"Dacci
oggi il nostro pane quotidiano": così Gesù
ci ha insegnato a pregare, ma
ha ancora senso recitare,
oggi, questa preghiera? Ed è giusto ringraziare il buon
Dio ogni qualvolta ci mettiamo a tavola, se di fronte a noi -
che mangiamo - ci sono 815 milioni di persone che hanno fame?
Non sarebbe una mancanza di rispetto nei loro confronti e, in
definitiva, una blasfema insinuazione contro Dio?
In altre
parole: perché il Padre "nostro" dovrebbe provvedere
per noi e non per tutti? Forse anche Lui fa delle differenze?
Non sono semplici provocazioni e faremmo bene a chiedere al nostro
"senso religioso" di non evaderle velocemente con qualche
pia argomentazione. Nell'ultimo "rapporto annuale sull'alimentazione"
della FAO (ottobre 2001) è infatti esplicitato che quotidianamente
24.000 persone muoiono di fame e tra loro almeno 18.000 sono bambini
al di sotto dei cinque anni. Per quanto sconcertante, è
perciò del tutto evidente che, sebbene non possiamo dubitare
della bontà di Dio, le vie della provvidenza incontrano
ogni giorno ostacoli tanto insormontabili che impediscono a Lui
di assolvere al proprio dovere di Padre e condannano migliaia
di figli a morire di fame. Questa tragedia, che da un punto di
vista storico rappresenta un'indubbia emergenza umanitaria, in
termini cristiani costituisce invece una vera e propria "emergenza
teologica", che pregiudica il nostro rapporto con Dio e la
possibilità di poterlo sinceramente invocare con le "stesse
parole di Gesù" (ipsissima verba Jesu), senza prenderci
gioco di Lui. Così, oggi più che mai, alla coscienza
credente si impone l'improrogabile duplice compito di rileggere
con spirito sincero ed obbediente le sacre Scritture, per riscoprire
il progetto originale di Dio sul creato e la storia degli uomini,
ed indagare i meccanismi economici e sociali del nostro tempo,
per cogliere dove e come il piano di Dio e quello del mondo si
siano così drammaticamente divaricati e contrapposti. Non
è un operazione difficile: sfogliando le pagine del testo
sacro ci imbattiamo immediatamente in ciò che cerchiamo.
"Poi Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce
seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è
il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le
bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli
esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di
vita, io do in cibo ogni erba verde" (Genesi 1, 29). Appena
compiuta la creazione Dio si preoccupa della sussistenza di tutti
gli esseri: i frutti di "tutta" la terra sono destinati
al fabbisogno di ciascuno. Il giardino dell'Eden, nel linguaggio
parabolico del racconto, rappresenta il disegno divino di una
comunione universale, comunione fisica e spirituale, dalla quale
nemmeno le bestie selvatiche restano escluse, mentre l'uomo è
posto quale custode di tutto: colui che è chiamato a completare,
con il proprio lavoro, l'opera di Dio. Così egli non solo
provvederà al mantenimento del creato, ma realizzerà
pienamente se stesso a "immagine e somiglianza" del
Creatore. Il suo lavoro, di conseguenza, viene investito di grande
significato e dignità.
La storia, lo sappiamo, andrà diversamente e Dio dovrà
più volte intervenire per "ri-ordinare" la giustizia
e salvare i figli allo stremo. In Egitto, quando le condizioni
lavorative giunsero ad abbruttire anziché divinizzare l'uomo,
Iddio inviò Mosé e pronunciò una condanna
così perentoria contro quel sistema economico, sociale
e politico che avrebbe costituito un ammonimento imprescindibile
anche per tutte le società del futuro (Es 3). Più
tardi, nel deserto, la manna mandata per tutti, fu concessa secondo
un rigido criterio di equità: a chi ne avrebbe raccolto
più del necessario sarebbe marcita tra le mani. (Es 16).
E quando Israele, dimentico di tanti benefici e dell'osservanza
dei comandamenti divini, praticò a sua volta, nella "terra
promessa" ormai ottenuta, la schiavitù e l'oppressione,
procurando nuova fame ai poveri, dovette subire le minacce dei
profeti, l'abbandono di Dio e l'esilio a Babilonia. Non solo Dio
rifiutava ormai i sacrifici offerti nei santuari più importanti
del paese, ma li riteneva un'offesa alla propria santità,
perché presentati da gente arricchita sulla pelle degli
altri: "Ascoltate queste parole, o vacche di Basàn,
che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate
i poveri
Andate pure a Betel e peccate! A Gàlgala
e peccate ancora di più! Offrite ogni mattina i vostri
sacrifici e ogni tre giorni le vostre decime. Offrite anche sacrifici
di grazie con lievito e proclamate ad alta voce le offerte spontanee
perché così vi piace di fare, o Israeliti, dice
il Signore
Perciò ti tratterò così,
Israele! Poiché questo devo fare di te, preparati all'incontro
con il tuo Dio, o Israele!" (Amos 4,1.4-5.12). E ancora:
""Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?"
