El
Salvador è il più piccolo paese del Centro America, "el pulgarcito
de America" , ciononostante potremmo riformulare il titolo dell'incontro
di oggi sostituendo il suo nome a quello dell'intero continente.
Sebbene infatti El Salvador sia grande, geograficamente, quanto
il solo Piemonte e con una popolazione di circa 6 milioni di abitanti
in patria , nel suo micro cosmo - meglio si dovrebbe dire "sulla
pelle della sua gente" - si possono chiaramente osservare quelli
che sono gli effetti delle dinamiche liberiste che attualmente
governano in macro la scena latinoamericana e mondiale.
La
terra dei Piani
Così,
se dovessi dare una definizione geopolitica dell'America di oggi
la chiamerei "la tierra de los Planes", la terra dei Piani; vale
a dire: la terra di quei trattati di natura economica, e per ciò
stessa politica, che ormai l'attanagliano dal Canada alla Terra
del fuoco.
Il
NAFTA
Al
nord imperversa il NAFTA, quel trattato di libero commercio divenuto
famoso grazie alla rivolta dei popoli indigeni del Chiapas, gli
zapatisti, il 1° gennaio 1994, giorno in cui entrò in vigore.
Questo accordo avrebbe dovuto "liberalizzare" il commercio tra
Canada, Stati Uniti e Messico. E se, per questa vicenda, il condizionale
è già di per sé è un obbligo, ho voluto virgolettare anche la
parola liberalizzare, perché dopo Auschwitz (sul cui cancello
stava scritto: "Il lavoro rende liberi") ogni qualvolta si incontrano
termini come questi, "in libertà", è bene mettersi in guardia,
per cercare di cogliere eventuali significati reconditi. Oggi,
per esempio il lavoro continua a rende liberi nel nome del "liberismo",
del "trattato di libero commercio"... non so se mi spiego! E al
NAFTA gli indigeni - che sempre vedono lontano - si sono opposti
fin dal principio, avendo capito che chi avrebbe pagato, ancora
una volta, i costi di tanta "libertà" sarebbero stati proprio
loro, come effettivamente è successo. Ma prima di continuare,
per onestà intellettuale, è necessario che faccia una precisazione:
sarò assolutamente obbiettivo quanto ai dati, ma non mi tratterrò
- in nessun modo - dal formulare giudizi su quanto vado ad esporre,
perché mai potrei parlare di dinamiche (neo)liberiste, nel concreto
contesto centro e latinoamericano, senza esprimermi severamente
- dal punto di vista etico - sulle politiche estere ed economiche
statunitensi.
L'ALCA
e il TLC
E
poiché il NAFTA ha funzionato fin troppo "bene" al nord, negli
ultimi anni qualcuno ha pensato di estenderlo anche ai paesi del
centro e del sud del continente, facendone una fotocopia in versione
latina: l'ALCA. In questi paesi però l'applicazione dell'ALCA
ha immediatamente incontrato alcuni ostacoli di natura giuridica
perché quasi ovunque risultava incompatibile con le Costituzioni
vigenti. Si è reso perciò necessario trovare delle escamotage
di natura politica, mediante la stipulazione di appropriati Trattati
di Libero Commercio (TLC) che permettessero di apportare delle
modifiche - vere e proprie glosse - alle Costituzioni vigenti,
per potere "legalizzare" ciò che per tutta una serie di motivi
(tra cui il rispetto delle sovranità nazionale e il diritto/dovere
degli stati di tutelare i cittadini) non lo è. E' forse utile
segnalare che a causa della loro affinità - quanto a materia e
obiettivo - ALCA E TLC vengono spesso confusi e molti ne parlano
come se fossero la stessa cosa: in realtà uno è un trattato di
natura economica, l'atro politica, finalizzato ad offrire una
parvenza di legalità al primo. A tutt'oggi nessuno dei due è entrato
ufficialmente in vigore, ma si sa: la legalità è una cosa, la
pratica un'altra.
Il
Plan Puebla-Panamá e il Plan Colombia
Nell'aerea
di questo macro contenitore (ALCA) sono stati poi collocati dei
Piani regionali: il Plan Puebla-Panamá, che riguarda la zona compresa
tra la città messicana di Puebla fino a Panamá (ovvero l'intero
Centroamerica) ed il Plan Colombia, finalizzato "ufficialmente"
a combattere il narcotraffico. Di quest'ultimo sono state redatte
tre diverse versioni, pur lasciando intendere che si trattasse
della medesima. Così quella presentata al Parlamento colombiano
è diversa da quella inviata al Congresso degli Stati Uniti, che
a sua volta differisce da quella presentata all'Unione Europea.
Guardandole da vicino, si scopre immediatamente come la versione
"europea" sia quella più ricca di clausole sociali - quasi fosse
il progetto d'una ONG umanitaria! - mentre quella destinata a
Washington rivela un carattere più decisamente militare: quasi
una conferma della rappresentazione, comune a molti analisti,
che identifica gli USA con Marte e l'UE con Venere. Lascio alla
vostra fantasia di immaginare quale delle tre risulti la più veritiera...
Il Plan Puebla-Panama prevede invece la creazione di un'area ad
alto sfruttamento ambientale, economico e lavorativo, nell'area
suddetta. I suoi estensori hanno praticamente preso la mappa della
regione, vi hanno tracciato sopra un bel cerchio e hanno detto:
"questo sarà il nostro laboratorio: qui sperimenteremo una serie
di politiche economiche e sociali che, se daranno buoni risultati,
potremo esportate"... Sembrerebbe fantapolitica, ma è andata così.
