La guerra non è un film



Intervento "doloroso, ma necessario", estrema ratio per il ripristino della sicurezza internazionale… Enduring freedom, Iraqi freedom, e poi… operazioni chirurgiche, bombe intelligenti, attacchi mirati? No: "odore di sangue e merda!". L'espressione - indubbiamente forte e ce ne scusiamo con i lettori, ma l'umanità di questi tempi ha ben altro da farsi perdonare - è del chirurgo italiano Marco Garatti. Dettata, certamente, da una forte carica emotiva, è però la convinzione di chi la guerra non l'ha vista dal salotto buono di "Porta a Porta" o da quello dell'"Infedele"; tantomeno dallo studio ovale della Casa Bianca o dal "sopra" dei B52 (i famigerati bombardieri statunitensi), ma, molto più realisticamente, dal "sotto" delle popolazioni civili. Da quell'angolatura particolare e privilegiata di chi un attimo prima deve scappare come un topo, per non finire spiaccicato, e subito dopo correre ad infilarsi un paio di guanti, nel tentativo estremo di riparare, almeno in parte, al danno compiuto, rimettendo insieme i pezzi di quanto ancora respira. Marco, operatore di Emergency, è dunque "di parte" e lo siamo anche noi: "ingenuamente" quanto irriducibilmente e indistintamente schierati dalla parte di tutte le vittime; oltre qualsiasi "se" e "ma"… E perciò, allo stesso tempo, indistintamente schierati contro tutti i signori delle guerre - macellai dell'umanità - veri e propri criminali di guerra: anche quelli che mai compariranno davanti a qualche corte internazionale, perché, si sa, ai vincitori è sempre stata e ancora sarà garantita l'impunità. E mentre scrivo, la guerra contro l'Iraq è in corso da dieci giorni. "Contro l'Iraq": meglio sarebbe dire contro la sua popolazione, perché - nonostante alcune notizie, poi smentite - al momento non è morto alcun esponente del regime di Bagdad, ma solo povera gente… A nulla sono valsi gli sforzi diplomatici dell'ONU, il lavoro degli ispettori, la voce tonante di un papa che per l'occasione sembra aver ricevuto da Dio un supplemento di forze. Nemmeno la chiara presa di posizione (trasversale a tutte le preferenze politiche) delle popolazioni di quegli stessi stati che - snobbando il diritto internazionale - hanno deciso di andare in guerra per imporre il proprio concetto di democrazia. Il 15 febbraio 2003, infatti, ben 110 milioni di persone hanno manifestato nel mondo contro la guerra e quasi tutte le manifestazioni si sono svolte in paesi più o meno coinvolti nel conflitto: ma la supposta democrazia non dovrebbe fondarsi proprio sulla sovranità popolare? Così, a distanza di pochi giorni, le vittime si contano a migliaia: come sempre in prevalenza civili, oltre che militari dell'una e dell'altra parte… Le bombe, certamente intelligenti, ma agli ordini di eminenti imbecilli, hanno già ripetuto lo scempio di Sarajevo, centrando questa volta due mercati e una moschea, nell'ora di preghiera del venerdì, con inevitabile strage di civili. Le immagini che ci giungono - manco a dirlo - sono scarse e in parte censurate con l'alibi del "rispetto" per le vittime e per i telespettatori. Ipocrisia mista a convenienza! Personalmente resto del parere che l'unico modo di rispettare le "vittime" sarebbe quello di non renderle tali; quanto invece ai noi telespettatori (fatta salva la fascia di tempo protetta, per la tutela dei minori), credo che essendo cittadini sovrani, avremmo il "dovere" (non il diritto) di sapere quanto stiano compiendo a nome nostro; di conoscere e "vedere" anche il più piccolo e increscioso dettaglio, per essere pienamente consapevoli di quello di cui stiamo parlando quando ci pronunciamo sulla guerra… Tanto per non confondere una partita a Risiko con il bombardamento di un villaggio, dove il pianto silenzioso di una bambina, terrorizzata, orrendamente ferita e improvvisamente senza famiglia, rimane il più implacabile atto d'accusa di Dio contro una "umanità" che tollera ancora tali abomini! Anche perché la guerra non è mai questione di pochi: se quanti l'hanno voluta ad ogni costo ne risponderanno "di fronte a Dio, alla loro coscienza e alla storia" - come ha prontamente sentenziato il Vaticano - anche quelli che, in un modo o nell'altro, persistono nel giustificarla e a sostenerla ideologicamente, non possono sperare di farla franca. Ma, intanto, ancora tuona il cannone e la tragica contabilità di questi tempi cresce di ora in ora. Se le statistiche dicono comunque