Procuratrice dei Diritti Umani
in El Salvador



Nel mio ultimo articolo, prima delle vacanze estive, dedicato alle politiche migratorie dei paesi dell'Unione Europea ed in particolare alla legislazione in materia elaborata dal nostro governo, con un po' d'amarezza e delusione, avevo parafrasato il grande Gaber: "anch'io non mi sento italiano". La vita però è davvero sorprendente e a volte riesce ad esserlo in modo positivo… persino nei momenti e nelle situazioni più imprevedibili! Così nel mese d'agosto, lontano centinaia di migliaia di chilometri in direzione sud-ovest, per accompagnare un gruppo di giovani volontari, in uno dei diversi campi estivi promossi da Pax Christi Italia, ho provato inaspettatamente la fiera sensazione di "sentirmi italiano", grazie all'incontro con una piccola-grande donna: la Procuratrice per la Difesa dei Diritti Umani dello Stato di El Salvador, Dr.ssa Beatrice Alamanni, coniugata Carrillo. Nata a Lauriano Po (To), laureata in giurisprudenza all'università di Torino, vive e lavora dai primi anni '70 nel più piccolo paese del Centro America, di cui ha ottenuto la cittadinanza, ma a spese di quella italiana, perché - bontà loro - la legge salvadoregna non ammetta doppia nazionalità. Tra i suoi trascorsi più significativi va' certamente ricordato l'insegnamento - tuttora in corso - presso l'Università gesuitica "José Simeón Cañas" di San Salvador, dove fu collega dei sei gesuiti martiri nel 1989 ed in particolare "figlia spirituale" del padre Ignazio Ellacuria, cui abbiamo dedicato l'inserto sul Concilio Vaticano II nel numero "luglio-agosto 2003" di Viator. Nella stessa Università fu anche fondatrice e prima Direttrice della Facoltà di Scienze Giuridiche. Da due anni ha assunto il ruolo più delicato e certamente più pericoloso della Repubblica salvadoregna: quello di vigilare sul rispetto dei diritti umani, denunciarne ogni possibile violazione, svolgere indagini e ispezioni, assistere le vittime, vigilare la situazione di quanti sono privati della libertà, supervisionare l'Amministrazione pubblica nel rapporto con i cittadini, proporre riforme per la promozione dei Diritti Umani, esprimere opinioni sui progetti di legge che riguardano l'esercizio di tali diritti, formulare conclusioni e raccomandazioni sia pubbliche che private. In una parola: "essere voce di chi non ha voce". E sebbene la "Procura per la Difesa dei Diritti Umani" sia un'istituzione statale - nata dagli accordi di Pace del 1992, che posero fine a 12 anni di conflitto armato, interno al Salvador - il ruolo che oggi ricopre la Dr.ssa De Carrillo la pone nella particolare condizione di avere quale principale controparte lo stesso Stato, ovvero il governo e ogni altra istituzioni nazionale (tra cui l'esercito e la polizia civile). Il tutto in un contesto che definire "pacificato" sarebbe pura velleità, a giudicare dalle minacce, sempre più frequenti, rivolte alla sua persona e dal giudizio espresso il 19 agosto u.s. a Ginevra, dall'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'ONU, che, nel corso del 78° periodo di sessione, ha analizzato i rapporti terzo, quarto e quinto presentati dallo Stato salvadoregno sulla situazione dei diritti contenuti nel "Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici", a compimento degli obblighi internazionali. Dopo un riconoscimento molto generico degli sforzi compiuti per costituire uno Stato di Diritto e promuovere un processo democratico, le osservazioni redatte dal Comitato passano repentinamente ad indicare i punti dolenti che impediscono la realizzazione del Patto stesso. Col tono proprio della denuncia, viene anzitutto messa sotto accusa la "Legge d'Amnistia" del 1993, che ancora oggi impedisce di perseguire i responsabili dei più efferati crimini degli anni '80 (tra cui l'assassinio dell'Arcivescovo Romero e dei sei gesuiti) e di garantire il dovuto indennizzo alle vittime. Così pure viene lamentata la "mancata segnalazione circa la dovuta rimozione dai rispettivi incarichi di quei militari e ufficiali giudiziali che furono menzionati nel rapporto della Commissione della Verità"… e poiché la speranza è l'ultima a morire, si raccomanda che tale inadempienza venga assolta al più presto. