La globalizzazione di Dio

 



La globalizzazione è la vocazione dell'umanità nel progetto di Dio. Questa coscienza è presente nella Bibbia fin dai primi capitoli del libro della Genesi, dove, riflettendo sulle origini del cosmo e dell'uomo, gli autori del testo sacro parlano di un'unica coppia originaria e di un unico giardino, affidato alle sue cure. I particolari del racconto non sono casuali: vogliono infatti sottolineare come nel progetto di Dio, l'umanità non sia una semplice somma di infiniti individui, ma un'unità fortemente coesa, che condivide, nella comune origine, l'immagine divina ed è portatrice di un compito collettivo: quello di custodire il creato, perché tutti possano beneficiarne equamente, realizzando una comunione perfetta tra le creature ed il loro Signore. Le cose, sappiamo, andranno diversamente: gli uomini si divideranno, fino a diventare nemici; comparirà la gelosia, che genera violenza e omicidio (Gn 3); i popoli si separeranno, non comprendendo più gli uni le lingue degli altri (Babele - Gn 11) e si "eserciteranno nell'arte della guerra" (Is 2,4) per difendere i propri interessi. Ma questa rovina sarà opera della "legge del peccato" (Rm 7,25), non del volere di Dio! Egli al contrario non rinuncerà mai al progetto insito nella creazione, e la storia della salvezza sarà scandita dal suo costante intervento nelle vicende umane, per salvare ciò che ormai sembrava irrimediabilmente perduto: la possibilità di una vera comunione tra gli uomini, che potesse garantire loro di giungere a piena maturità. Se l'uomo infatti fu creato a "immagine e somiglianza di Dio", potrà trovare la propria realizzazione solo nella comunione perfetta di tutto il genere umano. Don Tonino Bello, già vescovo di Molfetta, ammoniva: "Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano un solo Dio. Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere così intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l'uomo nuovo: Cristo Gesù". Molti i passi dell'Antico e del Nuovo Testamento indicano questo compimento nella meta verso cui Dio conduce l'umanità. Il profeta Isaia annuncia che, alla fine dei tempi, Jahweh convocherà tutti i popoli sul "monte del tempio del Signore" per condividere un grande banchetto, durante il quale egli asciugherà le lacrime da ogni volto ed essi finalmente si riconosceranno, perché "il Signore toglierà i veli che ora ricoprono i loro volti" (cfr. Is 25,6-8). A questa convocazione universale fa riferimento anche Gesù quando, ammirato della fede del centurione, dice ai discepoli: "Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli" (Mt 8,11). Giovanni, in Apocalisse 7, racconta di una visione nella quale ha contemplato "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello"… Sono molti i testi che potremmo ancora citare e nessuno di essi ha valore solamente escatologico, cioè riferibile unicamente al destino futuro ed eterno dell'umanità: vogliono piuttosto indicare all'uomo quale sia il suo compito, qui ed ora. In altre parole per entrare nella comunione eterna bisogna iniziare a costruire da subito rapporti universali di giustizia, solidarietà, condivisione… cioè di comunione. Così lo Spirito, effuso a Pentecoste (At 2), permette ai discepoli di farsi comprendere da tutti, parlando un linguaggio universale, quello dell'amore, e genti diverse tornano a formare un solo popolo: la grande famiglia di Dio! Caratteristica di questa nuova creazione è la ritrovata condivisione: "Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno" (At 2,44-45). Ecco il compimento della creazione, costantemente riproposto da Dio a tutti i popoli: vivere sulla terra come una sola "globale" famiglia. Vivere "globalmente" la solidarietà, nella distribuzione dei beni e la responsabilità, nella custodia del creato. Ma è evidente che questo modello di globalizzazione non ha nulla a che vedere con quello che ci viene proposto - o meglio imposto - ogni giorno. Esistono quindi modelli diversi di globalizzazione, non solo alternativi, ma del tutto incompatibili, ed è importante saperli distinguere ed analizzare, per poter esprimere un giudizio cristiano su di essi. Questa precisazione ci aiuta inoltre a comprendere la principale