poco, nella loro astrattezza, molto di più parlano i volti, i vuoti, le storie di gente come noi, a cui qualcuno vorrebbe perfino rinfacciare il fatto di essere "troppo" come noi. "E a quel papà che stringe al petto la bambina dalla gamba stroncata, il marine con tessera giornalistica abbaia tre volte la stessa domanda: "Ma siete sicuri che non stavate vicino alla casa di Saddam?", tanto per far sapere a tutti che non crede che è gente del quartiere, che qua sono tutti bugiardoni come Saddam, come gli arabi. A momenti si convince che anche i bambini di otto anni spezzati o ustionati sono soldati travestiti… Abbas Ali ha 4 anni ed è una bruciatura dalla faccia ai piedi. Sembra una maschera di carnevale veneziano. Non si lamenta. Guarda con occhi larghi la muta dei flashanti. La notte scorsa quando col babbo stava rientrando in macchina è stato beccato da un missile che lo ha trasformato in zolfanello. Russel Salem è una bimbetta bellissima, da film di Comencini. A Russel un terrorista volante ha portato via metà pancia. Omar Ali ha otto anni e - racconta un medico sconvolto più del più sensibile tra noi - stava in casa quando il botto da B52 gli ha scaraventato addosso una vetrata che gli ha affettato le due gambe. In Iraq dal 1992 non facciamo che vedere bimbetti agonizzanti o lancinati dai dolori negli ospedali iracheni. Tanti ne sono morti. Cosa diceva la Albright? Che 500mila bambini uccisi da embargo e uranio sono un giusto prezzo per la sconfitta di Saddam", scriveva Fulvio Grimaldi il 24 marzo u.s. su Liberazione. Per questo i combattimenti infuriano a Bassora, Nassirya, Mosul, città colpevoli di non volersi arrendere; ree di ingratitudine verso i loro "liberatori" per non aver preparato quelle bandierine festanti che i media del sistema avrebbero voluto mostrare a tutto il mondo, per mistificare questo ennesimo atto di aggressione… Ma la guerra non è solo bombardamenti o assedio. E' anche impiego di armi di distruzione di massa: da quelle batteriologiche di Saddam (che stavano cercando da 5 mesi gli ispettori dell'ONU; ora ci provano i militari, con lo stesso risultato) a quelle tanto più semplici dei nostri alleati, come sospendere il programma alimentare "Oil for Food", ben sapendo che da ciò sarebbe dipesa la sopravvivenza della stragrande maggioranza della popolazione… Almeno fino a quando esigenze d'immagine non hanno obbligato gli USA a chiederne (all'ONU!) il ripristino immediato, spacciandosi così per benefattori dell'umanità. Come poi si possa realizzare, dal momento che non si sono affatto preoccupati di salvaguardare il benché minimo corridoio umanitario, non si sa; ma in fondo questo è un dettaglio insignificante, perché "in occidente" saranno certamente in pochi a rendersene conto. E - incredibile a dirsi - c'è anche di peggio: un'arma ancora più letale, semplice, ma di sicura "distruzione di massa". E cioè la chiusura dei rubinetti dell'acqua, ovvero far saltare i depuratori! L'intera città di Bassora, un milione e mezzo di persone, è da giorni senz'acqua potabile: restano in funzione solo tre dei sei generatori che alimentano le pompe cittadine, ma solo per erogare "acqua altamente inquinata, salata e non potabile, che porterà malaria, difterite ed epidemie", secondo la denuncia della Croce Rossa Internazionale. E non solo a Bassora. Nelle ultime ore, in una piccola cittadina portuale nel sud dell'Iraq, l'arrivo di appena dieci autobotti con acqua potabile, per una popolazione di 20.000 persone, ha ricreato gli incresciosi presupposti di una ennesima lotta tra poveri, provocata dalla inadeguatezza degli aiuti. Stessa scena in altri villaggi, per la distribuzione alimentare a gente che ben conosce le conseguenze delle carestie: il tutto nonostante l'allarme lanciato per tempo dall'UNICEF, che aveva ammonito: "mancherà presto l'acqua in tutto l'Iraq. Se questo succederà sarà una delle più devastanti catastrofi umanitarie della storia". Inoltre, secondo la stessa agenzia dell'ONU, "100 mila bambini al di sotto dei 5 anni sono in pericolo di vita a Bassora e un milione e mezzo di minori lo sono in tutto il paese". Il resto è cronaca di queste ore… delle ore in cui i lettori leggeranno queste righe; è storia che non avremmo mai più voluto vedere! E in questo scenario apocalittico, c'è ancora chi trova il tempo - ed il coraggio! - di elaborare sofisticati "distinguo", mossi dalla preoccupazione di "non correre il rischio