L'emblema di questo scellerato piano è - anche fisicamente - rappresentato
dalle maquillas, fabbriche di assemblaggio edificate su terreni
appositamente dichiarati "Zona Franca Internazionale", così da
non essere sottoposte ad alcuna legge nazionale, né al rispetto
di alcun diritto costituzionale o sindacale. Per la quasi totalità,
si tratta di fabbriche a capitale straniero: in El Salvador a
prevalenza statunitense, in Guatemala asiatico. Nelle maquillas
vengono assemblati - specialmente da donne e ragazzi - pezzi provenienti
dalla zona meridionale degli USA e qui rispediti. Il salario si
aggira mensilmente sui 140 dollari nelle zone urbane e 100 in
quelle rurali (da notare che il costo della vita, in quei paesi,
è praticamente simile al nostro). Ancora, in queste fabbriche
si lavora una media di dieci-dodici ore al giorno, per sei giorni
alla settimana. Ma nei periodi in cui il lavoro abbonda, per contratto,
si lavora anche alla domenica e nei giorni di festa, per quanto
lo straordinario non venga pagato. All'atto dell'assunzione, insieme
al contratto lavorativo, si firma anche quello di fine rapporto:
così la fabbrica si garantisce la facoltà di licenziare quando
vuole, senza problemi sindacali e senza preavviso. Il prezzo più
alto è sempre pagato dalle donne, soprattutto durante la gravidanza:
poiché generalmente non viene concesso loro alcun permesso per
le visite "ginecologiche" (anche questa parola è un po' esagerata:
intendo dire quelle che mai potrebbero permettersi di consultare
un medico di base) o di assentarsi nei giorni di malessere: tra
costoro è alto il tasso di mortalità. Il criterio empirico con
il quale si concede ad una donna di assentarsi per motivi di gravidanza
è quando il ventre raggiunge dimensioni tali da non poter più
entrare nell'angusto spazio dove solitamente lavora. Infine, tutti
hanno diritto di recarsi al bagno una sola volta al giorno, ma
il tempista controlla anche questo.
I
costi del "libero" mercato
Questa
è la situazione attuale e ci si è arrivati anche per la necessità
di fare fronte alla concorrenza asiatica. Semplificando un po',
sono tre i capitoli di spesa. - Il primo è il costo delle materie
prime, regolarmente saccheggiare in Africa o comunque nei paesi
del sud del mondo, grazie anche a quel meccanismo particolare
che è il debito estero, che genera dei percorsi privilegiati.
- Il secondo sono i costi di trasporto delle merci. E qui ritorna
il discorso sul Plan Colombia, perché la forma più economica di
trasporto è quella "via acqua", ma "via acqua" vuol dire principalmente
"canale di Panamá". Grandissima parte del commercio internazionale
passa infatti attraverso il suddetto canale; e agli Stati Uniti
risulta molto più conveniente fare transitare le merci via mare,
da Panamá, piuttosto che trasportarle via terra, all'interno del
territorio nazionale. Capite bene quindi come il controllo del
canale sia diventato sempre più un obiettivo strategico. Prima
gli USA erano presenti in loco per controllarlo direttamente,
ma a seguito di innumerevoli proteste (spesso pagate col sangue
dai panamensi) per la difesa della sovranità nazionale, hanno
dovuto lasciare il paese... si sono però spostati appena sotto,
prendendo a pretesto la guerra al narcotraffico colombiano per
poter continuare a dominare la regione. - Il terzo, grosso, capitolo
di spesa è quello relativo al costo del lavoro. Qui non ci sono
molte alternative: per sostenere la concorrenza d'un sistema che
usufruisce a tutt'oggi di un regime di schiavitù - com'è quello
dei paesi asiatici - e non volendo applicare dazi sulle importazioni
(che, in questo caso, definirei "etici", ovvero una forma "positiva"
di boicottaggio, mirato a vanificare i vantaggi dello sfruttamento),
l'unica possibile soluzione è quella di andare per la medesima
strada, facendo lavorare "da schiavi" anche i propri operai: esattamente
ciò che avviene nelle maquillas latinoamericane! Dove invece nemmeno
questo è possibile (penso a casa nostra), si fa la cosa che perlomeno
gli si avvicina di più: si precarizza il lavoro, insieme a tante
altre furbizie o diavolerie che ben conosciamo: inevitabili, secondo
qualcuno, perché il mercato segue ormai questa logica... Credo
perciò che sia arrivato il momento di rendersi conto - se non
per civiltà e solidarietà, almeno per bieco interesse ed egoismo
- che il mondo è davvero diventato un'unica barca: se affonda
per qualcuno, affonda per tutti!
Conseguenze
ambientali e sociali
Ciò
è ancora più evidente a livello ambientale, perché, ricchi o poveri,
respiriamo tutti la stessa aria…. e non ci sono condizionatori
che tengano! La logica di cui stiamo trattando comporta infatti
pesantissimi costi ambientali, perché se nelle maquillas si assemblano
pezzi che vengono prodotti altrove e altrove devono tornare, il
loro trasporto rende necessaria la realizzazione di corridoi privilegiati,
ad alta e veloce percorrenza, che provocano la deforestazione
di ampie zone del pianeta. Per restare sull'esempio centroamericano:
si tratta di realizzare delle vie stradali e ferroviarie più efficaci
di quanto non lo sia l'attuale strada panamericana, certamente
più volte ammodernata e asfaltata, ma pur sempre un'opera progettata
ai tempi della conquista. Per questo sono due i "mega-progetti"
che interessano (minacciano) oggi l'istmo centroamericano: il
raddoppio della panamericana e la realizzazione di una linea ferroviaria
che gli corra parallela.
