Le conseguenze del neoliberismo
sul continente latinoamericano



El Salvador è il più piccolo paese del Centro America, "el pulgarcito de America" , ciononostante potremmo riformulare il titolo dell'incontro di oggi sostituendo il suo nome a quello dell'intero continente. Sebbene infatti El Salvador sia grande, geograficamente, quanto il solo Piemonte e con una popolazione di circa 6 milioni di abitanti in patria , nel suo micro cosmo - meglio si dovrebbe dire "sulla pelle della sua gente" - si possono chiaramente osservare quelli che sono gli effetti delle dinamiche liberiste che attualmente governano in macro la scena latinoamericana e mondiale.

La terra dei Piani

Così, se dovessi dare una definizione geopolitica dell'America di oggi la chiamerei "la tierra de los Planes", la terra dei Piani; vale a dire: la terra di quei trattati di natura economica, e per ciò stessa politica, che ormai l'attanagliano dal Canada alla Terra del fuoco.

Il NAFTA

Al nord imperversa il NAFTA, quel trattato di libero commercio divenuto famoso grazie alla rivolta dei popoli indigeni del Chiapas, gli zapatisti, il 1° gennaio 1994, giorno in cui entrò in vigore. Questo accordo avrebbe dovuto "liberalizzare" il commercio tra Canada, Stati Uniti e Messico. E se, per questa vicenda, il condizionale è già di per sé è un obbligo, ho voluto virgolettare anche la parola liberalizzare, perché dopo Auschwitz (sul cui cancello stava scritto: "Il lavoro rende liberi") ogni qualvolta si incontrano termini come questi, "in libertà", è bene mettersi in guardia, per cercare di cogliere eventuali significati reconditi. Oggi, per esempio il lavoro continua a rende liberi nel nome del "liberismo", del "trattato di libero commercio"... non so se mi spiego! E al NAFTA gli indigeni - che sempre vedono lontano - si sono opposti fin dal principio, avendo capito che chi avrebbe pagato, ancora una volta, i costi di tanta "libertà" sarebbero stati proprio loro, come effettivamente è successo. Ma prima di continuare, per onestà intellettuale, è necessario che faccia una precisazione: sarò assolutamente obbiettivo quanto ai dati, ma non mi tratterrò - in nessun modo - dal formulare giudizi su quanto vado ad esporre, perché mai potrei parlare di dinamiche (neo)liberiste, nel concreto contesto centro e latinoamericano, senza esprimermi severamente - dal punto di vista etico - sulle politiche estere ed economiche statunitensi.

L'ALCA e il TLC

E poiché il NAFTA ha funzionato fin troppo "bene" al nord, negli ultimi anni qualcuno ha pensato di estenderlo anche ai paesi del centro e del sud del continente, facendone una fotocopia in versione latina: l'ALCA. In questi paesi però l'applicazione dell'ALCA ha immediatamente incontrato alcuni ostacoli di natura giuridica perché quasi ovunque risultava incompatibile con le Costituzioni vigenti. Si è reso perciò necessario trovare delle escamotage di natura politica, mediante la stipulazione di appropriati Trattati di Libero Commercio (TLC) che permettessero di apportare delle modifiche - vere e proprie glosse - alle Costituzioni vigenti, per potere "legalizzare" ciò che per tutta una serie di motivi (tra cui il rispetto delle sovranità nazionale e il diritto/dovere degli stati di tutelare i cittadini) non lo è. E' forse utile segnalare che a causa della loro affinità - quanto a materia e obiettivo - ALCA E TLC vengono spesso confusi e molti ne parlano come se fossero la stessa cosa: in realtà uno è un trattato di natura economica, l'atro politica, finalizzato ad offrire una parvenza di legalità al primo. A tutt'oggi nessuno dei due è entrato ufficialmente in vigore, ma si sa: la legalità è una cosa, la pratica un'altra.

