Il viaggio delle illusioni

                                                                    



di Emma Nuri Pavoni

L'uomo da sempre emigra, infatti le migrazioni sono uno dei fenomeni storici più diffusi. Le cause di questi spostamenti umani sono molteplici; la guerra può essere definita tra le più importanti, spesso determina la mobilitazione di centinaia di migliaia di profughi; le scoperte geografiche che nei secoli hanno popolato interi continenti; la tratta degli schiavi con il conseguente trasferimento forzato di un numero incalcolabile di persone da un continente all'altro; anche le motivazioni religiose hanno spinto popoli interi alla migrazione come nel caso della diaspora ebraica o delle religioni imposte dallo stato; ci sono poi i disastri naturali che determinano spostamenti di massa più o meno temporanei. Inoltre l'uomo da sempre emigra alla ricerca di migliori condizioni di vita, questo è particolarmente evidente in un'epoca di globalizzazione dove le differenze di reddito tra Sud e Nord del mondo si sono fatte più importanti.

Negli ultimi 50 anni la ricchezza prodotta complessivamente nel mondo è aumentata di ben 9 volte e consentirebbe, se equamente distribuita tra gli abitanti della terra, una vita dignitosa ad ogni essere umano. Una stima media stabilisce in 5.200 dollari il reddito annuale pro-capite, una somma che per i poveri del pianeta resta un miraggio: infatti è pari al doppio del reddito pro-capite dei paesi dell'Est europeo, del Medio Oriente e quattro volte superiore a quello dei paesi del Nord Africa o dei paesi asiatici dell'ex-Unione Sovietica. Per quanto sia innegabile che siano stati fatti progressi a beneficio di gran parte della popolazione mondiale (ad esempio, più dei tre quarti della popolazione dei paesi in via di sviluppo può oggi sperare di oltrepassare i 40 anni di vita; oltre il 60% di essa ha accesso ai servizi sanitari di base; negli ultimi trent’anni l’analfabetismo tra gli adulti è diminuito nel mondo del 50% e la mortalità infantile di circa i tre quinti), lo sviluppo umano, al pari di quello economico, non è equamente ripartito, per cui le differenze tra aree povere ed aree ricche del pianeta si fanno sempre più evidenti. Circa 1,3 miliardi di persone del sud del mondo (pari a più del 20% dell’intera popolazione mondiale) vive con meno di un dollaro al giorno, il che impedisce di soddisfare i bisogni primari mentre nei paesi ricchi sono aumentate le risorse destinate al superfluo. E’ inoltre alto il livello di disoccupazione nel mondo; oltre 110 milioni di persone in età lavorativa, mentre 700 milioni ricevono salari inferiori al livello di sussistenza. Se l’andamento resterà immutato, nel giro di 10 anni i disoccupati nel mondo saranno 900 milioni, di cui la maggior parte nei paesi poveri.

Questi dati mettono ampiamente in discussione la vecchia teoria sostenuta per anni dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali, secondo la quale lo "sviluppo" avrebbe automaticamente sradicato qualsiasi tipo di povertà. Dall’altro lato negli ultimi anni sono state sperimentate con successo alcune strade, come l’utilizzo delle rimesse degli immigrati, le esperienze di microcredito e la proposta del commercio equo e solidale. Grande protagonista di questi tentativi è il popolo migrante sparso in tutto il mondo; si calcola che ormai abbia superato abbondantemente i 130 milioni di persone.

Come rilevato dall’ultimo "Dossier Statistico Immigrazioni" della Caritas, molti sono i fattori che influiscono sulle migrazioni internazionali.

Per quanto riguarda l’inizio dei flussi migratori tre sono gli aspetti più importanti:

  1. la differenza tra il tenore di vita del paese d’origine e quello di destinazione, in termini di reddito pro-capite, ma anche in termini di qualità, come la sicurezza, la libertà di scelta, l’accesso all’istruzione e agli altri servizi pubblici essenziali, le condizioni di alimentazione e di salute, la speranza di vita;
  2. la crescita demografica nel paese d’origine, la quale, se particolarmente elevata, rende sempre più difficile la riduzione degli squilibri sociali.
  3. le diverse condizioni osservabili nei rispettivi mercati del lavoro, in particolare le prospettive di lavoro attese nel paese di destinazione confrontate con la cronica situazione di disoccupazione/sottoccupazione nel paese d’origine.

Alla continuazione dei flussi, una volta iniziati, sono state date molte spiegazioni:

  • secondo la teoria delle reti migratorie chi è emigrato prima, facilità il percorso di chi intende emigrare, fornendo anzi tutto informazioni e quindi assicurando l’accoglienza e aiutando per la ricerca di un posto di lavoro;
  • vi sono numerose strutture, a livello pubblico e privato, che aiutano e sostengono il movimento migratorio, anche illegittimamente.