Disboscamento...
genocidi e sfollamenti
Ciò
comporterebbe costi naturali e umani ingenti. Mi riferisco in
particolare agli ettari di selva tropicale che andrebbe deforestata.
E non si tratterebbe unicamente (si fa per dire) di un problema
ecologico, come immediatamente saremmo portati a ritenere, ma
del dramma di quelle popolazioni che, pur vivendo lì da millenni,
si vedrebbero cacciate dalle loro terre, per andare ad infoltire
le fila dei migranti o, più facilmente, dei profughi interni,
nei sobborghi degradati delle città. I loro governi se ne lavano
le mani; anzi, all'ipotesi di nuove migrazioni, sono persino favorevoli,
ben sapendo che ciò non farebbe che incrementare l'ingresso di
denaro nel paese, grazie al fenomeno delle rimesse familiari...
E per quanto tale prospettiva sia già di per sé drammatica, non
è nemmeno la peggiore: ben sappiamo cosa è successo agli sfollati
di altre parti, come ad esempio agli abitanti di certe zone del
Chiapas, regione che da sola produce il 60% del fabbisogno energetico
del Messico e dove sono stati scoperti importanti giacimenti petroliferi.
Lì alcuni anni fa, si è consumata una vera e propria forma di
pulizia etnica: l'esercito circondava i villaggi e inquinava le
fonti, facendo aumentare in questo modo la mortalità infantile
e degli anziani... senza grandi "mattanze", con relative fosse
comuni, che sarebbero rimaste a testimoniare quanto successo.
Oppure le autorità invitavano le donne a vaccinarsi contro la
varicella, per poi sterilizzarle a tradimento... e di questo siamo
stati testimoni. Anche in Honduras, dove nell'ultimo decennio
le transnazionali del legname hanno disboscato un terzo del paese,
la reazione delle popolazioni indigene viene repressa con ogni
mezzo, compreso l'omicidio dei leader contadini. Uno di questi,
ucciso lo scorso anno, era stretto collaboratore di un sacerdote
salvadoregno che lavora in una parrocchia rurale honduregna da
25 anni: cercavano anche lui, ma in quei giorni si trovava in
Italia. Per garantirgli almeno la possibilità di rientrare incolume
nel paese, abbiamo dovuto avvisare, da qui, il suo vescovo che
lo andasse a ricevere personalmente all'aeroporto… Le montagne
del Guatemala invece sono sventrate dalle multinazionali dell'oro,
che inquinano anche le falde ed il sottosuolo con il mercurio
ed il cianuro utilizzati nella lavorazione del prezioso metallo:
non saprei rendervi adeguatamente l'idea di quanto fossero patetici
i tentativi dei dirigenti della Montana - ditta canadese - di
spiegarci come la loro ditta ""in realtà" si prodighino nell'aiuto
umanitario e nella promozione sociale delle popolazioni che hanno
"dovuto" sfollare". Per questo insisto sul fatto che oggigiorno
il disboscamento non è più soltanto un problema ecologico, né
una fissazione dei Verdi, di Greenpace o degli ambientalisti in
genere... è una tra le principali causa dei genocidi (diretti
o indiretti) o - nella migliore delle ipotesi - di quegli sfollamenti
che generano migliaia di profughi interni o esterni in tutti il
mondo; anche se dubito che qualche tribunale internazionale sarà
mai disposto ad indagare questo genere di crimini contro l'umanità!
La
privatizzazione dell'acqua
Seguendo
il percorso delle conseguenze della logica neoliberista sull'ambiente
e sulle popolazioni, ci imbattiamo così nell'immenso problematica
dello sfruttamento dell'acqua e della sua privatizzazione. Questa
evidentemente non è una prerogativa di El Salvador o del Centroamerica:
è un dramma universale! Se oggi, su una popolazione mondiale che
conta poco più di sei miliardi di individui, un miliardo e settecento
milioni ne sono già esclusi, si calcola che nei prossimi quindici
anni la metà della popolazione mondiale - cioè tre miliardi su
sette - non avrà più accesso all'acqua potabile: ciò comporterà
un aumento delle malattie, in generale, ed un nuovo incremento
del tasso di mortalità infantile: con buona pace degli obiettivi
del millennio! In altre parole, sarà un'autentica sciagura per
molti paesi del sud del mondo. Senza però allontanarci troppo…
anche in Italia, proprio in questi mesi, stiamo assistendo alla
corsa delle multinazionali per accaparrarsi le licenze necessarie
a cercare e sfruttare nuove fonti idriche. La privatizzazione
dell'acqua garantisce infatti guadagni elevatissimi: per ogni
litro d'acqua imbottigliato e venduto si ha, all'incirca, un guadagno
superiore al 1000 per 1; mentre si allungano nubi sinistre sul
futuro della sostenibilità sociale. Cosa succederà infatti quando
proprietarie degli acquedotti saranno le stesse ditte che già
vendono l'acqua in bottiglia ed il cui interesse sarà evidentemente
quello di spingere la gente a comprarla al supermercato, anziché
aprire il rubinetto? E cosa succederà a quanti non potranno permettersi
d'essere in regola con il pagamento delle bollette? Vogliamo immaginare
le conseguenze, igieniche e sanitarie, della chiusura dei rubinetti,
nei nostri quartieri più popolari, magari in estate?... E il colmo
è che in Italia il progetto di legge per la privatizzazione degli
acquedotti porta la firma dell'On. Bassolino, vale a dire: è promosso
dal centro sinistra!.