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite esprime inoltre forte preoccupazione per il coinvolgimento della Polizia Nazionale Civile in atti di violazione dei Diritti umani e, pur riconoscendo il lavoro svolto contro la violenza intra-familiare, denuncia però la persistenza di quella contro la donna, persino all'interno della stessa Polizia. Ancora, lamenta come l'Assemblea Legislativa non appoggi la creazione di una Commissione Nazionale per la ricerca dei bambini scomparsi a causa del conflitto e la situazione dei penitenziari, dove si registrano condizioni inaccettabili di vita ed un miscuglio indebito tra coloro che sono in attesa di giudizio e quanti invece stanno già scontando la pena. Infine esprime grande preoccupazione di fronte ai "diversi rapporti relativi alle minacce ricevute dalla signora Procuratrice nell'esercizio delle sue funzioni" (su questo, peraltro, l'Alto Commissariato era già intervenuto nel rapporto trimestrale febbraio-aprile di questo stesso anno) e insiste con lo Stato perché "favorisca il lavoro della Procura per la Difesa dei Diritti umani, offrendo il massimo appoggio istituzionale, garantendo la sua indipendenza e fornendo tutte le risorse umane e materiali necessarie perché possa essere pienamente operativa". Ugualmente raccomanda che "lo Stato adotti ogni misura necessaria per garantire la sicurezza di tutti i funzionari delle istituzioni nell'esercizio del loro lavoro". Commentando queste indicazioni, la Procuratrice ci diceva: "in tutta risposta, il Ministro delle Finanze mi ha immediatamente comunicato il taglio del 2% dei fondi, già molto bassi, a mia disposizione". Questo, a nostro avviso, la dice lunga sulle effettive intenzioni del governo di fronte ad una situazione che la stessa Dr.ssa Carrillo, rivolgendosi al popolo salvadoregno e alla comunità internazionale, così riassumeva nell'editoriale del neonato bollettino della Procura (gennaio 2003): "Il nostro paese affronta momenti duri, di grave crisi sociale, sul cui sfondo stanno violazioni ai diritti economici e sociali della grande maggioranza della popolazione, colpita dalla povertà, dalla disoccupazione, dalla carenza di abitazioni, dalla vulnerabilità di fronte ai disastri naturali, dalla mancanza di fruizione dei servizi alla salute, all'educazione e al lavoro, tra altri mali inaccettabili. In questo difficile contesto, le politiche statali degli ultimi anni si sono mostrate chiaramente indifferenti alle necessità della gente, insolventi agli obblighi dello Stato di garantire il pieno rispetto dei diritti umani. Così sono cresciute nel nostro territorio la violenza sociale e la delinquenza, lo scontento generalizzato per i licenziamenti massivi e le precarie condizioni economiche delle famiglie salvadoregne, l'astensionismo elettorale e l'emarginazione. Di fronte a tale instabilità sociale, lo Stato in molte occasioni adotta una risposta di tipo autoritario e si chiude ad ogni dialogo con la società civile. Tra queste risposte emerge l'indurimento del sistema penale e poliziesco salvadoregno, che promuove un processo di regresso rispetto alla riforma penale altamente democratica del 1998…". Due cose, in particolare, hanno colpito la nostra attenzione. La prima è un fenomeno non esclusivamente salvadoregno, ma comune a tutti i paesi dell'istmo centroamericano: quello delle cosiddette "maras", le bande giovanili note al grande pubblico grazie ad alcuni film sui bassifondi delle metropoli americane. Originarie infatti di Los Angeles (USA), in Salvador, come in Guatemala o in Honduras, le maras sono piuttosto un "prodotto di importazione", dovuto al rimpatrio forzato di molti giovani immigrati o di seconda generazione. Non tutti sanno però che queste bande non sono necessariamente a carattere delinquenziale: molte sono semplici forme di organizzazione di ragazzi e ragazze di strada, finalizzate all'autodifesa e all'aiuto reciproco… ma pretendere certi "distinguo" da chi ha come unico interesse quello di "colpire duro", sembra davvero troppo! A "colpire" invece un turista sui generis e abbastanza attento come me, che negli ultimi anni ha più volte visitato quei paesi, è stata l'improvvisa ed esagerata centralità politica e mediatica, riservata soltanto adesso (in Salvador come in Guatemala) ad un fenomeno che prima veniva considerato piuttosto marginale. Non solo: entrambi i paesi stanno elaborando una legge, chiamata significativamente della "Mano dura", che avrebbe quale finalità quella di colpire e reprimere tali presunti criminali, ma che la Dr.ssa De Carrillo - per quanto riguarda la sua competenza territoriale - denuncia senza mezzi termini come "manifestamente incostituzionale, perché prevede l'uso dell'esercito, anziché della Polizia Nazionale Civile, in violazione a quanto sancito dagli Accordi di Pace e dalla Costituzione", oltre che "totalmente insensata" perché l'80% della delinquenza salvadoregna è costituita da adulti, e allora non si capisce la necessità di scagliarsi principalmente contro i minori. Inoltre, su 103 arresti, operati nei giorni del nostro soggiorno, 80 dovettero essere liberati subito per mancanza del benché minimo indizio, 22 di lì a poco e solo per uno fu istruito il processo: percentuali che rivelano tutta l'inefficacia della strada intrapresa. Da parte sua il governo fa leva sull'orrore dell'opinione pubblica di fronte all'assassinio di 17 ragazze, smembrate e fatte ritrovare qua e là, ma gli analisti - oltre al buon senso comune - non trovano il benché minimo motivo per cui le bande potessero essere interessate a compiere delitti del genere. A noi italiani la cosa faceva piuttosto pensare ai tempi della "strategia della tensione"… anche perché, pure in questa occasione, non si sono contate le accuse rivolte alla Procuratrice e ai partiti di opposizione che si sono dichiarati contrari a questa legge. La chiave di lettura più convincente l'ha forse offerta la chiesa luterana (quanto alla cattolica sembrano passati ben più di vent'anni dai tempi di Romero), per bocca del vescovo Medardo Gómez: "Il partito della destra sta utilizzando questa proposta di legge con finalità elettorali per la campagna presidenziale del 2004, ciò è provato dalle accuse rivolte a partiti ed istituti politici di opposizione di essere alleati e complici delle bande" (Diario Colatino, 20/08/03). E poiché le elezioni sono fissate per il 21 marzo del prossimo anno, Dio solo sa cosa potrà ancora accadere! Intanto però si è già sfiorato il grottesco: nella conferenza stampa del 13 agosto u.s. la Procuratrice ha lanciato un allarme a tutela dei ragazzi sordomuti, perché, secondo la polizia, uno degli elementi distintivi dei "marosi" sarebbe quello di esprimersi a gesti, rifiutando il linguaggio parlato… La seconda questione che ci ha particolarmente colpito - soprattutto per il caso che vi è stato montato - fu quella della situazione carceraria. A giudizio della Procura per la Difesa dei Diritti Umani, la situazione dei penitenziari salvadoregni è oltre ogni garanzia prevista dalla legislazione nazionale e dai trattati internazionali: "basti pensare che qualche funzionario governativo osa parlare spudoratamente dell'obiettivo di "castigare" e non di "riabilitare" secondo il dettame della Legge". Per quanto mi riguarda, i penitenziari sono tra le poche realtà del paese che non ho visitato, ma avendo più volte incontrato il personale medico nel policlinico "Rosales", il principale ospedale di San Salvador - se tanto mi da tanto - non oso pensare a cosa possa essere un carcere… In tali condizioni si registrano in media due crisi carcerarie al mese, dovute, secondo la Dr.ssa De Carrillo, "alla situazione insostenibile di circa 12.000 prigionieri, che appartengono all'area dei piccoli-medi delinquenti, perché i pezzi grossi non ci finiscono mai". L'episodio più allarmante si è consumato lo scorso 16 dicembre nel carcere "La Esperanza" (!) in località Mariona. Così la Procuratrice relazionò l'accaduto all'opinione pubblica: "Contravvenendo alla legalità, la Polizia Nazionale Civile prese di sorpresa e in totale segretezza le strutture del Centro Penale "La Esperanza" e sviluppò un procedimento altamente vessatorio dei Diritti Umani dei reclusi. Di conseguenza, scoppiò una rivolta e due poliziotti furono assassinati nell'area dei dormitori del settore tre, mentre altri due agenti furono colpiti gravemente e presi in ostaggio… La Polizia Nazionale Civile seppe immediatamente che i poliziotti stavano per essere assassinati, ma decise di non intervenire per liberarli… Dopo quasi un'ora, decisero di chiedere alla Procura per la Difesa dei Diritti Umani di intervenire, per negoziare la liberazione degli ostaggi… La nostra negoziazione ebbe successo, perché i reclusi liberarono i due ostaggi e terminarono la rivolta, chiudendosi pacificamente nelle celle… Prima e durante il nostro intervento che salvò un gran numero di vite, evitando un massacro sia tra i prigionieri che tra i membri della PNC, i capi della Polizia responsabili dell'incidente