mistificazione del nostro tempo, per cui esisterebbe un unico modello di globalizzazione, sola possibile via al progresso dei popoli. Quando infatti i "grandi", o i loro vassalli, parlano di globalizzazione, lo fanno in termini assoluti, dimenticando sempre… l'aggettivo! Ma se esistono modelli differenti di globalizzazione - come esistono differenti filosofie economiche - allora devono necessariamente esistere anche nomi diversi - e relativi aggettivi - che permettano di distinguerli e riconoscerli: proprio ciò che si vuole evitare! Di notte, si sa, tutti i gatti sono bigi… Come l'antico Israele proibiva di pronunciare il nome sacro di Dio e usava termini più generici per evocarlo, così i nuovi cultori del dio denaro, non nominano mai il loro idolo più prezioso, quel sistema che gli permette di commerciare senza regole, che pone il loro profitto al di sopra di tutto e la dignità dei popoli allo "sgabello dei suoi piedi": il "Neoliberismo". Da esso l'attuale processo economico, che gestisce le economie mondiali mediante l'unificazione dei mercati, sotto il giogo del cosiddetto "Debito Estero", prende il nome di "Globalizzazione neoliberale". Ed eccoci finalmente al nocciolo della questione: da cristiani non può farci problema il sostantivo, ma l'aggettivo: non rifiutiamo la "globalizzazione" dell'umanità, con il suo progresso, le scoperte tecniche e scientifiche, le conquiste sociali e civili, ma non possiamo accettare, anzi dobbiamo rifiutare - per coerenza con la nostra fede - che ciò avvenga a scapito dei tre quarti del genere umano e dell'ambiente, secondo i dettami di una dottrina finanziaria palesemente contraria al progetto e alla legge di Dio. Dobbiamo confutare l'affermazione pretestuosa secondo cui non vi sarebbe alcuna possibilità di progresso al di fuori di questo modello, ricordando ai soliti "pochi" interessati che l'umanità si è evoluta, dai tempi antichi fino a poche decadi fa, senza di esso, ma sviluppando ogni sorta di arte, cultura e scienza; e se oggi qualche cosa c'è che mette seriamente in pericolo il futuro del pianeta, è proprio l'abuso indiscriminato e accelerato delle risorse ambientali, propugnato dal modello neoliberale. Ma è soprattutto il genocidio quotidiano, deplorato ma pianificato, che costringe l'ottanta per cento dell'umanità a sopravvivere con appena il 20% delle risorse, e condanna di conseguenza a morte milioni di persone per fame e malattia, a costituire un'imprescindibile rifiuto etico. All'inizio del Terzo Millennio Cristiano, milioni di persone muoiono di fame a causa dell'estensione dei latifondi, mentre in Europa la gente viene tranquillizzata dalla "sicura" provenienza della carne, che lì viene prodotta o dalla bellezza dei frutti, costati i polmoni di migliaia di piccoli lavoratori, obbligati ad inalare nocivi antiparassitari. Duemila anni di cristianesimo non sono bastati per impedire alle case farmaceutiche di interrompere la produzione di alcuni farmaci "salva-vita", poco redditizi sul mercato, perché destinati a curare malattie presenti solo nelle regioni povere del mondo. Così facendo condannano a morte milioni di persone che non possono permetterseli, nella rassegnazione o peggio nell'indifferenza generale. L'elenco sarebbe interminabile, tragico, ma… evitabile. I costi che l'umanità sta pagando a questo modello economico non sono una fatalità: niente è lasciato al caso, tutto è calcolato. Date certe premesse si hanno precise conseguenze. Per evitare queste, si può solo cambiare le prime, cioè le regole del gioco, dell'economia… rinunciare ai propri ingiusti, quanto pazzeschi, interessi e rendere a ciascuno il suo. La terra è come una torta da dividere: se non lo si fa in parti giuste - per puntare al massimo profitto -, i morti di fame sono voluti. Per questo non sono credibili il ministro Ruggero e il governatore della Banca d'Italia, Fazio, quando dichiarano che al vertice dei G8 ci si preoccupa di migliorare le condizioni di vita sul pianeta; e il secondo è perfino grottesco quando afferma che la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale sono accusati ingiustamente, mentre in realtà si sforzerebbero di risolvere la situazione. Intendiamoci: è vero che si sforzano di ridurre l'entità del Debito, ma a modo loro, continuando ad esigere dai governi dei paesi più poveri l'attuazione dei cosiddetti "aggiustamenti strutturali", che fuor di metafora significa: tagli alla sanità, all'istruzione, alla spesa pubblica. E ci riusciranno!