Giubileo 2000, consacrazione o denuncia
della globalizzazione capitalista
di
Giulio Girardi
La
domanda che ho posto al centro della riflessione sul giubileo,
"consacrazione o denuncia della globalizzazione capitalista?"
sorprenderà forse qualcuno. Giubileo e globalizzazione
sembrano infatti appartenere a due ordini diversi, anzi incommensurabili.
Il giubileo vuol essere una celebrazione essenzialmente spirituale,
quindi apolitica; la globalizzazione capitalista è un
processo economico e politico.Vorrei quindi chiarire il senso
del dilemma approfondendo il rapporto fra questa celebrazione
e questo processo.
Il primo problema che incontriamo su questa strada è
appunto la definizione del giubileo cattolico. Di questo evento,
Giovanni Paolo II ha compiuto una presentazione ufficiale nella
Lettera apostolica, datata dal 10 novembre 1994, con cui ha
avviato la sua preparazione. Essa vede il giubileo essenzialmente
come una riaffermazione, a duemila anni dall'inzio della cosiddetta
era cristiana, della centralità del cristianesimo nel
passato e nel futuro del mondo: dove il cristianesimo viene
identificato sostanzialmente con la chiesa cattolica romana.
Ma, ed è questo un segno dei tempi, è nata dalla
base cristiana una interpretazione diversa e in larga misura
opposta a quella ufficiale: questa interpretazione si diffonde
tra le comunità cristiane, ispirando la loro riflessione
e le loro iniziative, valorizzando gli spazi aperti dalle celebrazioni
ufficiali, abitualmente però senza esplicitare il contrasto
tra le due interpretazioni del giubileo. La domanda invece che
abbiamo sollevato, consacrazione o denuncia della globalizzazione
capitalista, ci impone di esplicitare tale contrasto nei suoi
aspetti teologici e nelle sue implicazioni economiche e politiche.
In effetti, l'interpretazione "popolare" del giubileo
assume come centro di
prospettiva e come progetto fondamentale per il terzo millennio
la liberazione dei popoli oppressi. Ma riconoscere questa centralità
alla luce della fede cristiana significa inevitabilmente denunciare
le alleanze passate e presenti del cristianesimo con i poteri
oppressori e quindi le sue complicità nella genesi dei
rapporti di dominio che caratterizzano la civiltà occidentale,
particolarmente i processi di globalizzazione neoliberale. Significa
, in altre parole riconoscere che di fronte alla crisi di civiltà
che attraversiamo, contrariamente a quanto proclamano le autorità
ecclesiastiche, il cristianesimo gerarchico è parte del
problema e non della soluzione.
Questo giudizio fortemente critico nei confronti del cristianesimo
è però formulato da molti cristiani proprio in
nome della loro fede; di questa fede rinnovata dal coinvolgimento
nelle lotte di liberazione delle persone e dei popoli; di questa
fede quindi che riscopre la sua sorgente nel messaggio sovversivo
di Gesù e nelle testimonianze dei suoi primi discepoli.
Per cui il giubileo popolare non vuol essere un'esaltazione
del cristianesimo storico, ma da un lato, la denuncia del tradimento
che esso rappresenta e dall'altro la riscoperta del movimento
di Gesù, considerato non come la soluzione ai problemi
del nostro tempo, ma come una ricca sorgente d'ispirazione della
ricerca.
Abbiamo così chiarito, mi pare, il senso del dilemma
che vorrebbe provocare la nostra riflessione: il giubileo 2000
consacrazione o denuncia della globalizzazione capitalista?
Se infatti il giubileo istituzionale, esaltando il cristianesimo
storico, diventa una consacrazione del processo di globalizzazione
imperiale, in cui esso è coinvolto, il giubileo popolare
rappresenterà un impegno straordinario dei cristiani
per la riscoperta ed attualizzazione del cristianesimo originario
e al tempo stesso, nella stessa logica, una loro mobilitazione
, al fianco di tutti i combattenti per la libertà, per
l'istaurazione di una nuova civiltà. Scopriamo così
lo stretto legame fra interpretazioni del giubileo, concezioni
del cristianesimo e progetti di civiltà.
Il
quinto centenario, celebrazione o contestazione radicale?
Un punto di partenza molto illuminante per cogliere il senso
di questo contrasto è il conflitto che esplose in occasione
del V centenario della cosiddetta "scoperta dell'America"
e della cosiddetta "prima evangelizzazione" del continente.
Si contrapposero allora due interpretazioni: il centenario celebrazione
e il centenario contestazione radicale. Propugnavano la celebrazione
la Spagna, l'Italia e le altre potenze del Nord, che guardano
la storia dal punto di vista dei conquistatori; che, pertanto,
considerano la "scoperta dell'America" come un "incontro
di culture" e come uno straordinario progresso nella storia
della civiltà. Propugnava la celebrazione anche la gerarchia
cattolica, che preparò il '92 con un solenne novenario
(di nov e anni). Essa infatti , guardando la storia dal punto
di vista del suo proprio progresso, percepiva nella "prima
evangelizzazione" l'apertura di orizzonti nuovi ed immensi
alla diffusione del cristianesimo ed all'affermazione del potere
ecclesiastico nel mondo.
