Le paure di Peter Pan
e quelle dei "Grandi"

 



Il fenomeno non è nuovo, ma negli ultimi tempi è esploso in tutta la sua ampiezza ed aggressività. Non parlo del terrorismo, né di qualsiasi forma di integralismo o fanatismo religioso, che nell'immaginario collettivo occidentale sono appannaggio del mondo islamico; non parlo nemmeno della corsa agli armamenti, nella quale invece si misurano da decenni le auto-definitesi "grandi democrazie" occidentali: mi riferisco invece al cosiddetto "pensiero unico" e alla tolleranza zero che pone in atto nei confronti di qualsiasi forma di pensiero alternativo. Se infatti è cresciuto nel tempo, di pari passo con il sistema economico neoliberale di cui è allo stesso tempo espressione e condizione di sussistenza, dal vertice di Seattle del '99, ed in particolare dall'estate scorsa, con i fatti di Genova e l'attacco alle Twin Towers e al Pentagono, il pensiero unico è esploso in tutta la sua potenzialità aggressiva e totalizzante. Totalizzante, perché i mezzi di comunicazione sono quasi completamente di proprietà - e quindi sotto lo stretto controllo - dei grandi gruppi di potere; ed aggressiva, perché assistiamo sempre più impotenti ad una vera e propria campagna di mistificazione della realtà, a tutti i livelli, e alla criminalizzazione crescente di coloro che non si assoggettano al pensiero "ufficiale". A chi infatti tra noi che rifiutano la guerra come mezzo etico ed efficace per risolvere i conflitti, non è successo, dopo l'undici settembre, di sentirsi apostrofare come "filo-terrorista", "ingrato" o nella migliore delle ipotesi "irrealista"? Così i media, ridotti ad altoparlanti delle classi di potere, economiche e politiche, non solo spesso non si sforzano di offrire un'informazione il più possibile oggettiva e accompagnata da "ipotesi" interpretative, ma, non di rado, notizie ed interpretazioni tendono ad identificarsi e a correlarsi alla velata (ma neanche troppo) demonizzazione di chi osa dissentire. Del resto, si sa, i dissidenti sono sempre esempi di libertà intellettuale, coraggio della verità e quant'altro… finché restano in casa altrui! Ma perché tutto questo dovrebbe interessarci al punto di parlarne su un bollettino che si interessa ai problemi del "sud del mondo"? Perché oggi l'economia ne uccide più della guerra! Nessuno dei conflitti in corso ammazza infatti 24.000 persone al giorno, quante invece ne uccide la fame, logica e calcolata conseguenza dell'attuale distribuzione delle risorse del pianeta. Siamo anzi al paradosso che la guerra viene ormai concepita dalle attuali potenze quale rimedio necessario contro la recessione economica. Infatti a causa della natura stessa della finanza, che ha sostituito per i 3/4 l'economia. l'intreccio dei pacchetti azionari, su cui si fonda l'attuale concetto di proprietà, fa si che si renda necessario svuotare gli arsenali bellici ad intervalli regolari, per evitare di innescare un pericoloso "effetto domino", che precipiterebbe nella crisi non solo le fabbriche di armi, ma tutte le consociate e le ditte che costituiscono l'indotto, in una escalation che porterebbe alla bancarotta gli stati stessi. Argentina docet, ma anche gli USA ne hanno avuto un assaggio nel decennio successivo alla fine della guerra in Vietnam. Come a dire: se vuoi mangiare combatti! Poiché però un certo livello di civilizzazione lo abbiamo davvero raggiunto, oggigiorno non sarebbe più possibile per nessun governo ammettere di fronte ai propri cittadini l'utilizzo della guerra per questa finalità, né tanto meno, in regime di democrazia, avventurarsi in una simile "avventura senza ritorno" (Giovanni Paolo II) senza un forte consenso popolare. Ecco allora che il controllo dell'opinione pubblica, finalizzato all'acquisizione di tale consenso, diventa fondamentale e funzionale, in ultima istanza, alla prosperità finanziaria delle nazioni dominanti o almeno delle loro classi dirigenti. Se dunque vogliamo metterci seriamente ed efficacemente dalla parte degli oppressi dobbiamo anzitutto porci il problema della comunicazione nella verità e parimenti quello della sua ricezione. E qui si apre una riflessione, se possibile, ancora più dolorosa. Perché che i ricchi ed i potenti siano interessati a mistificare una realtà fatta di soprusi e crimini contro l'umanità, finalizzati ai propri interessi, è del tutto plausibile. E se non hanno rispetto della vita, figuriamoci della verità! Meno comprensibile risulta il motivo per cui la gente comune, le persone oneste e semplici, coloro che non vivono di sotterfugi particolari, abbocchino con tanta facilità e sembrino sempre più fiduciosi nei confronti di coloro dai quali si dovrebbero invece guardare. Credo che il motivo vada ricercato nella lezione preziosa che questi ultimi hanno imparato: non c'è modo migliore per farsi credere, che dire ciò che la gente vuole sentirsi dire! E la gente oggi vuole essere rassicurata, non solo, ma