… non c'è da dubitare che di questo passo ci saranno molte meno bocche da sfamare… Intanto però qualcosa sta cambiando: in modo ancora scomposto, va sorgendo una coscienza che attraversa tutti i settori della società. I "grandi" ma "pochi" vengono sempre più contestati ai loro illegittimi summit: illegittimi perché di fatto costituiscono un organismo alternativo e superiore a quello dell'ONU nella gestione del mondo. Nessun popolo ha voluto né votato democraticamente questa "istituzione" (che non lo è, ma agisce come se lo fosse). Nessun parlamento democraticamente eletto ha mai discusso la sua approvazione, ma essi esistono e decidono le sorti del mondo. Qualcuno rimane ancora impressionato dalla guerriglia che si scatena ogni qualvolta si riuniscono, ma sempre più numerosi sono coloro che condannano apertamente le loro firme, poste su documenti sfavillanti, tra sorrisi e fotografi, vere sentenze di morte per milioni di persone. E a turbare i sogni dei più moderati, dei benpensanti che preferiscono ignorare, e vorrebbero relegare la coscienza e la religione entro lo spazio limitato del tempio, si aggiunge ora, forte, quasi inattesa, la voce autorevole della Chiesa. In verità, Giovanni Paolo II, è tornato più volte in passato su questi temi, ma sempre lo hanno lasciato parlare, pensando che in fondo fosse il suo mestiere. Sui grandi principi peraltro siamo tutti d'accordo… Ma ora la Chiesa sembra pestare i piedi. Nelle scorse settimane l'agenzia cattolica Sir, promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, ha lamentato che "un assordante silenzio ha seguito il recente discorso del papa alla Pontificia Accademia per le Scienze Sociali sui rischi della globalizzazione selvaggia. Forse perché ha messo il dito nella piaga, cioè sulle responsabilità di politici ed intellettuali". Inoltre la Sir sottolinea che le domande poste dal movimento antiglobalizzazione "non possono essere eluse" così come "non può essere liquidato come una questione di ordine pubblico il malessere che esprime quel movimento che si sta sviluppando dopo il vertice dell'Organizzazione mondiale del commercio di Seattle nel '99". Anche il Card. Tettamanzi, teologo morale (tra i più stretti collaboratori del papa in materia) e Arcivescovo di Genova, la città dove si terrà il prossimo incontro dei G8, intervistato da uno dei principali quotidiani nazionali e dal Tg della prima rete televisiva, ha ripetutamente affermato, senza mezze misure, l'inaccettabilità morale di questo modello di globalizzazione selvaggia e la fondatezza delle richieste avanzate dalle diverse anime del movimento antiglobalizzazione. Ciò nonostante i "grandi" proseguono per la loro strada e spendono miliardi per la loro incolumità personale. Possono stare tranquilli: in questi casi la polizia è sempre pronta a caricare, con ogni mezzo, a differenza di quanto avviene fuori dagli stadi, dove sono assalite persino le ambulanze, ma a finire in ospedale - in pericolo di vita - sono i giovani poliziotti: davvero non si capisce la logica della disparità di certi interventi ed è difficile allontanare il sospetto di una certa valenza ideologica. Comunque, per quanto possa sembrare di trovarci come Davide di fronte a Golia, anche nei palazzi le certezze vacillano. I più acuti analisti non hanno mancato di registrare una certa preoccupazione, non solo per l'ordine pubblico, da Seattle in poi. Il governo italiano - e chissà quanti lo seguiranno - si dice disposto al dialogo. Per parlare di cosa? Quale compromesso è possibile tra il denaro e la vita, tra "Dio e mammona"? (Mt 6,24) Per accordarci su una nuova percentuale di morti per fame - che certamente ci prometteranno di ridurre nel prossimo futuro - o solamente per evitare problemi a Genova? Domande retoriche, questioni pretestuose, ma segno inequivocabile che il colosso sta scoprendo d'avere i piedi d'argilla! (Dn 2,34)

Alberto Vitali



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