dice il Signore. "Sono sazio degli olocausti di montoni e
del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede
da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare
offerte inutili, l'incenso è un abominio per me; noviluni,
sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un
peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io
allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere,
io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi,
togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate
di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete
la causa della vedova"" (Isaia 1,11-17). Già
i profeti d'Israele avevano riconosciuto nell'esilio una punizione
divina per le ingiustizie perpetrate dai potenti contro i poveri
del popolo
per il pane rubato e non spezzato! Ma sarà
nella pienezza dei tempi, nella persona di Gesù, che il
progetto divino della comunione tra gli uomini verrà definitivamente
rivelato. Molte volte e in diversi modi Gesù lo ha presentato,
da Cana all'Ultima Cena, passando per il miracolo della moltiplicazione
dei pani. Proprio in questo racconto è interessante osservare
un piccolo particolare che solitamente sfugge per l'abbaglio del
grande miracolo, ma viene comunque riferito - certamente non a
caso - dall'evangelista Marco: "Allora ordinò loro
di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull'erba verde"
(Mc 6,39). Nonostante fosse ormai tardi e si trovassero in un
luogo isolato (gli apostoli perciò Gli avevano suggerito
di congedare la folla, perché potesse tornare alle proprie
case) Gesù ordina di farli sedere, per gruppi. Non si accontenta
di sfamarli, vuole che mangino "insieme", perché
"convivare" è più che "cibarsi".
E' certamente difficile per noi - uomini dell'"età
del fast food" - coglierne la sfumatura, al punto che il
termine, ormai arcaico, è scomparso dal linguaggio corrente.
E nell'epoca delle "porzioni" preconfezionate, sigillate
e bilanciate è quanto mai arduo concepire come il pane
abbia anche una valenza relazionale e spirituale oltre che biologica.
A Dio però non basta che i propri figli si sfamino (sarebbe
già qualcosa
e neanche questo Gli è concesso!):
vuole con ostinazione che imparino a mangiare insieme! Il pane
mangiato "da appartati", quasi nascosti, è un
pane rubato. Il pane che quotidianamente invochiamo da Dio va
mangiato insieme. Perciò Egli non è imputabile di
preferenze: perché, a queste condizioni, neanche il cibo
che noi mangiamo viene più direttamente da Lui, ma piuttosto
dai meccanismi perversi e diseguali della distribuzione internazionale!
Potremmo quindi risparmiarci la preghiera e tutte le questioni
connesse, ma il problema così eluso, quotidianamente, si
ripresenterebbe puntuale per noi cristiani alla domenica, perché
il pane che consacriamo e spezziamo nell'Eucaristia ci "rinfaccerebbe"
comunque quello che privatamente mangiamo ogni giorno. Sul pane
eucaristico, infatti, il sacerdote pronuncia le parole con cui
l'intera assemblea riconosce e professa la sua provenienza: "frutto
della terra e del lavoro dell'uomo"
e allora tutto
viene ricondotto all'origine. Un pane che è "frutto
della terra" è necessariamente "per tutti"
e poco importa se non siamo personalmente responsabili di quel
sistema che lo nega a milioni di fratelli: ci obbliga ad assumere
una personale, indelegabile, posizione di fronte ad esso
memori delle parole di Gesù "siete nel mondo, ma non
del mondo" o, come traduceva padre Turoldo, "siete nel
sistema, ma non del sistema" (cfr. Gv 15). Un pane che però
è anche "frutto del lavoro dell'uomo" ci rimanda,
allo stesso tempo, a quell'altro aspetto costitutivo dell'identità
dell'uomo, insito nella volontà creatrice di Dio: il lavoro
quale compito - e perciò diritto - che realizza pienamente
l'individuo, portando a compimento in lui la propria immagine
divina. Tale lavoro non può essere schiavizzante, perché
renderebbe la persona più simile alle bestie che al Creatore
- il che avviene comunemente in tutti i paesi del sud del mondo,
per milioni di uomini, donne e bambini - ma deve armonizzarsi
con i tempi e le esigenze dei singoli e delle famiglie, deve garantire
sicurezza e riposo, tempo per il divino e la creatività
garanzie queste che quotidianamente si stanno perdendo anche nei
nostri paesi! E' questa la denuncia, accompagnata da un caloroso
appello, lanciata dall'Arcivescovo di Milano nell'omelia per la
Veglia diocesana dei lavoratori, la sera del 30 aprile 2002. A
loro il Card. Martini ha ricordato "prima di tutto, l'importanza
di leggere la Scrittura e di nutrirvi di essa" perché
"rileggere la Scrittura ci porta a scoprire il significato
dell'essere discepolo del vangelo anche nel mondo del lavoro".
Inoltre: "La Scrittura vi ricorda che il vostro lavoro è
stato benedetto dal Signore all'inizio della creazione ma che
diventa più gravoso quando si creano situazioni di solitudine,
angoscia, schiavitù, irresponsabilità, sfruttamento.
Essa ci rammenta che i grandi doni del mondo, la terra, gli animali,
le piante, la vita, l'energia, i minerali sono offerti a tutti
per essere sviluppati e utilizzati come bene e garanzia per tutti.