di venire strumentalizzati" o peggio di cadere in non meglio precisate "derive ideologiche", spingendosi troppo avanti nella protesta. L'avanguardia di tali sottili pensatori è certamente rappresentata da alcune testate giornalistiche, di provata fede liberale e da alcuni media cattolici, che da anni ne hanno sposato la causa. Ma a farci più soffrire è il fatto che tali "disquisizioni" con relativi sospetti stiano avvenendo anche all'interno di certi settori ecclesiali, nonostante le perentorie prese di posizione del papa (sottoposte ad infinite interpretazioni e rimaneggiamenti… nonostante la loro chiarezza); e non solamente da parte dei soliti "conosciuti", ma persino da personalità che non cessano certamente di godere della nostra stima e fiducia. Così mentre il papa, rivolgendosi ai cappellani militari lo scorso 25 marzo, ha dato un'ulteriore prova della sua lucidissima capacità di discernimento storico nel definire il movimento a favore della pace: "Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la guerra come strumento di risoluzione delle contese tra gli stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità, fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore. Il vasto movimento contemporaneo a favore della pace traduce questa convinzione", ci troviamo al contempo pressati, da altre parti, da moniti generici che sembrano voler tacciare indistintamente tutti di "ingenuo e/o scorretto pacifismo". L'invito ad un attento discernimento è certamente legittimo, ma l'eccessiva persistenza, ed i toni del detto/non detto, del non-espresso ma fatto intuire, lasciano trasparire qualche cosa di più… finanche un vero e proprio giudizio. E se questa sarà certamente una questione importante da riprendere e affrontare all'interno delle associazioni, dei movimenti, delle parrocchie, e perfino a livello ecclesiale più ampio, ciononostante il momento che stiamo vivendo non mi sembra il più opportuno per dilungarsi a pesare e bilanciare. Come ammoniva don Tonino Bello - grande profeta della Pace e presidente di Pax Christi - ci sono momenti in cui determinati "ambienti dovrebbero fare del verbo di Cristo il principio architettonico di ogni scelta, a costo di sbagliare per eccesso". Del resto, la possibilità di una contaminazione all'interno di questo movimento da parte di qualche sopravvissuto aspetto dell'ideologia comunista, mi sembra ben oltre le possibilità storiche del tempo che stiamo vivendo… se di questo si tratta! Al contrario il materialismo e l'edonismo, con la loro possibile e reale deriva ateistica - preoccupazione non solo lecita, ma opportuna - mi sembrano, oggi, piuttosto propinati dall'ideologia neoliberale, che però è su posizioni belliciste. Bisognerà invece uscire dal gioco delle parole e dirsi chiaramente in faccia quello che si teme, quello che si può o non si può accettare… Il nostro è piuttosto un pacifismo critico, fondato sulla fede e la giustizia del Regno di Dio; che giudicando da questa prospettiva le guerre attuali, identifica le loro cause ultime nelle ingiustizie sociali ed economiche da cui è flagellata l'umanità di oggi; disparità che vengono perpetrate dall'attuale sistema economico. In questo siamo guidati da un attento studio della dottrina sociale della Chiesa (Populorum progressio, Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis, Centesimus Annus, Evangelium Vitae… oltre a tutti i discorsi pronunciati dal papa nell'anno del Giubileo) che sfocia inevitabilmente nella condanna totale e inappellabile dell'uso della guerra per risolvere i conflitti, magistralmente e autorevolmente pronunciata da Giovanni XXIII nella Pacem in terris (67), e ribadita in questi giorni da Giovanni Paolo II (vedi sopra). Potremmo addirittura dire - al paradosso - che il nostro pacifismo si radichi nella stessa teoria della "guerra giusta", la quale contemplava il criterio di proporzionalità tra il male causato e quello che si vorrebbe evitare e l'incolumità dei civili, che solo accidentalmente sarebbero potuti restare vittime del conflitto. Ora invece, date le percentuali di oggi - almeno il 93% delle vittime dei moderni conflitti appartiene alla popolazione civile - siamo ben oltre quei limiti, e lo stesso Card. Ratzinger, prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina e la Fede - ribadendo, ancora una volta, le dichiarazioni del papa - ha escluso che la "guerra preventiva" possa rientrare in alcun