Inoltre negli ultimi vent’anni altri fattori hanno favorito l’aumento della mobilità:

  • sono aumentate le differenze di opportunità lavorative e di salario tra le nazioni "centrali" e quelle periferiche;
  • è diminuita nei paesi industrializzati la disponibilità di manodopera a causa del declino della popolazione;
  • sono diminuiti i costi dei viaggi;
  • è diventato più stretto il collegamento tra le nazioni a seguito della globalizzazione dell’economia (liberalizzazione, espansione del commercio e del turismo, impatto delle multinazionali);
  • i mass-media hanno diffuso anche nelle parti più lontane del mondo l’esistenza di opportunità lavorative;
  • l’aumentato livello di formazione ha allargato gli orizzonti degli interessi e ne ha favorito la mobilità.

Il Dossier sottolinea anche, che non sono le situazioni di estrema povertà il fattore principale dell’emigrazione, collegata invece ad una certa disponibilità finanziaria. Un livello troppo basso di reddito riduce la possibilità di migrare, perché questa decisione comporta l’utilizzo di risorse, spesso notevoli. In merito a questo grande fenomeno sociale, innanzi tutto si deve capire che le migrazioni non sono un problema. La vera questione consiste, invece, nel portarne al massimo i benefici, legando migrazioni e sviluppo, evitando che gli interessi degli stati più ricchi e potenti prevalgano sugli altri. Dalle migrazioni guadagnano, non solo i paesi di partenza ma anche quelli d’arrivo. Al contrario, si tende a sottovalutare l’apporto dato dagli immigrati, specialmente quanto questi sono irregolari, inquadrati di solito negativamente e fatti oggetto di reazioni xenofobe e razziste. I flussi irregolari sono andati aumentando, paradossalmente, a partire dagli anni ’70 con l’entrata in vigore di politiche restrittive in molti paesi, le cui economie peraltro hanno continuato ad avere bisogno di questa manodopera generica per il settore informale e meno tutelato. E’ irreale ritenere che in futuro l’accoglienza venga data solo a migranti specializzati, dei quali i paesi di vecchia industrializzazione sentono il bisogno e i paesi d’origine non possono non risentirne la perdita. La pressione migratoria è notevolmente peggiorata da quando hanno iniziato ad operare su larga scala i trafficanti di manodopera. Un ventennio di politiche restrittive ha insegnato che queste non bastano a contenere un esodo provocato da grandi squilibri strutturali, semmai aggravano il problema.

L’Italia, storicamente popolo di migranti, oggi guarda con grande preoccupazione i gommoni che attraccano alle sue coste, gli extracomunitari che circolano nelle grandi città, ritenendoli una minaccia per i posti di lavoro. Ma sarebbe opportuno, prima di lanciare grida d’allarme osservare attentamente lo scenario europeo. Sono 18 milioni i migranti insediati nei Paesi dell’Unione Europea, pari al 5 per cento della popolazione dei residenti. Non sono però equamente distribuiti, infatti in Germania, Belgio e Austria raggiungono il 9 per cento; in Francia il 6,3 per cento; in Svizzera il 18 per cento; in Italia solo il 2,8 per cento. C’è inoltre da sottolineare che l’Italia ha uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo, sceso a 1,2 figli per donna tra il 1995 e il 2000 e destinato forse a risalire a 1,47 fra il 2020 e il 2025: di questo passo, entro il 2050 la popolazione nazionale scenderà a 41 milioni di abitanti. La percentuale di persone sopra i 65 aumenterà dal 18 al 35% con ovvie conseguenze negative sul sistema pensionistico. Da ciò si deduce che gli italiani restano un gruppo etnico in via d’estinzione, e da oggi al 2050, per conservare l’attuale popolazione nazionale, il nostro paese dovrà accogliere 12,9 milioni d’immigrati.

 

Aree continentali di provenienza degli immigrati nel nostro paese

totale

%

stima Caritas

Europa

556.567

40,1%

676.229

Africa

385.630

27,8%

468.540

Asia

277.644

20,0%

337.337

America

164.942

11,9%

200.405

Oceania

2.519

0,2%

3.061

Totale

1.388.153

100,0%

1.686.606

fonte: Elaborazioni Caritas/Dossier Statistico Immigrazione 2001 su dati Ministero dell'Interno

 

4 PRINCIPALI FASCE DI REDDITO PER ABITANTE NEL MONDO

  • zone con un PIL pro-capite superiore ai 20.000 dollari Usa: Giappone (38,2), Unione Europea (23,3), altri paesi dell’Europa occidentale (35,2), America del Nord (28,1), Australia (20,5). In questo contesto rientra, in particolare, anche l’Italia (20,2), mentre tra i paesi ricchi soltanto Israele e la Nuova Zelanda si attestano su una cifra che si aggira "appena" intorno ai 16.000 dollari.
  • zone con un PIL pro-capite di circa 3.000 dollari Usa: Europa dell’Est (2,7), Vicino e Medio Oriente (2,6), Estremo Oriente e Sud Est asiatico (3,9).
  • zone con un PIL pro-capite di circa 1.000 dollari Usa: Nord Africa (1,3) e paesi asiatici dell’ex-Urss (1,2).
  • zone con un PIL pro-capite inferiore ai 1.000 dollari Usa: Africa sub-sahariana (0,2-0,3) e Subcontinente indiano (0,4).


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