Il
pensiero e le emozioni sono ritornate velocemente a quel 26 aprile
1998, quando sotto i colpi dei sicari cadde Mons. Juan Gerardi,
vescovo e grande difensore dei Diritti Umani, direttore del programma
di Recupero della Memoria Storica (REMHI) di 36 anni di guerra
civile guatemalteca e principale artefice del rapporto "Guatemala
nunca mas". Oggi il Guatemala piange un altro sacerdote.
Il padre José Maria Ruiz Furlán, settantaduenne,
comunemente conosciuto come "padre Chemita", è
stato ucciso la notte di domenica 14 dicembre 2003, a colpi d’arma
da fuoco, mentre rincasava nella canonica del "Santo Curato
d’Ars", la parrocchia di una delle zone più popolose
della capitale. Il p. Chemita era persona molto conosciuta - e
"discussa" in certi ambienti - per le forti prese di
posizione a favore della popolazione e contro la corruzione del
sistema politico, nonché per la denuncia costante dell’estrema
povertà in cui versa gran parte del paese, che, regolarmente,
trovavano spazio nel suo programma "In alto i cuori",
trasmesso dalla radio cattolica "Estrella Maris". Molto
legato alle organizzazioni popolari di base e convinto che fosse
ormai tempo di passare dalle semplici denuncie all’assunzione
diretta della responsabilità della cosa pubblica, in mancanza
di altri validi candidati, alcuni anni fa, il p. Chemita si candidò
quale sindaco alle elezioni amministrative di Città del
Guatemala. Non ebbe successo, anzi quale conseguenza della sua
attività politica ricevette la sospensione (a divinis)
dal ministero sacerdotale. In seguito fu reintegrato nel ministero
da un’altra grande figura di difensore dei diritti umani, l’Arcivescovo
Prospero Penados Del Barrios, ideatore del REMHI, colui che volle
incise sulle colonne esterne della cattedrale metropolitana i
nomi di tutte le migliaia di vittime documentate. Il p. Chemita
si era recentemente pronunciato, senza mezze misure, contro l’innalzamento
delle tariffe operato dall’Impresa Elettrica del Guatemala, una
società a capitale spagnolo: "è un furto quello
che ci fa quest’impresa straniera, che ci obbliga a pagare grandi
cifre per l’elettricità e la colpa di tutto questo è
di Alvaro Arzù (presidente dal 1996 al 2000, n.d.r), che
privatizzò l’impresa elettrica ed i telefoni". Un’altra
battaglia recentemente vinta dal sacerdote fu quella per la rimozione
di una postazione della polizia di fronte alla sua chiesa, che
metteva a rischio l’incolumità dei bambini che giocavano
nell’attiguo parco giochi. Ottenne quanto richiesto, ma subito
crebbero le minacce e le intimidazioni, tant’è che appena
due giorni prima del suo assassinio si era recato presso il Ministero
Pubblico a sporgere denuncia, nel vano tentativo di chiedere protezione
per la sua persona. Il suo assassinio ha così riportato
indietro di sei anni le lancette della storia in Guatemala. L’Ufficio
dei Diritti Umani della diocesi di S. Marcos, il cui vescovo Mons.
Alvaro Ramazzini è in prima linea nella promozione sociale
del suo popolo, e per la sua opera di strenuo difensore dei più
poveri è considerato da molti, anche all’estero, l’erede
morale di Mons. Gerardi, così si è pronunciato:
"Ripudiamo energicamente l’assassinio del Padre José
M. Ruiz Furlán, un uomo che, dalla sua fede cristiana,
visse al ritmo dei problemi del paese e prestò un grande
servizio alle persone più bisognose. Perciò la sua
morte non solo colpisce la comunità cattolica, ma tutta
la società guatemalteca. L’assassinio del p. Chemita è
un segno della decomposizione morale esistente nella nostra società.
Il suo sangue, come quello di tanti altri uomini e donne innocenti
che cadono ogni giorno vittime della violenza, esige profondi
cambiamenti nella struttura mentale, sociale, economica e politica
del nostro paese. Esigiamo dalle autorità competenti che
facciano luce sulla morte di questo sacerdote. Desideriamo che
il sacrificio della sua vita acceleri la lotta contro l’impunità
e la sovranità del rispetto dei diritti umani, base fondamentale
per la Pace". Purtroppo, quindi, l’assassinio del p. Chemita
non è da ritenersi un caso isolato: come spesso avviene
(Romero, i gesuiti dell’UCA, Gerardi…), soltanto quando muore
qualche persona significativa, anche solo perché sacerdote,
se ne ha notizia; ma i dati che ci provengono da un’altra agenzia
stimata in tutto il paese, il Gruppo di Appoggio Mutuo (GAM),
fondato dalle madri e dalle mogli di decine di desaparecidos
degli anni ottanta, che una delegazione di Pax Christi Italia
ha visitato nello scorso mese di agosto, sono veramente allarmanti.
Da gennaio a settembre del 2003 il GAM ha infatti potuto registrare
2101 fatti che riguardano morti violente, esecuzioni extragiudiziali
e altre violazioni ai diritti umani. In particolare ad essere
maggiormente colpiti sono gli attivisti politici, gli operatori
dei diritti umani ed i giornalisti. A scoraggiare è la
reiterata intenzione delle autorità di voler perpetrare
lo stato d’impunità, che ha dominato negli ultimi quarant’anni
il paese centroamericano: "Si è comprovato che nella
maggior parte di queste esecuzioni hanno partecipato membri delle
forze di sicurezza dello Stato, o per lo meno hanno permesso che
altri settori siano coinvolti in questo tipo di crimini, che causano
gravi lutti alla società guatemalteca. La maggior parte
di queste esecuzioni sono state dirette contro attivisti politici,
che sono stati vittime di violazioni ai diritti umani. Fino ad
oggi, nessuno di questi crimini è stato indagato, nonostante
ci siano state segnalazioni contro funzionari o militanti del
FRG per la partecipazione in quei fatti. 1.040 morti violente
in solo nove mesi, è un altro fenomeno rilevante, dovuto
al fatto che la maggior parte di esse sono rimaste impunite, e
molte non hanno ricevuto la dovuta considerazione da parte delle
autorità governative". La sconfitta alle recentissime
elezioni politiche, per la presidenza della Repubblica e la formazione
del nuovo governo, del Generale Rioss Montt, uno dei più
sanguinari dittatori degli anni ottanta che ancora nella recente
legislatura rivestiva il ruolo di presidente del parlamento, permette
di sperare in qualche lenta ma progressiva riforma del paese.
Le priorità che il paese presenta al nuovo eletto, il conservatore
Óscar Berger, della Gran Alianza Nacional, sono quelle
di combattere la crescente povertà, stabilire il primato
della legge e decretare la fine di ogni impunità. I guatemaltechi,
ed i loro amici sparsi nel mondo, ci sperano; ma se in Guatemala,
oggi, sperare è lecito, vigilare è un dovere.
Alberto
Vitali
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