E'
con pudore e quasi imbarazzo che inizio questa riflessione, mentre
le bombe cadono sull'Iraq e squartano i suoi abitanti… Ormai vorremmo
soltanto tacere e pregare, con la tentazione inconfessata di scappare.
Ma è proprio la preghiera a ributtarci nella storia, obbligandoci
ad assumerla, e a fare nostra la prospettiva delle vittime, quale
orizzonte etico per giudicarla. E' dunque un compito urgente,
perché "dopo", quando la tempesta sarà finalmente passata, rischieremo
di perderci nuovamente nei nostri astrattismi, camuffati di razionalità;
di indulgere alle buone maniere, perfino alla condiscendenza…
meno pressati, come saremo, dall'angoscia di apprendere, ad ogni
istante, che qualche gruppo di bambini e donne è stato dilaniato
al mercato, sulla porta di casa o perfino dentro un ospedale.
Dopo, potrebbe essere troppo tardi… E' dunque "questo" il tempo
per avviare una seria riflessione "intra-ecclesiale" - che certo
non disconosce la necessità di svilupparla anche a livello sociale
e politico - su cosa significhi essere pacifisti oggi; se sia
possibile esserlo da cristiani, da cattolici; se addirittura non
sia doveroso esserlo; e se sia necessario esserlo da soli o si
possano condividere tratti di cammino con altri "uomini e donne
di buona volontà", che si riconoscono in diverse tradizioni religiose
o appartenenze sociali e politiche. Soprattutto, dovremmo chiederci
fino a che punto sia lecito "giocare con le parole", in determinati
momenti storici. La necessità di tale riflessione e confronto
risulta ancora più urgente se consideriamo la molteplicità di
giudizi - non di rado contraddittori - che sono emersi, in queste
settimane, all'interno della Chiesa. Anzitutto la ferma presa
di posizione del papa, che non si è mai risparmiato nell'esprimere
la propria totale e risoluta condanna contro la guerra; senza
limitarsi ad una condanna morale, ma impegnando a fondo la diplomazia
vaticana. Rivolgendosi poi ai cappellani militari, lo scorso 25
marzo, ha anche espresso un giudizio inequivocabile sul movimento
a favore della pace: "Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che
la guerra come strumento di risoluzione delle contese tra gli
stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla carta delle Nazioni
Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità, fatta salva
la liceità della difesa contro un aggressore. Il vasto movimento
contemporaneo a favore della pace traduce questa convinzione".
Di carattere diverso risultano invece gli interventi di altri
prelati che, trincerandosi dietro generiche esortazioni, hanno
lasciato piuttosto trasparire la preoccupazione di misurare i
toni e le sfumature; nonché l'intento di esortare i cattolici
a non "mischiarsi" con la piazza pacifista, paventando il pericolo
di non meglio precisate "derive ideologiche". Ancora maggiore
è apparsa la distanza tra la fermezza del giornale ufficiale della
S. Sede ed il principale quotidiano cattolico italiano, che spesso
non s'è mostrato all'altezza di essere una degna eco delle parole
del papa; tradendo piuttosto un certo imbarazzo e comunque sempre
attento ad inserirle in un contesto che ne riassorbisse i toni.
E a farci maggiormente soffrire è stato, certamente, il fatto
che insistenti riferimenti ad un "ingenuo e/o scorretto pacifismo"
siano venuti anche da persone che godono della nostra stima e
fiducia; persino all'interno di riflessioni o discorsi che andavano
in tutt'altra direzione: quasi una sorta di corpo estraneo, obbligato,
che proprio non poteva mancare. Ben inteso, non intendo lamentare
indiscriminatamente ogni invito ad un attento e prudente discernimento,
doveroso più che lecito, ma una eccessiva - e perciò sospetta
- insistenza, giocata sui toni del detto/non detto, del non dichiarato
ma fatto intuire, che lasciano trasparire qualche cosa di più…
finanche un vero e proprio giudizio. E allora è più che mai doveroso
fare memoria del monito di Gesù: "Sia invece il vostro parlare
sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5,37). Diciamoci
cioè, in maniera chiara e una volta per tutte, quali siano le
reali preoccupazioni che si celano dietro le tanto paventate "derive
ideologiche". A giudicare dall'uso corrente del termine "ideologia",
si dovrebbe pensare che la paura possa essere quella che i cattolici
in piazza si lascino contaminare da qualche sopravvissuto aspetto
dell'ideologia comunista; soprattutto ricordando le origini di
un certo pacifismo che affonda le proprie radici in diversi congressi
dell'internazionale socialista e nelle riflessioni teoriche di