realizzarono atti deplorevoli, tra cui un tentativo di colpire la mia vita e quella del mio personale, inviando un agente di polizia o un secondino a sparare alcuni colpi dentro l'area delle celle del settore ribelle, mentre vi ero entrata per negoziare. Il Direttore della Polizia Nazionale Civile diffuse poi la falsa versione secondo cui fui io ad impedire un'operazione di liberazione dei prigionieri, per cui sarei responsabile di quelle morti…. L'analisi tecnica dell'incidente ci porta alla convinzione che l'operato delle autorità di polizia fu deliberato per montare una campagna calunniosa contro di me e colpire il lavoro della Procura dei Diritti Umani, con lo scopo politico di azzittire la nostra voce…". Campagna che puntualmente si realizzò nei primi mesi dell'anno ed arrivò a preoccupare - come ricordato - l'Alto Commissariato per i Diritti Umani dell'ONU perché, a differenza di quanto avviene da noi, dove diffamazioni a mezzo stampa con relative smentite sono quasi uno sport nazionale, in Salvador hanno sempre presagito il compimento delle più sinistre promesse. Sullo sfondo si staglia la situazione di un paese che soffre per problemi propri e per altri condivisi con l'intera aerea geopolitica. Senza la pretesa di essere esaustivi, va anzitutto menzionata una situazione sanitaria al collasso, per il disinteresse cronico di una classe dirigente al potere da oltre 20 anni, che ha portato - dallo scorso autunno - a quasi dieci mesi di sciopero del personale medico e paramedico, contro il progetto di privatizzazione perseguito dal governo, che lascerebbe circa l'85% dei salvadoregni senza un minimo di assistenza sanitaria. In questo periodo il governo ha varato un "Piano di contingenza" per sostituire gli scioperanti - tra cui i migliori specialisti del paese - con medici licenziati negli anni precedenti per i più diversi motivi (alcol, abusi…) conseguendo così il bel risultato che si può immaginare. Inoltre si calcola che nei primi 6 mesi dell'anno siano morti più di 300 bambini a causa della polmonite, fatto tutt'altro che sorprendente in un paese dove basta passeggiare qualche minuto per rendersi conto, senza bisogno di strumenti particolari, di quale sia il livello d'inquinamento dei centri abitati. Ciò nonostante si continua a disboscare e a permettere l'uso di pesticidi, mentre le statistiche parlano di 400 mila persone contaminate ogni anno in tutto il Centro America, con una media di 60/70 mila per ogni singolo paese. Ma ai ricchi, che possono permettersi l'aria condizionata in casa, sull'auto, negli uffici e nei più esclusivi grandi magazzini, questo evidentemente non interessa. Si aggiunga l'universale problema dei paesi del sud del mondo, il cosiddetto "Debito estero", che obbliga il Salvador a destinare il 70% dei propri fondi al pagamento degli interessi annui, con relativi tagli alle spese sociali. Ciò non fa che peggiorare progressivamente le condizioni di vita in patria (per circa 6 milioni di persone) e spingono quanti possono ad incrementare le fila dei migranti. Si calcola (sulla base delle rimesse familiari, perché non esiste altra contabilità) che almeno 2 milioni di salvadoregni lavorino all'estero - Nord America ed Europa - e siano loro ad inviare l'88% di fondi che entrano nel paese: pari a quanto lo Stato spende per importare generi alimentari e altri di prima necessità. Nel 1999, su 502 mila micro-imprese, il 90% degli occupati percepiva meno del salario minimo (valutato in 140$ mensili per le città e 100$ per le zone rurali) e di questi l'80% erano donne. Chi non fugge si vede perciò spesso costretto ad accettare il lavoro nelle maquillas, le fabbriche di assemblaggio a capitale straniero (cfr. l'articolo di Emma Nuri Pavoni su questo stesso numero di Viator) o a buttarsi nell'economia "informale", meglio conosciuta come "lavoro nero". A questo si dedicano circa un milione di donne, che prendono denaro in prestito al mattino - per comprare mercanzie da rivendere al mercato - e lo restituiscono la sera, pagando un interesse del 24/27%, facendo così la fortuna delle banche e garantendo la sopravvivenza del paese. La situazione dei contadini è infine disperata. Il crollo del prezzo del caffè in tutta l'America Latina, dovuto alla "politica asiatica" delle grandi multinazionali ha gettato sul lastrico migliaia di braccianti. Un amico mi diceva: "tranne che per la militarizzazione allora imperante, la