Il Plan Puebla-Panamá e il Plan Colombia

Nell'aerea di questo macro contenitore (ALCA) sono stati poi collocati dei Piani regionali: il Plan Puebla-Panamá, che riguarda la zona compresa tra la città messicana di Puebla fino a Panamá (ovvero l'intero Centroamerica) ed il Plan Colombia, finalizzato "ufficialmente" a combattere il narcotraffico. Di quest'ultimo sono state redatte tre diverse versioni, pur lasciando intendere che si trattasse della medesima. Così quella presentata al Parlamento colombiano è diversa da quella inviata al Congresso degli Stati Uniti, che a sua volta differisce da quella presentata all'Unione Europea. Guardandole da vicino, si scopre immediatamente come la versione "europea" sia quella più ricca di clausole sociali - quasi fosse il progetto d'una ONG umanitaria! - mentre quella destinata a Washington rivela un carattere più decisamente militare: quasi una conferma della rappresentazione, comune a molti analisti, che identifica gli USA con Marte e l'UE con Venere. Lascio alla vostra fantasia di immaginare quale delle tre risulti la più veritiera... Il Plan Puebla-Panama prevede invece la creazione di un'area ad alto sfruttamento ambientale, economico e lavorativo, nell'area suddetta. I suoi estensori hanno praticamente preso la mappa della regione, vi hanno tracciato sopra un bel cerchio e hanno detto: "questo sarà il nostro laboratorio: qui sperimenteremo una serie di politiche economiche e sociali che, se daranno buoni risultati, potremo esportate"... Sembrerebbe fantapolitica, ma è andata così. L'emblema di questo scellerato piano è - anche fisicamente - rappresentato dalle maquillas, fabbriche di assemblaggio edificate su terreni appositamente dichiarati "Zona Franca Internazionale", così da non essere sottoposte ad alcuna legge nazionale, né al rispetto di alcun diritto costituzionale o sindacale. Per la quasi totalità, si tratta di fabbriche a capitale straniero: in El Salvador a prevalenza statunitense, in Guatemala asiatico. Nelle maquillas vengono assemblati - specialmente da donne e ragazzi - pezzi provenienti dalla zona meridionale degli USA e qui rispediti. Il salario si aggira mensilmente sui 140 dollari nelle zone urbane e 100 in quelle rurali (da notare che il costo della vita, in quei paesi, è praticamente simile al nostro). Ancora, in queste fabbriche si lavora una media di dieci-dodici ore al giorno, per sei giorni alla settimana. Ma nei periodi in cui il lavoro abbonda, per contratto, si lavora anche alla domenica e nei giorni di festa, per quanto lo straordinario non venga pagato. All'atto dell'assunzione, insieme al contratto lavorativo, si firma anche quello di fine rapporto: così la fabbrica si garantisce la facoltà di licenziare quando vuole, senza problemi sindacali e senza preavviso. Il prezzo più alto è sempre pagato dalle donne, soprattutto durante la gravidanza: poiché generalmente non viene concesso loro alcun permesso per le visite "ginecologiche" (anche questa parola è un po' esagerata: intendo dire quelle che mai potrebbero permettersi di consultare un medico di base) o di assentarsi nei giorni di malessere: tra costoro è alto il tasso di mortalità. Il criterio empirico con il quale si concede ad una donna di assentarsi per motivi di gravidanza è quando il ventre raggiunge dimensioni tali da non poter più entrare nell'angusto spazio dove solitamente lavora. Infine, tutti hanno diritto di recarsi al bagno una sola volta al giorno, ma il tempista controlla anche questo.

I costi del "libero" mercato

Questa è la situazione attuale e ci si è arrivati anche per la necessità di fare fronte alla concorrenza asiatica. Semplificando un po', sono tre i capitoli di spesa. - Il primo è il costo delle materie prime, regolarmente saccheggiare in Africa o comunque nei paesi del sud del mondo, grazie anche a quel meccanismo particolare che è il debito estero, che genera dei percorsi privilegiati. - Il secondo sono i costi di trasporto delle merci. E qui ritorna il discorso sul Plan Colombia, perché la forma più economica di trasporto è quella "via acqua", ma "via acqua" vuol dire principalmente "canale di Panamá". Grandissima parte del commercio internazionale passa infatti attraverso il suddetto canale; e agli Stati Uniti risulta molto più conveniente fare transitare le merci via mare, da Panamá, piuttosto che trasportarle via terra, all'interno del territorio nazionale. Capite bene quindi come il controllo del canale sia diventato sempre più un obiettivo strategico. Prima gli USA erano presenti in loco per controllarlo direttamente, ma a seguito di innumerevoli proteste (spesso pagate col sangue dai panamensi) per la difesa della sovranità nazionale, hanno dovuto lasciare il paese... si sono però spostati appena sotto, prendendo a pretesto la guerra al narcotraffico colombiano per poter continuare a dominare la regione. - Il terzo, grosso, capitolo di spesa è quello relativo al costo del lavoro. Qui non ci sono molte alternative: per sostenere la concorrenza d'un sistema che usufruisce a tutt'oggi di un regime di schiavitù - com'è quello dei paesi asiatici - e non volendo applicare dazi sulle importazioni (che, in questo caso, definirei "etici", ovvero una forma "positiva" di boicottaggio, mirato a vanificare i vantaggi dello sfruttamento), l'unica possibile soluzione è quella di andare per la medesima strada, facendo lavorare "da schiavi" anche i propri operai: esattamente ciò che avviene nelle maquillas latinoamericane! Dove invece nemmeno questo è possibile (penso a casa nostra), si fa la cosa che perlomeno gli si avvicina di più: si precarizza il lavoro, insieme a tante altre furbizie o diavolerie che ben conosciamo: inevitabili, secondo qualcuno, perché il mercato segue ormai questa logica... Credo perciò che sia arrivato il momento di rendersi conto - se non per civiltà e solidarietà, almeno per bieco interesse ed egoismo - che il mondo è davvero diventato un'unica barca: se affonda per qualcuno, affonda per tutti!

Conseguenze ambientali e sociali

Ciò è ancora più evidente a livello ambientale, perché, ricchi o poveri, respiriamo tutti la stessa aria…. e non ci sono condizionatori che tengano! La logica di cui stiamo trattando comporta infatti pesantissimi costi ambientali, perché se nelle maquillas si assemblano pezzi che vengono prodotti altrove e altrove devono tornare, il loro trasporto rende necessaria la realizzazione di corridoi privilegiati, ad alta e veloce percorrenza, che provocano la deforestazione di ampie zone del pianeta. Per restare sull'esempio centroamericano: si tratta di realizzare delle vie stradali e ferroviarie più efficaci di quanto non lo sia l'attuale strada panamericana, certamente più volte ammodernata e asfaltata, ma pur sempre un'opera progettata ai tempi della conquista. Per questo sono due i "mega-progetti" che interessano (minacciano) oggi l'istmo centroamericano: il raddoppio della panamericana e la realizzazione di una linea ferroviaria che gli corra parallela.

