Il
popolo della Pace è in cammino. Il fatto è inconfutabile, con
buona pace - è proprio il caso di dirlo - di tutti i lacchè del
potere e gli intellettuali da palazzo, che si lanciano in improbabili
sofismi per sminuire, sbeffeggiandolo, un fenomeno che certo infastidisce
i loro padroni: li preoccupa e nondimeno li logora, d'invidia,
perché alle manifestazioni di segno opposto certi numeri se li
possono soltanto immaginare! E la Marcia Perugina-Assisi per la
Giustizia e la Pace, svoltasi lo scorso 11 settembre, è stata
un'ulteriore conferma - se ancora ce ne fosse bisogno - di quanto
le statistiche dicono secondo i crismi delle ricerche scientifiche…
ma, molto più, si percepisce quotidianamente nei discorsi della
gente.
Quanto alle prime, l'indagine sui movimenti globali e le loro
manifestazioni, condotta dal progetto Demos - realizzato da sette
atenei europei coordinati dalla dott.sa Della Porta e dal dott.
Pianta - ha recentemente evidenziato come questi contino ormai
milioni di persone nel mondo, grazie ad una struttura a rete che
coinvolge al tempo stesso una pluralità di individui e organizzazioni.
Soltanto negli ultimi due anni e mezzo - cioè a partire dalla
primavera calda della mobilitazione contro la guerra in Iraq -
hanno promosso più di settanta eventi, in prevalenza nel sud del
mondo.
Tutto ciò è stato possibile grazie ad una maggiore disponibilità
nell'utilizzo delle cosiddette nuove tecnologie ed una crescente
capacità di interrelazione delle società civili dei diversi paesi;
ma il vero punto di forza di questi fenomeni, certamente rilevanti
e giornalisticamente appetibili, và piuttosto cercato in quel
forte anelito alla pace con giustizia e dignità, che pervade la
coscienza della maggioranza delle donne e degli uomini del nostro
tempo, chiede di essere interpretato e crea occasioni per potersi
esprimere. Un anelito che, per le sue proporzioni, risulta inclassificabile
nei vecchi schemi. Sempre esposto al rischio di vedersi squalificato
con diverse etichette o rivendicato sotto diversi marchi di proprietà,
resta però libero di avanzare su diversi terreni: le lotte contro
la fame, le malattie, le guerre, i terrorismi, l'imperialismo,
la devastazione della natura, le discriminazioni di genere e diversità…
La piattaforma, che la Tavola della Pace ha chiesto di approvare
ai partecipanti a quest'ultima Marcia, rappresentava proprio lo
sforzo di sintetizzare questi diversi obiettivi, sensibilità e
lotte, esprimendoli in un linguaggio comune: "Mettiamo al bando
la miseria. Mettiamo al bando la guerra. Riprendiamoci l'ONU".
Questa è stata in definitiva la sua forza, ma anche la sua fragilità,
come generalmente lo è anche per il popolo della Pace. Sì, perché
sognare, reclamare e additare un mondo "al plurale", cioè una
società plurietnica e pluriculturale, non significa tout-court
essere capaci di realizzarla. E trovare punti comuni, che si rivelino
sufficientemente forti per servire da base nella lotta contro
questo sistema genocida ed ecocida, implica necessariamente la
disponibilità a mettersi in discussione, a parlare una pluralità
di linguaggi, a saper utilizzare registri diversi in momenti diversi,
coscienti che per loro natura questi saranno molto più ristretti
delle rispettive piattaforme. Ma anche che rappresentano solamente
un punto di partenza e non d'arrivo. Che ci vorrà del tempo e
che andranno messi in conto fallimenti e sacrifici, ma soprattutto
che in un mondo sempre più globalizzato, dove in primis globalizzato
è il potere, continuare in ordine sparso per la soddisfazione
di sentirci puri e duri, sarebbe il regalo più grande che potremmo
mai fare ai padroni di turno. Sognare un "altro mondo possibile"
deve necessariamente significare qualche cosa di più che non la
semplice coesione di mondi "diversi" che non si pestano i piedi…
All'Arena di Verona, il 30 aprile 1989, un grande testimone dei
nostri tempi, don Tonino Bello, ricordava alle migliaia di persone
che lo stavano ad ascoltare che: "Pace non è la semplice distruzione
delle armi. Ma non è neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti
i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola
insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze, appunto".
E' questa convivialità, o se si vuole questo con-vivere, vivere
"insieme" e non semplicemente "nonostante", ad essere - mi sembra
- la sfida più grande per i popoli e, al loro interno, per le
diverse anime alternative, in questo momento.