Il
lavoro nero
Tornando
al Centroamerica e a El Salvador, un ulteriore problema - in crescita
grazie alle politiche liberiste - è quello del lavoro nero. In
molte cittadine salvadoregne o guatemalteche (ma mi dicono che
altrove è lo stesso) ogni mattina è possibile osservare file di
donne che, lungo i marciapiedi, aspettano pazientemente il proprio
turno per entrare in banca: vanno a chiedere in prestito una manciata
di spiccioli per comprare piccole mercanzie (in prevalenza generi
alimentari), che si ingegnano a lavorare o cucinare per rivenderle
al mercato nero. Alla sera, quella stessa folla di donne, ordinatamente,
torna in banca, facendo la fila lungo gli stessi marciapiedi,
con una pazienza ancestrale, per restituire il prestito avuto
al mattino: pagando un interesse variabile dal 24 al 27%! Solo
così riescono a rimediare qualcosa per dare da mangiare (spesso
una sola volta al giorno) ai loro figli.
I
diritti intellettuali e le clausole del TLC
Il
trattato di libero commercio ha di fatto abbattuto le frontiere,
abolito i dazi e generalizzato l'estensione dei diritti intellettuali…
ovvero ha significato la rovina totale per i contadini del Centroamerica.
Facciamo un esempio: oggi sul mercato un sacco di mais si vende
a 24$ US, mentre il suo costo all'origine è di 34$: vale a dire
che il costo di mercato equivale a meno della metà del costo di
produzione. Paradossale, ma è così, grazie ai fondi che gli USA
erogano ai propri contadini (cioè alle multinazionali) sotto forma
di "sostegno all'agricoltura": 52 centesimi, a fondo perduto,
per ogni dollaro speso. In questo modo ai "contadini" statunitensi
il sacco di mais non costa più 34 dollari, ma 16,32 $ ed il mercato
è bello che alterato e si può facilmente indovinare - anche ipotizzando
che i contadini salvadoregni possano davvero entrare sul mercato
(pura fantaeconomia) - chi riuscirà a vendere e chi no. L'esempio
è evidentemente "teorico", perché mentre il contadino centroamericano,
che ha un volto ben conosciuto: Juan, Carlos, Tilo... continua
a chiedersi come diavolo arrivare al mercato, non avendo mezzi
di trasporto, né strade e ormai… nemmeno più il mais (!), la "contadina"
statunitense, una certa Monsanto, con le fattezze per nulla femminili
e neppure umane… sa fin troppo bene come prendere la panamericana
in direzione sud. E non è tutto. Per complicare ulteriormente
la vita ai nostri amici Juan, Carlos e Tilo qualcuno ha pensato
di inserire una clausola temporale, in virtù della quale il mercato
salvadoregno è aperto da subito alle ditte nordiche, mentre quello
statunitense si aprirà soltanto fra quindici anni. Nonostante
i miei sforzi non sono ancora riuscito a scoprire quale sia la
pretestuosa, quanto creativa, motivazione che soggiace ad una
simile disparità, ma ormai la realtà ha sopravanzato di gran lunga
la fantasia… Basti pensare che per quanto la logica lascerebbe
supporre che le clausole di un trattato economico siano di natura
"altrettanto" economica, a El Salvador è stata imposta un clausola
che lo ha vincolato a promulgare una legge di estradizione, tale
per cui gli Stati Uniti possano rimpatriare quanti immigrati desiderano,
anche di seconda o terza generazione; il Guatemala è stato costretto
a recedere da tutti gli accordi commerciali precedentemente sottoscritti
col Brasile (per il semplice fatto che il governo di Lula non
è nelle grazie degli USA); infine all'Honduras è stata imposta
la più incredibile delle clausole ipotizzabili: il rilascio di
150 ufficiali arrestati negli anni '80, durante la guerra dei
Contras in Nicaragua (ex miliziani della dinastia dei dittatori
Somoza), mentre venivano addestrati sul suo territorio, dalla
CIA, per combattere i Sandinisti e ripristinare la più antica
delle dittature latinoamericane. Qualcosa però andò storto e l'Honduras
ebbe l'ardire di arrestarne un bel gruppo che da allora si trovano
là in prigione. Quale migliore clausola per l'entrata in vigore
di un Trattato di Libero Commercio che la loro immediata liberazione?
Dollarizzazione
dell'economia e frammentazione politica
Ma
la clausola più - economicamente e politicamente - penalizzante
per tutti è senza dubbio quella che ha imposto la sospensione
del processo d'integrazione monetaria e di unità politica centroamericana.
Nell'istmo infatti, da alcuni anni, era in atto un processo -
parallelo a quello europeo - finalizzato a creare una maggiore
unità politica e soprattutto l'integrazione monetaria. Il Parlamento
Centroamericano già esiste, mentre per il 2015 si prevedeva di
arrivare finalmente alla moneta unica. Speranza delusa: la clausola
imposta dagli USA ha sancito l'immediata sospensione di questo
processo; e la subordinazione (ancoraggio) delle monete nazionali
al dollaro. Nel caso di El Salvador la moneta nazionale - il Colon
- continua ad essere la divisa ufficiale, ma non viene più battuto
dalla Banca centrale che, anzi, l'ha ritirato: ogni operazione
viene ormai effettuata esclusivamente in dollari. E altrove è
andata peggio: se nel Salvador il cambio tra Colon e Dollaro è
ormai stabilito a 1 per 8,75, in Ecuador, nel 2000 il Sucre, è
stato "dollarizzato" a 1 per 25 mila, improvvisamente, dalla sera
alla mattina, impoverendo di colpo la classe media e provocando
l'insurrezione delle popolazioni indigene (già organizzate nella
CONAIE) che, grazie all'appoggio insperato, dei militari riuscirono
a rovesciarono il governo… ancora una volta però fu tutto inutile.
