovo mondo è possibile". Si tratta di intendersi sulle parole,
ma un mondo diverso, più giusto, più umano, in cui a tutti sia
garantito il necessario per vivere con dignità, cos'altro può
essere se non l'inizio del Regno? Certo, anche nell'antico Israele
tutti si professavano credenti, ma… il "resto" si chiamava così
non a caso!… La forza che intravedo nella coscienza di "essere
resto" è quella, da un lato, del suddetto realismo storico, che,
cosciente dei propri limiti e di quelli dell'intera umanità, non
si lascia travolgere dalla frustrazione che induce a lasciare
tutto; dall'altro, del riporre oltre a sé, in Dio, ma anche più
semplicemente nella forza della propria coscienza, il fondamento
ultimo della verità che si sta perseguendo. E questo è importante
soprattutto nel momento in cui lo scontro si fa duro e gli "altri",
coloro che tirano le redini della storia immediata, cercano di
confondere, identificando la verità dei valori e degli ideali
con il loro successo storico: "Se hai perso, significa che non
eri sulla strada giusta: lascia perdere!" La coscienza di "essere
resto" è invece principio di resistenza, passione per l'uomo e,
in questo senso, anche fondamento di una nuova mistica: apre a
orizzonti nuovi! Apre ad una fraternità veramente universale.
Perché nella categoria del "resto" possono ritrovarsi uomini e
donne di religioni e fedi politiche diverse: ebrei, cristiani,
islamici, buddisti… laici. Il denominatore comune è la passione
per il bene di ciascuna persona, della natura, della vita: in
particolare dei più piccoli, oppressi ed esclusi. E si fanno scoperte
incredibili, a volte imbarazzanti, altre entusiasmanti… Un vescovo
del Brasile, Dom Pedro Casaldáliga, ci diceva: "in America Latina,
non di rado, ci troviamo nella situazione in cui al nostro fianco,
a lottare per la difesa dei diritti dei poveri, ci siano uomini
e donne non credenti o addirittura appartenenti a movimenti politici
che voi in Europa considerate atei, mentre dall'altra parte, ad
opprimere, torturare, uccidere il popolo ci sono dei signori che
si professano cristiani e celebrano regolarmente i sacramenti.
In Salvador questi hanno persino ucciso un vescovo. E allora chi
di questi vi sembra più fratello in Cristo?". Già Padre Turoldo
ammoniva: "ormai lo scontro non è più tra credenti e non credenti,
ma tra chi si mette dalla parte dell'uomo e chi dell'inumano che
avanza!". Oltre gli antichi muri e pregiudizi, Dio sta dunque
chiamando l'umanità a scoprire nuove strade verso una vera fraternità
universale. Ancora una volta lo fa con lo stile che gli è proprio
da sempre: non come Colui che entra nella storia con potenza e
travolge tutti, ma in punta di piedi: chiamando prima un uomo
poi un altro, una donna… un piccolo resto. A loro, a qualsiasi
"popolo, tribù, razza o lingua" appartengano affida il progetto
di costruire un mondo nuovo e di dare fisionomia all'uomo nuovo.
Noi cristiani lo chiamiamo Gesù e non importa come lo chiamino
gli altrui… Egli è il Testimone del Dio di tutti i nomi, del Dio
della Vita. Egli è colui che è venuto per fare "dei due un popolo
solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè
l'inimicizia" (Ef 2,14). Lo fa come sempre partendo dai piccoli
e da coloro che non contano niente: il popolo più piccolo e insignificante,
schiavo, dell'antico Egitto; un gruppetto di dodici malcombinati
- dai partigiani zeloti al collaborazionista pubblicano -: tutta
gente che con la religione aveva poco a che fare… Ma "Dio ha scelto
ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto
ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" (1Cor 1,27).
Così la categoria del resto oltre a orientarci nell'analisi della
nostra esperienza spirituale e del nostro vissuto, ci offre il
sostegno di una mistica - anche laica e perciò universale - nella
lotta per la giustizia e costituisce una chiave di lettura imprescindibile
per gli attuali segni dei tempi. Se infatti osserviamo con attenzione,
attorno a noi possiamo scoprire molti segni di resistenza che
rianimano la nostra speranza perché testimoniano la presenza di
molte persone che, non accettando la logica della violenza e della
prevaricazione, rivendicano il primato della coscienza. Sono i
nostri fratelli più veri, tutti i resti del mondo.
Alberto
Vitali
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