Anch'io avrei preferito parole molto più forti contro tutti gli
interventi armati - non soltanto quello in Iraq - ma se questo
ci permette di manifestare "insieme", per un giorno, anche con
persone meno "organizzate", meno connotate politicamente o ideologicamente…
pur condividendo le nostre stesse aspirazioni alla giustizia e
alla Pace, perché no?! Certo la Marcia non esaurisce l'ambito
del nostro impegno: parlando in altre sedi, a titolo personale
o delle nostre rispettive organizzazioni, lo faremo utilizzando
anche quei termini risparmiati ad Assisi. Del resto la situazione
politica italiana, degli ultimi anni, sta lì a dimostrare il bel
risultato d'aver ignorato le "masse"… magari d'averle pure snobbate,
ritenendole capaci soltanto di calcio e telenovele; d'aver parlando
- spesso anche a sinistra - un linguaggio da iniziati, lontano
dall'odierno sentire comune, il solo percepito dalla maggioranza,
per quanto poco "coscientizzato" ci possa apparire. La tentazione
di affermare nei grandi proclami che spetta solo al popolo essere
protagonista del proprio riscatto, di un futuro alternativo e
sostenibile (quante volte lo abbiamo ripetuto dal Chiapas a Porto
Alegre?)… per poi rifugiarci in circoli ristretti e ben collaudati,
è sempre lì, dietro l'angolo. E l'errore sarebbe fatale. Perché
l'unica vera forza rimasta in campo è la coscienza della gente.
Se nel mercato è evidentemente la consapevolezza del consumatore
a fare la differenza - e tante campagne di boicottaggio lo hanno
dimostrato - lo stesso vale in politica, tanto nei nostri paesi
ancora tutto sommato democratici, quanto su scala mondiale. Perché
i potenti e gli organismi finanziari internazionali sanno bene
di non poter tirare troppo la corda; sono perfettamente coscienti
che un sistema osteggiato dal dissenso di una maggioranza organizzata
è quanto di più instabile possa esserci. E le marce servono principalmente
a questo: a diffondere coscienza tra la gente che ne entra in
contatto; quanto al potere rivendicativo, sono da loro considerate
poco più che delle scampagnate.
E - forse in controtendenza - quello che più ho apprezzato della
piattaforma di Assisi è stato l'aver messo al primo posto la lotta
contro la miseria. Certo, sarà meno ideologicamente stimolante
della lotta alla guerra, ma 24.000 morti al giorno di fame, senza
contare lo sterminio causato dall'inacessibilità ai farmaci &…
nemmeno tutte le guerre in corso al momento (un centinaio) messe
insieme, riescono a farli! E se mi fanno ridere certe accuse di
buonismo, piovute anche da alcune rispettabili personalità di
sinistra - forse perché è da tempo che il semplice urlare non
mi mette più la coscienza a posto… - quello che invece mi preoccupa
è la miopia del non riuscire a vedere che i problemi del mondo
vanno ben oltre l'imperialismo gringo. Certo le politiche economiche
ed estere statunitensi - di cui penso tutto il male possibile
- ne sono il primo attore, ma il problema non si risolve lì. E'piuttosto
quello di un sistema che genera morte, sfornando fame e miseria,
oltre ad ogni genere di violenza. E allora, puntare anzitutto
il dito sulle politiche neoliberiste che negano il diritto alla
sopravvivenza, con ogni genere di esclusione dal mercato dei piccoli
produttori del sud del mondo; che difendono un sistema iniquo
di proprietà intellettuali; che varano ogni genere di barriere
protezionistiche e, in nome dell'aiuto all'agricoltura, alterano
il mercato mondiale e continuano a praticare il dumping; che nonostante
migliaia di promesse perpetuano la catena oppressiva del cosiddetto
"debito estero"… mi sembra alquanto prioritario. La guerra è funzionale
a tutto ciò. E l'ONU, con tutti i suoi limiti e contraddizioni,
è il solo punto di partenza possibile tra gli organismi internazionali.
Non a caso è ciò che gli USA, non solo snobbando da tempo, ma
si sono seriamente impegnati a sputtanare. Perché - con buona
pace di chi, anche su questo, ha preso (legittimamente, non lo
nego) le distanze - un mondo senza alcun organismo di governo,
nemmeno formale; un mondo privato del diritto internazionale…
diverrebbe una sorta di Far West planetario: proprio ciò a cui
anela il governo USA, per imporsi quale sceriffo universale, attorniato
dalla sua posse. Ed è esattamente ciò che dobbiamo evitare, se
vogliamo un mondo caratterizzato non dalla Pace dei cimiteri,
ma da quella della giustizia. Per questo però è necessario fare
un passo in avanti, anche rispetto a noi stessi: oltre ogni vecchio
orticello ideologico o campanilismo politico. L'ormai antico monito
del buon Carletto e dell'amico Friedrich oggi forse suonerebbe
cosi: "Alternativi di tutti i paesi, unitevi!"…
Sapremo raccogliere questa nuova sfida?
Alberto
Vitali
(articolo
apparso sul periodico in rete "Lavori in corso", a cura
dell'Associazione Culturale Punto Rosso, n°2 - settembre 2005)
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