Disboscamento... genocidi e sfollamenti

Ciò comporterebbe costi naturali e umani ingenti. Mi riferisco in particolare agli ettari di selva tropicale che andrebbe deforestata. E non si tratterebbe unicamente (si fa per dire) di un problema ecologico, come immediatamente saremmo portati a ritenere, ma del dramma di quelle popolazioni che, pur vivendo lì da millenni, si vedrebbero cacciate dalle loro terre, per andare ad infoltire le fila dei migranti o, più facilmente, dei profughi interni, nei sobborghi degradati delle città. I loro governi se ne lavano le mani; anzi, all'ipotesi di nuove migrazioni, sono persino favorevoli, ben sapendo che ciò non farebbe che incrementare l'ingresso di denaro nel paese, grazie al fenomeno delle rimesse familiari... E per quanto tale prospettiva sia già di per sé drammatica, non è nemmeno la peggiore: ben sappiamo cosa è successo agli sfollati di altre parti, come ad esempio agli abitanti di certe zone del Chiapas, regione che da sola produce il 60% del fabbisogno energetico del Messico e dove sono stati scoperti importanti giacimenti petroliferi. Lì alcuni anni fa, si è consumata una vera e propria forma di pulizia etnica: l'esercito circondava i villaggi e inquinava le fonti, facendo aumentare in questo modo la mortalità infantile e degli anziani... senza grandi "mattanze", con relative fosse comuni, che sarebbero rimaste a testimoniare quanto successo. Oppure le autorità invitavano le donne a vaccinarsi contro la varicella, per poi sterilizzarle a tradimento... e di questo siamo stati testimoni. Anche in Honduras, dove nell'ultimo decennio le transnazionali del legname hanno disboscato un terzo del paese, la reazione delle popolazioni indigene viene repressa con ogni mezzo, compreso l'omicidio dei leader contadini. Uno di questi, ucciso lo scorso anno, era stretto collaboratore di un sacerdote salvadoregno che lavora in una parrocchia rurale honduregna da 25 anni: cercavano anche lui, ma in quei giorni si trovava in Italia. Per garantirgli almeno la possibilità di rientrare incolume nel paese, abbiamo dovuto avvisare, da qui, il suo vescovo che lo andasse a ricevere personalmente all'aeroporto… Le montagne del Guatemala invece sono sventrate dalle multinazionali dell'oro, che inquinano anche le falde ed il sottosuolo con il mercurio ed il cianuro utilizzati nella lavorazione del prezioso metallo: non saprei rendervi adeguatamente l'idea di quanto fossero patetici i tentativi dei dirigenti della Montana - ditta canadese - di spiegarci come la loro ditta ""in realtà" si prodighino nell'aiuto umanitario e nella promozione sociale delle popolazioni che hanno "dovuto" sfollare". Per questo insisto sul fatto che oggigiorno il disboscamento non è più soltanto un problema ecologico, né una fissazione dei Verdi, di Greenpace o degli ambientalisti in genere... è una tra le principali causa dei genocidi (diretti o indiretti) o - nella migliore delle ipotesi - di quegli sfollamenti che generano migliaia di profughi interni o esterni in tutti il mondo; anche se dubito che qualche tribunale internazionale sarà mai disposto ad indagare questo genere di crimini contro l'umanità!

La privatizzazione dell'acqua

Seguendo il percorso delle conseguenze della logica neoliberista sull'ambiente e sulle popolazioni, ci imbattiamo così nell'immenso problematica dello sfruttamento dell'acqua e della sua privatizzazione. Questa evidentemente non è una prerogativa di El Salvador o del Centroamerica: è un dramma universale! Se oggi, su una popolazione mondiale che conta poco più di sei miliardi di individui, un miliardo e settecento milioni ne sono già esclusi, si calcola che nei prossimi quindici anni la metà della popolazione mondiale - cioè tre miliardi su sette - non avrà più accesso all'acqua potabile: ciò comporterà un aumento delle malattie, in generale, ed un nuovo incremento del tasso di mortalità infantile: con buona pace degli obiettivi del millennio! In altre parole, sarà un'autentica sciagura per molti paesi del sud del mondo. Senza però allontanarci troppo… anche in Italia, proprio in questi mesi, stiamo assistendo alla corsa delle multinazionali per accaparrarsi le licenze necessarie a cercare e sfruttare nuove fonti idriche. La privatizzazione dell'acqua garantisce infatti guadagni elevatissimi: per ogni litro d'acqua imbottigliato e venduto si ha, all'incirca, un guadagno superiore al 1000 per 1; mentre si allungano nubi sinistre sul futuro della sostenibilità sociale. Cosa succederà infatti quando proprietarie degli acquedotti saranno le stesse ditte che già vendono l'acqua in bottiglia ed il cui interesse sarà evidentemente quello di spingere la gente a comprarla al supermercato, anziché aprire il rubinetto? E cosa succederà a quanti non potranno permettersi d'essere in regola con il pagamento delle bollette? Vogliamo immaginare le conseguenze, igieniche e sanitarie, della chiusura dei rubinetti, nei nostri quartieri più popolari, magari in estate?... E il colmo è che in Italia il progetto di legge per la privatizzazione degli acquedotti porta la firma dell'On. Bassolino, vale a dire: è promosso dal centro sinistra!.