La
questione agraria: un male antico
La
storia delle "tentate" riforme agrarie latinoamericane è una lunga
scia di sangue. Fu così anche per quella annunciata nel 1979,
in El Salvador, da un governo frutto dell'ennesimo colpo di stato,
ad opera di giovani ufficiali progressisti, che si proponevano
di impedire - in extremis - lo scoppio dell'ormai inevitabile
guerra civile. Ma ancora una volta l'opposizione dell'oligarchia
- costituita allora da quattordici famiglie - fece fallire il
progetto e dette inizio ad un decennio di guerra che contò 90.000
vittime. Fra gli attuali tentativi, degno di nota è certamente
quello di Lula in Brasile, ma anche lui già sta facendo i conti
con le solite ostilità, aggravate da una congiuntura negativa
per l'agricoltura, legata essenzialmente alla produzione di caffè
e di cotone. Il mercato asiatico è infatti riuscito ad abbassarne
il prezzo a un punto tale che i latifondisti latinoamericani non
hanno più alcun interesse a coltivare: le terre vengono abbandonate
(ma non cedute!) e i braccianti restano disoccupati. Un ulteriore
problema riguarda anche noi ed è quello che, poche settimane fa,
capeggiava le prime pagine dei giornali: secondo uno studio sfuggito
- chissà come - al controllo delle imprese interessate, gli OGM
non sarebbero affatto innocui, come a lungo s'è voluto far credere,
ma "sicuramente tossici per gli organi interni dei topolini...
potrebbero esserlo anche per l'uomo". Restando sull'America Latina,
a parte il sempre possibile pericolo per la salute, gli OGM provocano
comunque, e anzitutto, una serie di gravi danni economici e biologici
all'agricoltura. In forza del trattato di libero commercio, infatti,
i paesi firmatari sono vincolati a coltivare soltanto "sementi
geneticamente modificate" che, essendo "brevettate", risultano
proibitive per le tasche dei contadini. E questi, non avendo alternative
(dal momento che le sementi native sono ormai proibite perché
"fuori legge"), sono ridotti alla fame. Il governo oltretutto
s'è preso gioco di loro, perché avendoli obbligati, per due anni,
a seminare inconsapevolmente OGM (fornito a basso costo da un'agenzia
controllata dallo stato), il terreno è ora diventato sterile a
qualsiasi altro tipo di coltivazione. Una delle caratteristiche
tipiche (e diaboliche) degli OGM è infatti quella di essere sterili
e sterilizzanti Dal punto di vista alimentare la situazione è
quindi la peggiore degli ultimi 25 anni. Lamentandosi, spesso
i contadini ci confidano che: "ai tempi di monsignor Romero soffrivamo
guerra e violenze, ma un po' di mais e fagioli li rimediavamo
sempre... oggi no!".
Il
"Debito" estero
Un
ulteriore aggravio della situazione centroamericana - come di
tanti altri paesi del sud del mondo - è oggi costituito dal cosiddetto
"Debito estero". Per esemplificare, restiamo sull'esempio del
Salvador, un paese in cui l'85% del PIL è rappresentato dalle
rimesse famigliari degli emigrati. Si stima che oggigiorno i salvadoregni
siano sei milioni in patria e due all'estero; il dato non è comunque
calcolato sulla base di un'anagrafe aggiornata, ma sulle rimesse
degli emigrati, che presumibilmente inviano ai propri famigliari,
in media, cento dollari al mese. Bene, il 75% della spesa pubblica
(ricavato dal "servizio" sulle rimesse) viene destinato a pagare
il cosiddetto "servizio di debito", vale a dire gli interessi
sull'ammontare complessivo del "debito estero". E poiché questo
onere costituisce ormai una catena "mortale" per molti paesi del
sud del mondo - non soltanto per quelli latinoamericani - vorrei
aprire una parentesi, per chiarire quanto in realtà sia fuorviante
parlare di "debito". Sì, perché, comunemente parlando, diciamo
"debito" per riferirci ad un prestito che bisogna legittimamente
onorare; ma in questo caso si tratta di una vera e propria speculazione
finanziaria, avvenuta alla fine degli anni '70 e i cui effetti
rischiano di prolungarsi all'infinito. A tale proposito, và reso
merito alla Chiesa italiana che nel 2000 si è impegnata a spiegare
la vera genesi del cosiddetto "debito"; peccato non abbia avuto
anche il coraggio di andare fino in fondo, proclamando il diritto
di quei paesi a non pagare.
Genesi
del "Debito"
Il
1973 fu l'anno della crisi petrolifera e dell'austerità, perché
i paesi produttori di petrolio (OPEC) quadruplicarono repentinamente
il prezzo del petrolio. Le banche si ritrovarono con enormi quantità
di liquido e di conseguenza crollarono i tassi d'interesse (fino
all'incirca al 5%), nel momento in cui cresceva vertiginosamente
l'inflazione. Divenne quindi necessario - oltre che utile e conveniente
- chiedere prestiti per sostenere l'economia. Fu così per alcuni
anni. Ma all'inizio del 1979 l'OPEC quintuplicò nuovamente il
prezzo del greggio (che arrivò quindi a costare 20 volte in più
rispetto al 1973). A questo punto, per restringere la quantità
di moneta e contenere l'inflazione, USA e Regno Unito aumentarono
unilateralmente il tasso di interesse - che era variabile - fino
al 30%, generando una dinamica surreale, perché l'interesse da
pagare in tre anni era ormai equivalente al prestito iniziale.