Ci ricorda la responsabilità di "custodire" il
creato difendendolo dalla rapina, dall'inquinamento, dalla desertificazione
e nello stesso tempo salvandolo da quella limitatezza di uso che
nasce dalla ingordigia del nostro occidente ricco. Mentre noi,
il 20% della popolazione del mondo, costruiamo una società
del benessere, gli altri popoli del mondo restano nella ristrettezza,
nella fame, nell'ignoranza e nella povertà". Ha poi
analizzato, attraverso la scansione del verbo "sento"
- che sottolinea la valenza esperienziale, non ideologica, del
suo discorso - la situazione di molti lavoratori, lavoratrici
e delle loro famiglie, al giorno d'oggi: "Se ne deduce che
oggi il lavoro richiede persone intelligenti, intuitive, adattabili,
sempre giovani e scattanti, sempre aggiornate e vivaci. Ma qui
appare anche il rovescio della medaglia. Non è sempre possibile
reggere alle esigenze continuamente nuove, mantenersi perennemente
giovani e tenere il passo: non di rado mancano le forze, il tempo,
l'intelligenza e le competenze sufficienti. Vengono così
ad essere penalizzate le esigenze di sicurezza e serenità
Nel frattempo si registra la difficoltà ad entrare nel
mondo del lavoro per alcune categorie di persone (gli ultra-quarantenni,
le donne, le persone meno qualificate), e nello stesso tempo si
assiste all'aumento degli straordinari. Sono messi in forse i
giorni festivi, e ancor più i rapporti familiari e la propria
autonomia. Spesso si richiede una dedizione così totale
e monopolizzante al lavoro che lo si potrebbe catalogare sotto
l'elenco delle idolatrie deprecate dalla Scrittura
Sento
parlare di ritmi e turni di lavoro faticosi e stressanti, di famiglie
che devono sostenere avvicendamenti di lavoro nella coppia per
cui, a volte, non riescono neppure a vedersi per alcuni giorni,
di precarietà di lavori a tempo determinato che coprono
le esigenze dell'oggi ma lasciano sempre l'affanno del domani.
Sento, ormai, che non ci sono tutele per i lavori della maggior
parte delle nuove persone assunte le cui prospettive non si presentano
serene, soprattutto per gli ultra trentenni che vogliono finalmente
impostare una famiglia, Sento che i costi oggi sono talmente alti
in termini monetari per la casa, gli spostamenti, i trasporti,
in termini di stabilità abitativa per la delocalizzazione
delle imprese, in termini affettivi per prolungate lontananze
degli sposi, in termini educativi per la fatica di seguire personalmente
i figli (e fortunati quelli che hanno i nonni a disposizione)
per cui, bisogna riconoscere, ci vogliono molto coraggio e molta
solidità morale per continuare nella fedeltà e nell'amore
familiare
Già nella Giornata della Solidarietà
abbiamo parlato di questi temi, preoccupati di una situazione
che conduce a modelli di società che non ci convincono,
per il liberismo che aumenta la povertà e marginalizza
le persone meno capaci di reggere le esigenze del mercato".
Ha quindi concluso invitando ad una solidarietà creativa:
" Vi chiedo una forte presenza di coesione di fronte alle
difficoltà
Siate capaci di vedere la sofferenza e
abbiate il coraggio di intravedere le soluzioni poiché
non serve tanto lamentarsi ma serve unire insieme capacità
e sensibilità e costruire, con le altre forze sociali e
istituzionali, una realtà più umana
Allora
compirete non solo un lavoro a misura umana, ma raggiungerete
una pienezza di vita". Non stupisce perciò che l'Arcivescovo
sia stato duramente attaccato da quei settori della politica nazionale
e dell'amministrazione locale che hanno fatto del liberismo il
proprio vessillo e considerano questi "dettagli sociali"
il prezzo da pagare. Addolora semmai che alcuni di loro si professino
cristiani
Nulla di nuovo però: è storia antica!
Già l'impero romano aveva reagito così al primo
annuncio del Vangelo; e non perché i cristiani credessero
in un Dio diverso: nel pantheon romano ogni tanto veniva aggiunta
qualche nuova divinità
ma perché quel principio
irrinunciabile del cristianesimo per cui tutti gli uomini sono
uguali, dotati della medesima dignità e di pari diritti,
scardinava l'impostazione sociale e gerarchica - dai ricchi agli
schiavi - su cui si fondava il sistema imperiale. Oggi ci troviamo
in una situazione analoga, ma - per fortuna del Cardinale e di
altri come lui - l'arena è diventata mediatica e solo talvolta
giornali e televisione riescono a sbranare come le belve
In tali contrapposizioni, latrocini e assunzioni di responsabilità,
il dubbio iniziale mi sembra però risolto. Non solo quando
ci sediamo a tavola, ma ogni qualvolta mangiamo un boccone dovremmo
ripetere le parole di Gesù, consapevoli delle responsabilità
che così ci assumiamo ed anche - continuando la stessa
preghiera: "rimetti a noi i nostri debiti" - dell'unico
debito che non ci verrà rimesso: quello di restituire il
pane di cui ci siamo indebitamente appropriati.
Alberto
Vitali
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