autorevoli esponenti del marxismo del XIX secolo. La preoccupazione
mi sembrerebbe però alquanto anacronistica. Al contrario il materialismo
e l'edonismo, con la loro possibile e reale deriva ateistica -
preoccupazione non solo lecita, ma opportuna - vengono piuttosto
propinati dall'ideologia neoliberale, che però è su posizioni
belliciste. A preoccuparmi, da prete, è semmai un altro aspetto:
se davvero si ritiene che i cattolici potrebbero svendere così
in fretta i propri principi etici o perdere altrettanto velocemente
la propria identità, allora questo sì, sarebbe un sintomo allarmante
di una fragilità spaventosa, ma il problema assumerebbe dimensioni
superiori e diverse da quelle in questione. Sarebbe comunque perfettamente
inutile - oltre che privo di senso - rinchiudere i cattolici nelle
sacrestie, per tentare di salvare il salvabile... A ridarci fiato
è l'aspetto più costruttivo della questione, espresso da alcuni
autorevoli esponenti della gerarchia cattolica, che hanno saputo
indicare alcuni punti concreti su cui elaborare strategie ecclesiali
di Pace. Così l'Arcivescovo Martino, presidente della Pontificia
Commissione Justicia et Pax, al convegno promosso dalla Diocesi
di Milano sulla Pacem in terris, dopo aver sottolineato che la
Chiesa è pacificatrice, non pacifista, è però entrato nel vivo
della questione: la chiesa - come espresso da Giovanni XXIII e
ribadito da Giovanni Paolo II - rifiuta la guerra come strumento
per dirimere le contese fra gli stati. Rifiuta l'idea stessa di
guerra preventiva, che in nessun modo rientra nella tipologia
delle guerre di difesa. Invoca il disarmo integrale (delle armi
e degli spiriti), il compimento del trattato di non proliferazione;
mentre alla logica della deterrenza - in passato - ha riconosciuto
valore solo per un periodo molto limitato nel tempo, rifiutandola
come condizione permanente… Purtroppo però non tutti la pensino
come lui o come il Card. Tettamanzi, che a sua volta ha espresso
un "no" categorico all'accettazione della guerra: "Esprimiamo,
dunque, un "sì" convinto alla pace e a tutto ciò che è necessario
perché si realizzi e, insieme, un "no" deciso a quanto la turba
o la distrugge", invitando poi a educare la propria coscienza,
conoscendo e approfondendo la dottrina sociale della Chiesa sulla
pace e sulla guerra…Tutto ciò non può che trovarci in perfetta
sintonia, dal momento che il nostro è un "pacifismo" critico,
fondato sulla fede e la giustizia del Regno di Dio; che giudica
da questa prospettiva le guerre attuali, e identifica le loro
cause negli squilibri economici da cui oggi è flagellata l'umanità;
squilibri che vengono esasperati dall'attuale sistema economico.
In questo sì, siamo guidati dalla dottrina sociale della Chiesa
(Populorum progressio, Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis,
Centesimus Annus, Evangelium Vitae… oltre a tutti i discorsi pronunciati
dal papa nell'anno del Giubileo) e perciò il nostro giudizio sfocia
inevitabilmente in quella condanna totale e inappellabile dell'uso
della guerra, già sopra menzionata (cfr. Pacem in terris, 67).
Il problema non è quindi di dottrina o di sostanza. Ma di cosa
allora? Non potrà nemmeno limitarsi ad una questione di simpatie
o interessi politici, troppo indegna - quando il prezzo è sangue
innocente - per essere anche solo presa in considerazione... Del
resto già Giovanni XXIII si era espresso sulla possibilità di
alleanze trasversali quando è in gioco il perseguimento di valori
comuni e superiori, quali la giustizia e la Pace. A questo proposito,
per Raniero La Valle: "La Pacem in Terris ha disegnato lo statuto
dell'incontro, tra le ideologie, le culture, le fedi, e lo ha
propugnato sostenendo che i movimenti storici sono più creativi
e capaci di intese di quanto non lo siano le loro dottrine, e
dicendo che un incontro giudicato ieri non possibile o non fecondo,
lo può essere oggi o lo possa diventare domani". E' perciò urgente,
a mio avviso, affrontare la questione, perché nessuna incomprensione
possa ostacolare quanto i cattolici possono e debbono fare nel
perseguire la pace. Non vogliamo infatti ignorare che il monito
espresso dal Vaticano, a proposito dell'ultimo conflitto, vale
inevitabilmente per tutti. Non solamente quanti si sono assunti
l'orrenda responsabilità di volere ad ogni costo questa guerra,
ma anche noi dovremo rispondere - di ogni parola non espressa,
di ogni gesto incompiuto per titubanza o tornaconto - alla nostra
"coscienza, alla storia e soprattutto a Dio".
Alberto
Vitali
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