Il lavoro nero

Tornando al Centroamerica e a El Salvador, un ulteriore problema - in crescita grazie alle politiche liberiste - è quello del lavoro nero. In molte cittadine salvadoregne o guatemalteche (ma mi dicono che altrove è lo stesso) ogni mattina è possibile osservare file di donne che, lungo i marciapiedi, aspettano pazientemente il proprio turno per entrare in banca: vanno a chiedere in prestito una manciata di spiccioli per comprare piccole mercanzie (in prevalenza generi alimentari), che si ingegnano a lavorare o cucinare per rivenderle al mercato nero. Alla sera, quella stessa folla di donne, ordinatamente, torna in banca, facendo la fila lungo gli stessi marciapiedi, con una pazienza ancestrale, per restituire il prestito avuto al mattino: pagando un interesse variabile dal 24 al 27%! Solo così riescono a rimediare qualcosa per dare da mangiare (spesso una sola volta al giorno) ai loro figli.

I diritti intellettuali e le clausole del TLC

Il trattato di libero commercio ha di fatto abbattuto le frontiere, abolito i dazi e generalizzato l'estensione dei diritti intellettuali… ovvero ha significato la rovina totale per i contadini del Centroamerica. Facciamo un esempio: oggi sul mercato un sacco di mais si vende a 24$ US, mentre il suo costo all'origine è di 34$: vale a dire che il costo di mercato equivale a meno della metà del costo di produzione. Paradossale, ma è così, grazie ai fondi che gli USA erogano ai propri contadini (cioè alle multinazionali) sotto forma di "sostegno all'agricoltura": 52 centesimi, a fondo perduto, per ogni dollaro speso. In questo modo ai "contadini" statunitensi il sacco di mais non costa più 34 dollari, ma 16,32 $ ed il mercato è bello che alterato e si può facilmente indovinare - anche ipotizzando che i contadini salvadoregni possano davvero entrare sul mercato (pura fantaeconomia) - chi riuscirà a vendere e chi no. L'esempio è evidentemente "teorico", perché mentre il contadino centroamericano, che ha un volto ben conosciuto: Juan, Carlos, Tilo... continua a chiedersi come diavolo arrivare al mercato, non avendo mezzi di trasporto, né strade e ormai… nemmeno più il mais (!), la "contadina" statunitense, una certa Monsanto, con le fattezze per nulla femminili e neppure umane… sa fin troppo bene come prendere la panamericana in direzione sud. E non è tutto. Per complicare ulteriormente la vita ai nostri amici Juan, Carlos e Tilo qualcuno ha pensato di inserire una clausola temporale, in virtù della quale il mercato salvadoregno è aperto da subito alle ditte nordiche, mentre quello statunitense si aprirà soltanto fra quindici anni. Nonostante i miei sforzi non sono ancora riuscito a scoprire quale sia la pretestuosa, quanto creativa, motivazione che soggiace ad una simile disparità, ma ormai la realtà ha sopravanzato di gran lunga la fantasia… Basti pensare che per quanto la logica lascerebbe supporre che le clausole di un trattato economico siano di natura "altrettanto" economica, a El Salvador è stata imposta un clausola che lo ha vincolato a promulgare una legge di estradizione, tale per cui gli Stati Uniti possano rimpatriare quanti immigrati desiderano, anche di seconda o terza generazione; il Guatemala è stato costretto a recedere da tutti gli accordi commerciali precedentemente sottoscritti col Brasile (per il semplice fatto che il governo di Lula non è nelle grazie degli USA); infine all'Honduras è stata imposta la più incredibile delle clausole ipotizzabili: il rilascio di 150 ufficiali arrestati negli anni '80, durante la guerra dei Contras in Nicaragua (ex miliziani della dinastia dei dittatori Somoza), mentre venivano addestrati sul suo territorio, dalla CIA, per combattere i Sandinisti e ripristinare la più antica delle dittature latinoamericane. Qualcosa però andò storto e l'Honduras ebbe l'ardire di arrestarne un bel gruppo che da allora si trovano là in prigione. Quale migliore clausola per l'entrata in vigore di un Trattato di Libero Commercio che la loro immediata liberazione?

Dollarizzazione dell'economia e frammentazione politica

Ma la clausola più - economicamente e politicamente - penalizzante per tutti è senza dubbio quella che ha imposto la sospensione del processo d'integrazione monetaria e di unità politica centroamericana. Nell'istmo infatti, da alcuni anni, era in atto un processo - parallelo a quello europeo - finalizzato a creare una maggiore unità politica e soprattutto l'integrazione monetaria. Il Parlamento Centroamericano già esiste, mentre per il 2015 si prevedeva di arrivare finalmente alla moneta unica. Speranza delusa: la clausola imposta dagli USA ha sancito l'immediata sospensione di questo processo; e la subordinazione (ancoraggio) delle monete nazionali al dollaro. Nel caso di El Salvador la moneta nazionale - il Colon - continua ad essere la divisa ufficiale, ma non viene più battuto dalla Banca centrale che, anzi, l'ha ritirato: ogni operazione viene ormai effettuata esclusivamente in dollari. E altrove è andata peggio: se nel Salvador il cambio tra Colon e Dollaro è ormai stabilito a 1 per 8,75, in Ecuador, nel 2000 il Sucre, è stato "dollarizzato" a 1 per 25 mila, improvvisamente, dalla sera alla mattina, impoverendo di colpo la classe media e provocando l'insurrezione delle popolazioni indigene (già organizzate nella CONAIE) che, grazie all'appoggio insperato, dei militari riuscirono a rovesciarono il governo… ancora una volta però fu tutto inutile.