situazione oggi è peggiore di quella dei tempi di Mons. Romero. Perché vent'anni fa ai contadini non mancava un po' di insalata, dei pomodori, magari qualche pollo …. Oggi molti mangiano solo mais e fagioli, perché non hanno nemmeno i soldi per le sementi…". Per quanto riguarda queste ultime va infatti registrato l'ingresso nel paese di sementi OGM mischiate a quelle tradizionali, per cui spesso chi può ancora coltivare non sa in realtà cosa stia seminando e fra qualche anno - quando il processo sarà ormai irreversibile - dovrà pagare i diritti intellettuali (i brevetti) alle rispettive multinazionali, se vorrà continuare a seminare per vivere. Così sempre più la resistenza sta passando attraverso il contrabbando delle sementi native: a tanto siamo arrivati! E profilandosi all'orizzonte la firma di alcuni accordi politici ed economici, quali il Trattato di Libero Commercio (TLC) e l'ALCA, che prevedono l'abbattimento di ogni dazio doganale e l'imposizione generalizzata dei diritti intellettuali, il lavoro dei contadini salvadoregni sarà sempre più fuori dal mercato. Già oggi il costo di produzione di un sacco di mais, nel Salvador, è di 34$, mentre il prezzo di mercato non va oltre i 12$, perché i contadini USA ricevono 52 centesimi di integrazione per ogni dollaro speso e non pagano il dazio di esportazione. Il contadino salvadoregno, dunque, già non esiste: questo appunto significa "esuberi", nella nota definizione neoliberale. E' in questo contesto che la Dr.ssa De Carrillo è chiamata a difendere i Diritti Umani, non per puro idealismo o per il sentimento romantico che animava Don Chisciotte, ma sostenuta dall'eredità di grandi martiri come Romero, Ellacuria e gli altri gesuiti e soprattutto spinta dalla coscienza che su di lei gravano le speranze dei poveri - che sono la stragrande maggioranza - di un intero paese. E per questo le abbiamo promesso il nostro appoggio, facendoci cassa di risonanza delle sue lotte in Italia e in Europa: noi, come movimento ecclesiale; Mauro Bulgarelli, il deputato che ci ha accompagnato in questo viaggio, come politico e parlamentare italiano; i giornalisti e tutti gli amici di Viator: ciascuno secondo le proprie possibilità… Per questo abbiamo anche deciso di parlarne, subito… non soltanto per stima o simpatia, e tanto meno per farne un mito, ma perché siamo convinti che aiutare lei sia oggi il modo più concreto di aiutare un popolo che amiamo. Queste righe diventano così un appello che vogliamo rivolgere alle autorità politiche salvadoregne, perché facciano finalmente tesoro delle osservazioni dell'Alto Commissariato dell'ONU, coscienti come siamo che il presente articolo non sfuggirà alla Loro gentile attenzione. E vuol essere anche un invito rivolto alle istituzioni italiane ed in particolare al nostro governo: ben ricordiamo infatti come il premier italiano invitò, in qualità di "amico", il presidente del Salvador, Francisco Flores, al G8 di Genova, nel luglio 2001. Vorremmo qui sottolineare che, se i due presidenti si ritengono davvero amici, la cosa ci fa piacere, ma molto di più lo sono il popolo italiano e quello salvadoregno; e che soprattutto essere amico di qualcuno non può significare semplicemente il fatto di invitarlo a "sfilare" tra i potenti della terra. Vera amicizia è piuttosto aiutarsi a "camminare" sulla via della Pace che passa necessariamente per i sentieri del rispetto dei Diritti Umani. Per questo, anche dal nostro paese, ci aspettiamo gesti concreti: e non solamente noi, ma tutti coloro che, in ogni angolo del mondo, in occasione di ogni summit, ascoltano parole solenni, ma poi non cambia niente. Ricordate le promesse sui farmaci, a Genova?… La gente non dimentica, anzi capisce. Da parte mia, mai dimenticherò la confidenza di una donna, già avanti negli anni, che vive in una repoblación (un villaggio ripopolato al termine della guerra), rientrata da un campo profughi dell'Honduras con quattro figli per mano e la più piccola al collo. Mi diceva: "vedi padre, per i ricchi di questo paese noi poveri siamo basura (spazzatura). Nonostante tutto però, Dio non ci ha mai abbandonato: prima c'era Mons. Romero… ora Monseñor continua a parlare, in più c'è la Procuratrice…". Non so quali meriti nazionali potremmo vantare, ma quest'estate in Salvador mi sono sentito veramente orgoglioso di essere italiano.

Alberto Vitali



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