Quando poi, nel gennaio del 1980 la Federal Reserve (la banca
di Stato degli USA) apprezzò il dollaro ad una valore di cambio
che era il doppio di quello delle maggiori monete europee, gli
interessi di un solo anno arrivarono a superare l'intero prestito,
rendendo così l'estinzione del debito un'impresa proibitiva e
facendolo aumentare in maniera esponenziale col passare degli
anni. Per fare un esempio: un prestito di £.600.000 contratto
nell'autunno del 1978 ad un tasso di interesse del 5%, a gennaio
del 1980 produceva ormai un interesse di £. 660.000: solo per
interessi bisognava già pagare una cifra superiore all'intero
capitale ricevuto 15 mesi prima. Da allora il problema non sarebbe
più stato quello di pagare il prestito iniziale, ma gli esorbitanti
interessi ("servizio") che si sarebbero accumulati col tempo...
La crisi scoppiò già nel 1982, quando il Messico dichiarò la propria
impossibilità a pagare il "servizio del debito" e, a ruota, altri
debitori, in un imprevisto effetto domino, diffuso soprattutto
in America Latina, si dichiararono insolventi. Per reagire a questa
emergenza, che metteva in grave pericolo la situazione internazionale
nacque l'idea degli "aggiustamenti strutturali". I governi del
nord del mondo sollecitarono la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario
Internazionale ad intervenire. Vennero perciò definiti accordi
di riscadenzamento del debito, nei quali erano compresi nuovi
tempi di restituzione, nuovi prestiti per superare la fase di
crisi e provvedimenti di politica economica di ispirazione liberista,
che il governo debitore si impegnava a mettere in atto. Con l'aggiustamento
strutturale la comunità finanziaria internazionale impose ai paesi
debitori alcune riforme economiche, quali la liberalizzazione
completa del mercato interno e l'eliminazione di tutte le eventuali
forme di protezione; la liberalizzazione del tasso di cambio e
la riduzione ai minimi termini della spesa pubblica, per definizione
improduttiva.
Il
debito oggi
A
tutt'oggi il debito ammonta a 2.597 miliardi di dollari e il servizio
del debito pagato nel 2004 ammonta a 373 miliardi di dollari.
Una cifra, che sebbene non fantascientifica per le casse dei paesi
ricchi, costituisce una catena perpetua per quelli poveri, che
si traduce concretamente nell'impossibilità per le nazioni più
povere di combattere la fame e ogni genere di malattie che stanno
falciando il pianeta. Da qui l'appello vigoroso di Giovanni Paolo
II ed il sussulto di molte coscienze civili. Ma sono solo ragioni
di ordine solidale e morale a spingerci a chiedere la cancellazione
del "debito"?
Perché
cancellare
Anzitutto,
una questione di giustizia prima che di solidarietà. Secondo l'economista
Riccardo Moro: "se si ricalcolano le somme dovute e le somme restituite
utilizzando come unità di misura non il dollaro, ma un paniere
di monete che tenga conto delle variazioni di valore di tutte
le monete, comprese quelle locali, si ottiene che per quasi tutti
i paesi il debito è stato già restituito completamente, e in qualche
caso anche più volte, dunque nulla più è dovuto". Poi una ragione
storica. "Nel periodo del colonialismo il Sud del mondo, e in
particolare l'Africa, è stato defraudato delle proprie ricchezze
naturali. Nessuno ha tenuto una contabilità di quanto è stato
sottratto. In prospettiva storica le popolazioni del Nord sono
debitrici verso quelle del Sud di valori letteralmente "non restituibili"".
Infine, una ragione di convenienza. "Liberare i paesi dal peso
del debito consentirebbe loro di destinare a investimenti produttivi
le risorse oggi usate per la restituzione del capitale e il pagamento
degli interessi". A queste va pure aggiunta una ragione di natura
politica. Il cosiddetto "debito" nella maggior parte dei casi
non è stato contratto da organismi democraticamente eletti nei
paesi del sud e non è andato a beneficio delle rispettive popolazioni.
E' stato invece richiesto da regimi dittatoriali per l'acquisto
di armi, impiegate nel reprimere la popolazione civile (e chi
ha concesso i prestiti lo sapeva!). Oggi il denaro destinato al
pagamento del "servizio" del "debito" è sottratto alle spese sociali
(alimentazione, sanità, scuola…), colpendo così ulteriormente
- in termini di denutrizione, morte e analfabetismo… - proprio
quelle popolazioni che avrebbero tutto il diritto di chiederci
persino il risarcimento dei danni morali, ammesso e "concesso"
che il diritto, nella nostra concezione, abbia ancora un valore
universale!
Gli
aggiustamenti strutturali
Ai
paesi gravati dal "debito estero" gli organismi internazionali,
tra cui il FMI, stanno dettando una serie di aggiustamenti che
impropriamente vengono chiamati "strutturali". Ho detto impropriamente…
in effetti da un po' di tempo anche le parole mutano di significato.