La questione agraria: un male antico

La storia delle "tentate" riforme agrarie latinoamericane è una lunga scia di sangue. Fu così anche per quella annunciata nel 1979, in El Salvador, da un governo frutto dell'ennesimo colpo di stato, ad opera di giovani ufficiali progressisti, che si proponevano di impedire - in extremis - lo scoppio dell'ormai inevitabile guerra civile. Ma ancora una volta l'opposizione dell'oligarchia - costituita allora da quattordici famiglie - fece fallire il progetto e dette inizio ad un decennio di guerra che contò 90.000 vittime. Fra gli attuali tentativi, degno di nota è certamente quello di Lula in Brasile, ma anche lui già sta facendo i conti con le solite ostilità, aggravate da una congiuntura negativa per l'agricoltura, legata essenzialmente alla produzione di caffè e di cotone. Il mercato asiatico è infatti riuscito ad abbassarne il prezzo a un punto tale che i latifondisti latinoamericani non hanno più alcun interesse a coltivare: le terre vengono abbandonate (ma non cedute!) e i braccianti restano disoccupati. Un ulteriore problema riguarda anche noi ed è quello che, poche settimane fa, capeggiava le prime pagine dei giornali: secondo uno studio sfuggito - chissà come - al controllo delle imprese interessate, gli OGM non sarebbero affatto innocui, come a lungo s'è voluto far credere, ma "sicuramente tossici per gli organi interni dei topolini... potrebbero esserlo anche per l'uomo". Restando sull'America Latina, a parte il sempre possibile pericolo per la salute, gli OGM provocano comunque, e anzitutto, una serie di gravi danni economici e biologici all'agricoltura. In forza del trattato di libero commercio, infatti, i paesi firmatari sono vincolati a coltivare soltanto "sementi geneticamente modificate" che, essendo "brevettate", risultano proibitive per le tasche dei contadini. E questi, non avendo alternative (dal momento che le sementi native sono ormai proibite perché "fuori legge"), sono ridotti alla fame. Il governo oltretutto s'è preso gioco di loro, perché avendoli obbligati, per due anni, a seminare inconsapevolmente OGM (fornito a basso costo da un'agenzia controllata dallo stato), il terreno è ora diventato sterile a qualsiasi altro tipo di coltivazione. Una delle caratteristiche tipiche (e diaboliche) degli OGM è infatti quella di essere sterili e sterilizzanti Dal punto di vista alimentare la situazione è quindi la peggiore degli ultimi 25 anni. Lamentandosi, spesso i contadini ci confidano che: "ai tempi di monsignor Romero soffrivamo guerra e violenze, ma un po' di mais e fagioli li rimediavamo sempre... oggi no!".

Il "Debito" estero

Un ulteriore aggravio della situazione centroamericana - come di tanti altri paesi del sud del mondo - è oggi costituito dal cosiddetto "Debito estero". Per esemplificare, restiamo sull'esempio del Salvador, un paese in cui l'85% del PIL è rappresentato dalle rimesse famigliari degli emigrati. Si stima che oggigiorno i salvadoregni siano sei milioni in patria e due all'estero; il dato non è comunque calcolato sulla base di un'anagrafe aggiornata, ma sulle rimesse degli emigrati, che presumibilmente inviano ai propri famigliari, in media, cento dollari al mese. Bene, il 75% della spesa pubblica (ricavato dal "servizio" sulle rimesse) viene destinato a pagare il cosiddetto "servizio di debito", vale a dire gli interessi sull'ammontare complessivo del "debito estero". E poiché questo onere costituisce ormai una catena "mortale" per molti paesi del sud del mondo - non soltanto per quelli latinoamericani - vorrei aprire una parentesi, per chiarire quanto in realtà sia fuorviante parlare di "debito". Sì, perché, comunemente parlando, diciamo "debito" per riferirci ad un prestito che bisogna legittimamente onorare; ma in questo caso si tratta di una vera e propria speculazione finanziaria, avvenuta alla fine degli anni '70 e i cui effetti rischiano di prolungarsi all'infinito. A tale proposito, và reso merito alla Chiesa italiana che nel 2000 si è impegnata a spiegare la vera genesi del cosiddetto "debito"; peccato non abbia avuto anche il coraggio di andare fino in fondo, proclamando il diritto di quei paesi a non pagare.