dopo anni di incomprensibile "politichese" vuole ascoltare discorsi semplici, immediati, al limite anche banali… Per questo la cosa più semplice è raccontare la realtà in forma di fiaba: sulla scena del mondo c'è un cattivo (il lupo), che di volta in volta sarà Saddam Hussein, Milosevic, Bin Laden… e ci sono i buoni (manco a dirlo i nostri). Cosa devono fare i buoni? Come in tutte le favole devono combattere e uccidere il lupo, così poi vivremo tutti felici e contenti, per lunghissimi anni. Naturalmente, come bravi bambini prima di andare a dormire - ma questo sarà il sonno della ragione e della coscienza - assistiamo da semplici spettatori: se deleghiamo i "buoni" a combattere per noi, non correremo rischi, neanche quello che il lupo esca dalla fiaba. E qui la questione si complica per chi vorrebbe invece svegliare i "belli addormentati", riportarli a ragione, obbligarli a prendere coscienza del tasso, in vite umane, che costano i nostri sonni non proprio "innocenti". Si complica perché bisogna dire alla gente quello che non vuole sentirsi dire: che la realtà è di sua natura complessa. Che anche i cattivi hanno le loro ragioni, che li fanno essere un po' meno mostruosi, e che i buoni non sono poi così tanto buoni. Che il nostro "sogno occidentale" è un incubo pagato sangue, dai tre quarti dell'umanità e che non si può concedere deleghe in bianco a nessuno senza rendersi loro complici. E allora scatta la reazione, il rifiuto… noi dei soliti male-intenzionati, ma anche da parte di moltissime persone sincere. Per questo dobbiamo porci seriamente il problema della comunicazione, ma per questo, anche, ci sono ancora speranze. Dobbiamo però avere il coraggio di ricollocarci nel mezzo e giocarci in prima persona, superando la tentazione di quei circoli elitari che si sognano addosso e si immaginano la società a propria immagine e somiglianza. Per questo non possiamo non chiederci: cosa sta succedendo? Perché questa sorta di abdicazione di fronte alla fatica di pensare? Perché questo coprirsi gli occhi e continuo buttarsi "sull'uomo della provvidenza" di turno? Psicologi e sociologi, a proposito dei giovani di oggi che non vogliono uscire dallo stato della loro beata adolescenza fin dopo i trent'anni, parlano del "complesso di Peter Pan", della paura di crescere che porta a prolungare esageratamente una situazione infantile, restando nell'alveo della protezione famigliare. Qualcosa di simile mi sembra stia succedendo a livello sociale: una sorta di paura generalizzata nei confronti della realtà e dell'assunzione dei propri compiti che porta alla paralisi e ad un'autoaffidamento totale, in mano altrui, con una fiducia ingiustificata e pericolosa. Del resto, una società non può crescere quando sono venuti meno quasi tutti i luoghi di maturazione collettiva, di confronto, di scambio, spazzati via da una logica di "atomizzazione" del tessuto sociale, perseguita con un certo modo di fare televisione e - perché no? - di proporre lo sport. "Panem et circenses" è l'antico adagio romano perfettamente recepito da tutti i sistemi totalitari... Peter Pan non è però il solo ad avere paura. Molti osservatori politici ed analisi concordano nel registrare una certa "paura" anche nei cosiddetti "grandi", da Seattle in poi; e se una prova ci serviva l'abbiamo avuta nella violenza rabbiosa dimostrata a Genova dalle forze dell'ordine… La paura che siano in troppi a svegliarsi, a non voler credere più alle fiabe, a non accettare un "paradiso occidentale" pagato dagli innocenti. Questo fa loro paura, perché non hanno strumenti per contrastare la forza della coscienza - parola completamente assente nel vocabolario liberista - e del pensiero genuino dei popoli. "Morale e lecito è tutto ciò che garantisce i miei interessi nel mondo", questo gli USA proclamano ormai pubblicamente, ma sono in tanti a pensarlo; e se qualcuno inizia a rinunciare a propri interessi in nome dei diritti, della vita e della dignità altrui, allora non sanno più che pesce pigliare e il panico è totale. Certo quelle centinaia di migliaia di persone che vanno risvegliandosi in tutto il mondo ne hanno di strada da fare. Porto Alegre è solo una tappa di un cammino che si annuncia lungo e faticoso; speriamo sia anche pluralista e davvero alternativo. Ma intanto Peter Pan ha iniziato a camminare, se non proprio volare. E' urgente e necessario perciò avere il coraggio di guardarci dentro, di tornare a ragionare sulle idee e non sulle etichette; di superare antiche diffidenze e pregiudizi per creare spazi di confronto e dialogo, senza cedere alle prime delusioni, senza perdere la speranza che un "mondo diverso è davvero possibile". Da cristiani soprattutto… perché abbiamo non solo la possibilità ma anche il dovere di farlo: se Dio ha sognato un mondo diverso - ed è del tutto evidente - allora è possibile e doveroso.

Alberto Vitali



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