Per esempio: l'espressione "operazione chirurgica" non indica
più esclusivamente l'operato di un medico, ma anche il bombardamento
a tappeto delle popolazioni civili. Così fare una "operazione
strutturale" a casa mia significherebbe semplicemente aggiustare
finestre o porte, abbattere o innalzare muri… ma in questo caso
significa privatizzare gli ospedali e chiudere le scuole. In America
Latina uno dei principali problemi odierni è proprio quello degli
aggiustamenti strutturali. Nel Salvador, ad esempio, da anni,
stanno tentando di privatizzare la sanità: ma così l'85% dei salvadoregni
resterebbe senza uno straccio di assistenza sanitaria. Contro
questo tentativo di privatizzazione nel 2003, per 10 mesi, sono
scesi in sciopero, manifestando nelle strade, centinaia di medici
e infermieri (tutta gente che peraltro meriterebbe il premio Nobel
per la medicina, per quanto riesce a compiere avendo a disposizione
praticamente nulla). La reazione del governo fu quella di varare
un "piano di contingenza", grazie al quale riassunse - in sostituzione
degli scioperanti - una serie di medici e infermieri che negli
anni precedenti erano stati licenziati per abuso di alcool, droga
e violenze sessuali. Quando poi lo sciopero finì, costoro mantennero
il posto riconquistato, mentre la gran parte dei migliori sanitari
del paese finì negli ospedali militari, a far nulla, se non ad
essere controllati dai militari. In conclusione nel primo trimestre
2003, negli ospedali salvadoregni si è registrato il 30% di morti
in più rispetto all'anno precedente. Detto questo vorrei sottolineare
che stiamo parlando del Salvador, non di un paese sub-sahariano…!
Messico
e nuvole
Per
spostare la nostra attenzione leggermente più a nord, nel febbraio
2001, con un gruppo di attivisti del "Coordinamento dei comuni
comaschi per la Pace", abbiamo realizzato un monitoraggio sui
diritti umani in Messico. Orbene: se si va in Messico con passaporto
da turista ci si può recare dove si vuole, ma se si entra con
lo speciale visto - appositamente rilasciato dal governo federale
- per "osservatori dei diritti umani" si può visitare esclusivamente
quello che decidono loro. Quanto a coerenza, non c'è che dire!
Avevamo comunque deciso di recarci in tutti i luoghi che sapevamo
essere di crisi, a costo di venire espulsi, come già era successo
ad altri prima di noi. Ma qui venne il bello… si fa per dire!
I servizi segreti, pur standoci visibilmente alle calcagna, ci
permisero di scorazzare per ogni dove, lasciandoci incontrare
anche quelle realtà che evidentemente avrebbero preferito negarci.
Il mistero cresceva di ora in ora. L'ultima sera, in aeroporto,
abbiamo scoperto il perché. Avevamo convocato una conferenza stampa,
abbastanza convinti che andasse deserta, invece, con nostra sorpresa,
era affollatissima e vi era persino una rete televisiva. Alle
nostre richieste di spiegazioni, dopo qualche imbarazzo, una giornalista
ci spiegò che negli stessi giorni era presente una delegazione
del governo italiano a "monitorare il rispetto dei diritti umani",
quale "clausola sociale" imposta da un ennesimo Trattato di Libero
Commercio: questa volta tra l'Unione Europea (Venere) e il Messico.
Era quindi logico che non volessero "incidenti" con degli italiani…
Non basterebbe un pomeriggio per raccontare quel viaggio: mi limito
ad un episodio. Proprio in quell'ultima sera, quando già stavamo
chiudendo i bagagli, ci chiamarono per incontrare due donne, due
lavoratrici, che si erano fatte 50 chilometri a piedi per chiedere
solidarietà. Undici loro compagni, erano stati arrestati durante
uno sciopero pacifico, con sit-in, davanti al "bananero" in cui
lavoravano, per ottenere qualche miglioramento del loro trattamento
(avevano infatti una paga irrisoria). Il principale problema lamentato
dalle donne erano le deprecabili condizioni carcerarie. A colpirmi
di più fu il fatto che, in prigione, per avere diritto alla cella,
bisognasse pagare mille pesos; in alternativa si era tenuti all'aperto,
in cortile, con degli sbalzi termici da paura, notte e giorno,
senza mangiare e sbrigando i lavori peggiori, come la pulizia
delle latrine. In quella situazione di promiscuità, esposti a
molteplici pericoli, entrare in carcere equivaleva a ipotecare
la fine. Per potersi permettere anche il peggiore degli avvocati
servivano infatti altri mille pesos… e capite bene come per gente
che ne guadagnava 17 al giorno fosse un'impresa impossibile. No
so se rendo l'idea: sto parlando del Messico… non dell'Afghanistan!