Genesi del "Debito"

Il 1973 fu l'anno della crisi petrolifera e dell'austerità, perché i paesi produttori di petrolio (OPEC) quadruplicarono repentinamente il prezzo del petrolio. Le banche si ritrovarono con enormi quantità di liquido e di conseguenza crollarono i tassi d'interesse (fino all'incirca al 5%), nel momento in cui cresceva vertiginosamente l'inflazione. Divenne quindi necessario - oltre che utile e conveniente - chiedere prestiti per sostenere l'economia. Fu così per alcuni anni. Ma all'inizio del 1979 l'OPEC quintuplicò nuovamente il prezzo del greggio (che arrivò quindi a costare 20 volte in più rispetto al 1973). A questo punto, per restringere la quantità di moneta e contenere l'inflazione, USA e Regno Unito aumentarono unilateralmente il tasso di interesse - che era variabile - fino al 30%, generando una dinamica surreale, perché l'interesse da pagare in tre anni era ormai equivalente al prestito iniziale. Quando poi, nel gennaio del 1980 la Federal Reserve (la banca di Stato degli USA) apprezzò il dollaro ad una valore di cambio che era il doppio di quello delle maggiori monete europee, gli interessi di un solo anno arrivarono a superare l'intero prestito, rendendo così l'estinzione del debito un'impresa proibitiva e facendolo aumentare in maniera esponenziale col passare degli anni. Per fare un esempio: un prestito di £.600.000 contratto nell'autunno del 1978 ad un tasso di interesse del 5%, a gennaio del 1980 produceva ormai un interesse di £. 660.000: solo per interessi bisognava già pagare una cifra superiore all'intero capitale ricevuto 15 mesi prima. Da allora il problema non sarebbe più stato quello di pagare il prestito iniziale, ma gli esorbitanti interessi ("servizio") che si sarebbero accumulati col tempo... La crisi scoppiò già nel 1982, quando il Messico dichiarò la propria impossibilità a pagare il "servizio del debito" e, a ruota, altri debitori, in un imprevisto effetto domino, diffuso soprattutto in America Latina, si dichiararono insolventi. Per reagire a questa emergenza, che metteva in grave pericolo la situazione internazionale nacque l'idea degli "aggiustamenti strutturali". I governi del nord del mondo sollecitarono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale ad intervenire. Vennero perciò definiti accordi di riscadenzamento del debito, nei quali erano compresi nuovi tempi di restituzione, nuovi prestiti per superare la fase di crisi e provvedimenti di politica economica di ispirazione liberista, che il governo debitore si impegnava a mettere in atto. Con l'aggiustamento strutturale la comunità finanziaria internazionale impose ai paesi debitori alcune riforme economiche, quali la liberalizzazione completa del mercato interno e l'eliminazione di tutte le eventuali forme di protezione; la liberalizzazione del tasso di cambio e la riduzione ai minimi termini della spesa pubblica, per definizione improduttiva.

Il debito oggi

A tutt'oggi il debito ammonta a 2.597 miliardi di dollari e il servizio del debito pagato nel 2004 ammonta a 373 miliardi di dollari. Una cifra, che sebbene non fantascientifica per le casse dei paesi ricchi, costituisce una catena perpetua per quelli poveri, che si traduce concretamente nell'impossibilità per le nazioni più povere di combattere la fame e ogni genere di malattie che stanno falciando il pianeta. Da qui l'appello vigoroso di Giovanni Paolo II ed il sussulto di molte coscienze civili. Ma sono solo ragioni di ordine solidale e morale a spingerci a chiedere la cancellazione del "debito"?

Perché cancellare

Anzitutto, una questione di giustizia prima che di solidarietà. Secondo l'economista Riccardo Moro: "se si ricalcolano le somme dovute e le somme restituite utilizzando come unità di misura non il dollaro, ma un paniere di monete che tenga conto delle variazioni di valore di tutte le monete, comprese quelle locali, si ottiene che per quasi tutti i paesi il debito è stato già restituito completamente, e in qualche caso anche più volte, dunque nulla più è dovuto". Poi una ragione storica. "Nel periodo del colonialismo il Sud del mondo, e in particolare l'Africa, è stato defraudato delle proprie ricchezze naturali. Nessuno ha tenuto una contabilità di quanto è stato sottratto. In prospettiva storica le popolazioni del Nord sono debitrici verso quelle del Sud di valori letteralmente "non restituibili"". Infine, una ragione di convenienza. "Liberare i paesi dal peso del debito consentirebbe loro di destinare a investimenti produttivi le risorse oggi usate per la restituzione del capitale e il pagamento degli interessi". A queste va pure aggiunta una ragione di natura politica. Il cosiddetto "debito" nella maggior parte dei casi non è stato contratto da organismi democraticamente eletti nei paesi del sud e non è andato a beneficio delle rispettive popolazioni. E' stato invece richiesto da regimi dittatoriali per l'acquisto di armi, impiegate nel reprimere la popolazione civile (e chi ha concesso i prestiti lo sapeva!). Oggi il denaro destinato al pagamento del "servizio" del "debito" è sottratto alle spese sociali (alimentazione, sanità, scuola…), colpendo così ulteriormente - in termini di denutrizione, morte e analfabetismo… - proprio quelle popolazioni che avrebbero tutto il diritto di chiederci persino il risarcimento dei danni morali, ammesso e "concesso" che il diritto, nella nostra concezione, abbia ancora un valore universale!