modo nella tipologia della "guerra giusta". Su questo punto anche il Card. Tettamanzi è stato categorico nel suo intervento al convegno promosso dalla Diocesi di Milano sulla "Pacem in terris": ""no" al drammatico ampliamento dei tradizionali limiti morali e legali della causa giusta per includervi l'uso preventivo della forza militare per abbattere regimi pericolosi o per affrontare il problema delle armi di distruzione di massa". Quanto poi al pericolo che i diversi movimenti presenti nelle medesime piazze possano contaminarsi tra loro, perdendo le rispettive identità, ci sentiamo in buona coscienza di tranquillizzare tutti. Il confronto sulle differenze è presente tra noi fin da prima delle manifestazioni del luglio 2001 a Genova. Sono chiare e ben accette a tutti. Riteniamo inoltre che non esista metodo migliore di quello del dialogo, del confronto continuo, per averle sempre più chiare e poter condividere con altri tratti significativi di cammino, senza per forza cucinare "minestroni indistinti". Del resto, se gli apostoli si fossero lasciati paralizzare da questa preoccupazione non sarebbero mai usciti dal cenacolo di Gerusalemme e addio missione! Su questo vorremmo tranquillizzare anche e soprattutto i "tuttologi" (o politologi, che dir si voglia), gli opinionisti, gli editorialisti, i salottieri: non ci limiteremo ad esporre le bandiere della pace! Così come non faremo sconti, a nessuno, sulla pelle degli innocenti: nemmeno in questi tempi in cui i governi - USA docet! - si mostrano ben disposti a contraccambiare con magna "gratitudine" ogni appoggio - o perlomeno ogni freno posto a qualsiasi forma di opposizione - nei confronti della guerra. Per dirla tutta, siamo anche un po' stufi di certe accuse (peraltro sempre le stesse: almeno un po' di creatività!): di emotività, irrazionalità, superficialità… che meriterebbero soltanto di essere ignorate, se di questi tempi non si ripresentassero puntuali ad ogni immagine di bambino ferito. A questo proposito, certo, dovremmo aprire una riflessione "epistemologica", per chiederci se davvero le reazioni emotive non fanno parte delle nostre facoltà cognitive, se è possibile - e soprattutto se ha senso - pretendere una conoscenza oggettiva della realtà, che non implichi la soggettività: personalità, valori etici, esperienza religiosa… del soggetto pensante, ma qui non c'è lo spazio per farlo, e francamente mi sembra ben oltre le possibilità di tanti talk-show, giocati su generali in pantofole, soubrette scosciate e "intellettuali" del momento. Mi limito a contestare che proprio perché ragioniamo ci rifiutiamo di attribuire una qualsiasi giustificazione a certi crimini. Che per accettare il terrore negli occhi di chicchessia - peggio ancora di un bambino - o la mutilazione, la morte, di miglia di persone (ma anche di una sola) non bisogna superare l'emotività, ma la capacità stessa di ragionare: bisogna cioè esser diventati completamente scemi. Ma a questo punto ci sarebbe ancora rimedio? Forse soltanto in una qualsiasi Bagdad, nel bel mezzo di un bombardamento: chissà se il sibilo di una bomba intelligente, o quell'odore di sangue che dal naso si cronicizza nel cervello, avrebbero il potere di riattivare qualche neurone?! Intanto però abbiamo ben altro a cui pensare e vogliamo fare tesoro prezioso, per questi tragici giorni, dell'invito e dell'incoraggiamento, contenuti nella lettera scritta dal Card. Tettamanzi alle parrocchie della Diocesi milanese: "Carissimi! Anche in questa gravissima e inaccettabile situazione, dovremmo continuare ad essere "sentinelle della pace"! Proprio in tempo di guerra, infatti, la missione delle sentinelle si fa più preziosa e necessaria. Da sentinelle vigili e accorte, dovremmo dunque: condannare questa guerra e chiedere che finisca, utilizzando anche ogni mezzo democratico per far sentire la nostra voce e incidere sull'opinione pubblica; continuare a praticare il dialogo e il perdono, nella convinzione che essi hanno un valore giuridico e politico anche nei rapporti tra gli Stati; non perdere mai la fiducia nel Signore, ma rinnovarla ancora di più, intensificando l'impegno della preghiera, della penitenza e della carità; convertire il nostro cuore e intercedere perché si converta il cuore di quanti non hanno fatto abbastanza per evitare la guerra e di quanti l'hanno caparbiamente voluta".

Alberto Vitali



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