Il paragone con l'Afganistan è invece emerso prepotente quando,
occupandoci della sanità in Salvador, stavamo progettando con
Emergency l'apertura di un ospedale. Ci abbiamo lavorato per due
anni. Gino Strada era tra l'incredulo e il furioso per essere
riuscito ad aprire due ospedali in Afghanistan, sotto il regime
dei talebani e altri due in Iraq, al tempo di Saddam Hussein,
mentre non ci concedevano di aprirne uno nel "democratico" El
Salvador: ma così è stato! Nel quadro di un progetto generale
di privatizzazione, l'ultima cosa che evidentemente vogliono,
è che qualcuno vada ad aprire ospedali di ottima qualità, dove
la gente sia curata gratuitamente. Quanto al Chiapas (Messico),
le forze in gioco sono arrivate ad un punto morto e purtroppo
il tempo gioca a favore del governo. E' successo che, dopo la
fiammata iniziale, gli zapatisti (insorti per rivendicare i diritti
calpestati degli indigeni e la salvaguardia dell'ambiente) hanno
avuto problemi anche al loro interno, tra il vertice e la base,
perché questa voleva concentrarsi sulla gestione dei municipi
conquistati (i cosiddetti Municipi Autonomi), mentre la "Comandancia"
nel 2002 ha tentato di fare un salto di qualità per passare ad
un livello politico più alto, organizzando una marcia che attraversasse
l'intero paese fino ad approdare a Città del Messico. L'iniziativa
però non conseguì i risultati sperati e la situazione è ora di
stallo. Anzi, in alcuni casi, lo stesso contrasto esistente tra
le diverse fazioni che si affrontano a livello nazionale, si riproduce
anche all'interno dei cosiddetti "municipi autonomi", controllati
dagli indigeni. Il problema è che a lungo andare queste tensioni
logorano le forze e la situazione diventa faticosa da sostenere.
Inoltre, coloro che hanno fatto il grosso del lavoro, anche a
livello ideale, stanno inevitabilmente invecchiando: lo stesso
subcomandante Marcos - che già da vent'anni si trova all'interno
della selva Lacandona - avrà ormai una cinquantina di anni. Se
consideriamo che il Che riteneva che dopo i 40 anni per un guerrigliero
è meglio dedicarsi ad altri compiti, di supporto, perché fisicamente
non si ha più la prestanza necessaria e si rischia di diventare
un peso... Già nell'estate 2001, il presidente statunitense Bush
stava esercitando forti pressioni sul presidente messicano Fox
perché arrivasse alla soluzione finale con gli zapatisti, ma gli
attentati dell'11 settembre hanno distratto la sua attenzione.
Così ogni possibile soluzione rimane sospesa e la situazione appare
cristallizzata in un equilibrio alquanto precario; ma la necessità
di risolvere la "questione Chiapas" rimane con tutta la sua urgenza
e drammaticità, perché secondo i progetti del Plan Puebla-Panamá,
proprio da quella regione dovranno passare le grande arterie di
comunicazione che collegheranno il nord ed il sud del continente:
autostrade e ferrovie.
La
cinica violenza del potere
In
conclusione, credo che per renderci conto di quanto succede davvero
nel mondo dovremmo riuscire a perdere la nostra "verginità mentale".
Il nostro problema infatti è questo: essendo persone - tutto sommato
- "normali" e "civili" ci ostiniamo a pensare che anche gli altri
non possano essere tanto peggiori di noi e perciò continuiamo
istintivamente a ritenere delle fandonie, delle esagerazioni ideologiche,
molte delle cose che ci vengono raccontate semplicemente perché
sono vere. L'altro giorno in una libreria di Corso Buenos Aires
mi è capitato tra le mani un'edizione del manuale di tortura della
CIA, esposto sugli scaffali come se fosse la cosa più normale
di questo mondo! Già il rapporto "Guatemala nunca mas", curato
e pubblicato dalla Chiesa guatemalteca nel 1998, analizzava le
torture inflitte nei villaggi rurali del paese spiegando come
fossero state elaborate nelle facoltà sociologiche degli USA e
come fossero stati proprio degli antropologi a indicare il tipo
di tortura adatto alle diverse etnie. Così, per esempio, le donne
che venivano violentate non erano quelle destinate ad essere uccise,
perché la violenza serviva a far nascere bambini "bastardi" per
mettere in crisi il futuro dell'etnia. - Vi garantisco che nonostante
ritenessi di esserci preparato, ho faticato non poco a leggere
quel testo e i documenti correlati, sino alla fine -. Quando poi
nel 1997 il presidente USA Clinton ha aperto gli archivi della
CIA, sono emersi una serie di documenti che hanno confermato,
anche dall'altro versante, quanto già si sapeva e si è sentito
in dovere di recarsi a chiedere pubblicamente perdono al popolo
guatemalteco per quanto successo. Che io sappia è stato l'unico
caso, in America latina e nel mondo, in cui un presidente degli
Stati Uniti abbia fatto pubblica ammenda delle atrocità commesse
dal suo paese. Perciò ho detto che per poter credere che certe
cose siano davvero possibili, è necessario perdere una certa verginità
mentale… Lo stesso tipo di atteggiamento mentale dovremo assumerlo
nei confronti di questo sistema economico. Oggigiorno i peggiori
serial killer non sono quelli che ammazzano venti, cento… persone,
ma quei signori che, con tanto di camicia bianca e cravatta, sotto
i riflettori di tutte le telecamere del pianeta, si fregiano di
firmare trattati e accordi di ogni genere, ben sapendo che quei
documenti decreteranno la morte di qualche centinaio di migliaio
di persone. Questi non sono "incidenti di percorso"… sono morti
pianificate, di massa, premeditate e perciò da ritenersi a tutti
gli effetti "crimini contro l'umanità".
Alberto
Vitali
1.
"Il pollicino d'America" come viene soprannominato per le sue dimensioni
2. Si calcola che ve ne siano altri 2-3 milioni all'estero. Il computo
è fatto non già in virtù d'una anagrafe attendibile - inesistente
- ma sulla base dei soldi che entrano mensilmente nel paese, valutando
che ogni migrante invii mensilmente 100$, come rimessa famigliare
(Testo
trascritto dell'intervento tenuto nell'ambito di un seminario
organizzato dall'Associazione Culturale Punto Rosso e promosso
dalla provincia di Milano,
il 23 maggio 2005)
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