Gli aggiustamenti strutturali

Ai paesi gravati dal "debito estero" gli organismi internazionali, tra cui il FMI, stanno dettando una serie di aggiustamenti che impropriamente vengono chiamati "strutturali". Ho detto impropriamente… in effetti da un po' di tempo anche le parole mutano di significato. Per esempio: l'espressione "operazione chirurgica" non indica più esclusivamente l'operato di un medico, ma anche il bombardamento a tappeto delle popolazioni civili. Così fare una "operazione strutturale" a casa mia significherebbe semplicemente aggiustare finestre o porte, abbattere o innalzare muri… ma in questo caso significa privatizzare gli ospedali e chiudere le scuole. In America Latina uno dei principali problemi odierni è proprio quello degli aggiustamenti strutturali. Nel Salvador, ad esempio, da anni, stanno tentando di privatizzare la sanità: ma così l'85% dei salvadoregni resterebbe senza uno straccio di assistenza sanitaria. Contro questo tentativo di privatizzazione nel 2003, per 10 mesi, sono scesi in sciopero, manifestando nelle strade, centinaia di medici e infermieri (tutta gente che peraltro meriterebbe il premio Nobel per la medicina, per quanto riesce a compiere avendo a disposizione praticamente nulla). La reazione del governo fu quella di varare un "piano di contingenza", grazie al quale riassunse - in sostituzione degli scioperanti - una serie di medici e infermieri che negli anni precedenti erano stati licenziati per abuso di alcool, droga e violenze sessuali. Quando poi lo sciopero finì, costoro mantennero il posto riconquistato, mentre la gran parte dei migliori sanitari del paese finì negli ospedali militari, a far nulla, se non ad essere controllati dai militari. In conclusione nel primo trimestre 2003, negli ospedali salvadoregni si è registrato il 30% di morti in più rispetto all'anno precedente. Detto questo vorrei sottolineare che stiamo parlando del Salvador, non di un paese sub-sahariano…!

Messico e nuvole

Per spostare la nostra attenzione leggermente più a nord, nel febbraio 2001, con un gruppo di attivisti del "Coordinamento dei comuni comaschi per la Pace", abbiamo realizzato un monitoraggio sui diritti umani in Messico. Orbene: se si va in Messico con passaporto da turista ci si può recare dove si vuole, ma se si entra con lo speciale visto - appositamente rilasciato dal governo federale - per "osservatori dei diritti umani" si può visitare esclusivamente quello che decidono loro. Quanto a coerenza, non c'è che dire! Avevamo comunque deciso di recarci in tutti i luoghi che sapevamo essere di crisi, a costo di venire espulsi, come già era successo ad altri prima di noi. Ma qui venne il bello… si fa per dire! I servizi segreti, pur standoci visibilmente alle calcagna, ci permisero di scorazzare per ogni dove, lasciandoci incontrare anche quelle realtà che evidentemente avrebbero preferito negarci. Il mistero cresceva di ora in ora. L'ultima sera, in aeroporto, abbiamo scoperto il perché. Avevamo convocato una conferenza stampa, abbastanza convinti che andasse deserta, invece, con nostra sorpresa, era affollatissima e vi era persino una rete televisiva. Alle nostre richieste di spiegazioni, dopo qualche imbarazzo, una giornalista ci spiegò che negli stessi giorni era presente una delegazione del governo italiano a "monitorare il rispetto dei diritti umani", quale "clausola sociale" imposta da un ennesimo Trattato di Libero Commercio: questa volta tra l'Unione Europea (Venere) e il Messico. Era quindi logico che non volessero "incidenti" con degli italiani… Non basterebbe un pomeriggio per raccontare quel viaggio: mi limito ad un episodio. Proprio in quell'ultima sera, quando già stavamo chiudendo i bagagli, ci chiamarono per incontrare due donne, due lavoratrici, che si erano fatte 50 chilometri a piedi per chiedere solidarietà. Undici loro compagni, erano stati arrestati durante uno sciopero pacifico, con sit-in, davanti al "bananero" in cui lavoravano, per ottenere qualche miglioramento del loro trattamento (avevano infatti una paga irrisoria). Il principale problema lamentato dalle donne erano le deprecabili condizioni carcerarie. A colpirmi di più fu il fatto che, in prigione, per avere diritto alla cella, bisognasse pagare mille pesos; in alternativa si era tenuti all'aperto, in cortile, con degli sbalzi termici da paura, notte e giorno, senza mangiare e sbrigando i lavori peggiori, come la pulizia delle latrine. In quella situazione di promiscuità, esposti a molteplici pericoli, entrare in carcere equivaleva a ipotecare la fine. Per potersi permettere anche il peggiore degli avvocati servivano infatti altri mille pesos… e capite bene come per gente che ne guadagnava 17 al giorno fosse un'impresa impossibile. No so se rendo l'idea: sto parlando del Messico… non dell'Afghanistan! Il paragone con l'Afganistan è invece emerso prepotente quando, occupandoci della sanità in Salvador, stavamo progettando con Emergency l'apertura di un ospedale. Ci abbiamo lavorato per due anni. Gino Strada era tra l'incredulo e il furioso per essere riuscito ad aprire due ospedali in Afghanistan, sotto il regime dei talebani e altri due in Iraq, al tempo di Saddam Hussein, mentre non ci concedevano di aprirne uno nel "democratico" El Salvador: ma così è stato! Nel quadro di un progetto generale di privatizzazione, l'ultima cosa che evidentemente vogliono, è che qualcuno vada ad aprire ospedali di ottima qualità, dove la gente sia curata gratuitamente. Quanto al Chiapas (Messico), le forze in gioco sono arrivate ad un punto morto e purtroppo il tempo gioca a favore del governo. E' successo che, dopo la fiammata iniziale, gli zapatisti (insorti per rivendicare i diritti calpestati degli indigeni e la salvaguardia dell'ambiente) hanno avuto problemi anche al loro interno, tra il vertice e la base, perché questa voleva concentrarsi sulla gestione dei municipi conquistati (i cosiddetti Municipi Autonomi), mentre la "Comandancia" nel 2002 ha tentato di fare un salto di qualità per passare ad un livello politico più alto, organizzando una marcia che attraversasse l'intero paese fino ad approdare a Città del Messico. L'iniziativa però non conseguì i risultati sperati e la situazione è ora di stallo. Anzi, in alcuni casi, lo stesso contrasto esistente tra le diverse fazioni che si affrontano a livello nazionale, si riproduce anche all'interno dei cosiddetti "municipi autonomi", controllati dagli indigeni. Il problema è che a lungo andare queste tensioni logorano le forze e la situazione diventa faticosa da sostenere. Inoltre, coloro che hanno fatto il grosso del lavoro, anche a livello ideale, stanno inevitabilmente invecchiando: lo stesso subcomandante Marcos - che già da vent'anni si trova all'interno della selva Lacandona - avrà ormai una cinquantina di anni. Se consideriamo che il Che riteneva che dopo i 40 anni per un guerrigliero è meglio dedicarsi ad altri compiti, di supporto, perché fisicamente non si ha più la prestanza necessaria e si rischia di diventare un peso... Già nell'estate 2001, il presidente statunitense Bush stava esercitando forti pressioni sul presidente messicano Fox perché arrivasse alla soluzione finale con gli zapatisti, ma gli attentati dell'11 settembre hanno distratto la sua attenzione. Così ogni possibile soluzione rimane sospesa e la situazione appare cristallizzata in un equilibrio alquanto precario; ma la necessità di risolvere la "questione Chiapas" rimane con tutta la sua urgenza e drammaticità, perché secondo i progetti del Plan Puebla-Panamá, proprio da quella regione dovranno passare le grande arterie di comunicazione che collegheranno il nord ed il sud del continente: autostrade e ferrovie.

La cinica violenza del potere

In conclusione, credo che per renderci conto di quanto succede davvero nel mondo dovremmo riuscire a perdere la nostra "verginità mentale". Il nostro problema infatti è questo: essendo persone - tutto sommato - "normali" e "civili" ci ostiniamo a pensare che anche gli altri non possano essere tanto peggiori di noi e perciò continuiamo istintivamente a ritenere delle fandonie, delle esagerazioni ideologiche, molte delle cose che ci vengono raccontate semplicemente perché sono vere. L'altro giorno in una libreria di Corso Buenos Aires mi è capitato tra le mani un'edizione del manuale di tortura della CIA, esposto sugli scaffali come se fosse la cosa più normale di questo mondo! Già il rapporto "Guatemala nunca mas", curato e pubblicato dalla Chiesa guatemalteca nel 1998, analizzava le torture inflitte nei villaggi rurali del paese spiegando come fossero state elaborate nelle facoltà sociologiche degli USA e come fossero stati proprio degli antropologi a indicare il tipo di tortura adatto alle diverse etnie. Così, per esempio, le donne che venivano violentate non erano quelle destinate ad essere uccise, perché la violenza serviva a far nascere bambini "bastardi" per mettere in crisi il futuro dell'etnia. - Vi garantisco che nonostante ritenessi di esserci preparato, ho faticato non poco a leggere quel testo e i documenti correlati, sino alla fine -. Quando poi nel 1997 il presidente USA Clinton ha aperto gli archivi della CIA, sono emersi una serie di documenti che hanno confermato, anche dall'altro versante, quanto già si sapeva e si è sentito in dovere di recarsi a chiedere pubblicamente perdono al popolo guatemalteco per quanto successo. Che io sappia è stato l'unico caso, in America latina e nel mondo, in cui un presidente degli Stati Uniti abbia fatto pubblica ammenda delle atrocità commesse dal suo paese. Perciò ho detto che per poter credere che certe cose siano davvero possibili, è necessario perdere una certa verginità mentale… Lo stesso tipo di atteggiamento mentale dovremo assumerlo nei confronti di questo sistema economico. Oggigiorno i peggiori serial killer non sono quelli che ammazzano venti, cento… persone, ma quei signori che, con tanto di camicia bianca e cravatta, sotto i riflettori di tutte le telecamere del pianeta, si fregiano di firmare trattati e accordi di ogni genere, ben sapendo che quei documenti decreteranno la morte di qualche centinaio di migliaio di persone. Questi non sono "incidenti di percorso"… sono morti pianificate, di massa, premeditate e perciò da ritenersi a tutti gli effetti "crimini contro l'umanità".

Alberto Vitali


1. "Il pollicino d'America" come viene soprannominato per le sue dimensioni
2. Si calcola che ve ne siano altri 2-3 milioni all'estero. Il computo è fatto non già in virtù d'una anagrafe attendibile - inesistente - ma sulla base dei soldi che entrano mensilmente nel paese, valutando che ogni migrante invii mensilmente 100$, come rimessa famigliare

(Testo trascritto dell'intervento tenuto nell'ambito di un seminario organizzato dall'Associazione Culturale Punto Rosso e promosso dalla provincia di Milano,
il 23 maggio 2005)



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