Il punto di vista della gerarchia cattolica coincideva quindi
con quello dei conquistatori di ieri e di oggi nel considerare
quella svolta storica essenzialmente come un progresso. Anzi,
Giovanni Paolo II proclamò allora apertamente la continuità
tra la "prima evangelizzazione" , quella dei conquistatori,
e la "nuova evangelizzazione", promossa dalla chiesa
di oggi.
Inv ece, qualunque celebrazione fu respinta con indignazione
dagli indigeni coscientizzati e ribelli. Essi innescarono la
"campagna continentale 500 anni di resistenza indigena,
negra e popolare", proclamando: "Non abbiamo nulla
da celebrare. Ciò che per i conquistatori rappresenta
un grande progresso è stato per noi l'inizio del genocidio
fisico, politico, economico, culturale e religioso." I
cristiani, cattolici ed evangelici, che si ispirano alla teologia
della liberazione, non ebbero dubbi nell'assumere, alla luce
della loro scelta per gli oppressi come soggetti, il punto di
vista della resistenza indigena, negra e popolare: questa presa
di posizione si espresse in moltissime esperienze di base e
particolarmente nel movimento macroecumenico denominato "assemblea
del popolo di Dio". Al fianco della resistenza indigena,
negra e popolare, noi denunciammo la conquista come un delitto
di lesa umanità, destinato a perpetuarsi nei rapporti
di dominio che hanno caratterizzato la modernità. Denunciammo
anche la "prima evangelizzazione" per la sua complicità
con questo crimine e per la mistificazione del vangelo che essa
rappresentò, soffocandone la carica liberatrice e trasformandolo
in strumento di colonizzazione, di asservimento e di rassegnazione.
Il conflitto esploso nel '92 tra due orientamenti nei confronti
del quinto centenario era quindi espressione di due contrastanti
interpretazionidel messaggio cristiano, imperniate rispettivamente
sulla centralità della chiesa gerarchica e la centralità
dei popoli oppressi. Il segno di contraddizione tra i due modelli
di cristianesimo era il diritto di autodeterminazione solidaria
dei popoli oppressi, che la teologia della cristianità
negava in nome del diritto sovrano di Dio , mentre la teologia
della liberazione era impegnata a difenderlo., come espressione
della sua scelta di campo per gli oppressi come soggetti.. Pertanto
i due modelli di cristianesimo erano coerenti con due progetti
antagonisti di civiltà, imperniati il primo su rapporti
di dominio tra i popoli, il secondo sul riconoscimento del diritto
di autodeterminazione solidale.
Il giubileo 2000, esaltazione o contestazione del cristianesimo
istituzionale?
Desidero ora mostrare come il conflitto esploso nel 92 intorno
alla celebrazione del V centenario si stia riproducendo oggi
a proposito della celebrazione giubilare e delle sue implicazioni.E'
infatti evidente la profonda continuità tra i due avvenimenti.
Nel '92 si trattava di celebrare i 500 anni di evangelizzazione
dell'America Latina; nel 2000 si tratta di celebrare i 2000
anni di evangelizzazione del mondo: ora tra gli ultimi 500 anni
e i 1500 che li hanno preparati esiste una sostanziale continuità,
particolarmente evidente a partire dalla svolta costantininana.
E' inoltre naturale che i criteri , centralità della
chiesa o centralità dei popoli oppressi, con cui venne
formulata la valutazione cristiana dei 500 anni rimangano vigenti
quando ad essere valutati sono i duemila anni di questa civiltà.
Abbiamo ora gli elementi per cogliere il senso della lotta ideologica
e teologica in atto all'interno delle celebrazioni giubilari.
Per Giovanni Paolo II, come abbiamo ricordato, esse sono destinate
ad essere fondamentalmente un solenne riconoscimento della centralità
storica dell'evangelizzazione e quindi , in particolare, della
chiesa cattolica romana, che ne è la protagonista. L'afflusso
a Roma , a Piazza San Pietro, di pellegrini di tutto il mondo,
è l'espressione reale e simbolica di questo riconoscimento.
A Roma si celebrerà il congresso eucaristico mondiale;
a Roma e intorno a Roma si compiranno le più importanti
manifestazioni di ecumenismo.
L'evangelizzazione di cui si tratta di riconoscere la centralità
e che viene assunta come criterio nella valutazione delle civiltà
è quella che la chiesa ha compiuto storicamente, sulla
base delle sue alleanze con il trono: con l'impero romano prima,
con i vari imperi cristiani lungo il medio evo, con i conquistatori
e colonialisti dell'età moderna, con le potenze occidentali
nella lotta anticomunista contemporanea.
Secondo Giovanni Paolo II, le grandi tappe della storia uma-na
sono segnate in ogni popolo e continente dal "cammino di
Cri-sto", cioè dall'evangelizzazione; in funzione
della loro fedeltà o infedeltà all'evangelizzazione
vengono valutate le varie civiltà. Essa è sempre
considerata un grande progresso, anzi una nuova nascita, come
è avvenuto tipi-camente, pensa il papa, per quanto riguarda
l'America Latina. In nessun momento egli allude al fatto che
l' evangelizzazione ha spesso coinciso con la conquista e la
colonizzazione; che essa quindi non è stata al-lora un
annunzio di liberazione, ma uno strumento di asservimento e
di soffocamento dei popoli. Nessun accenno egli dedica, nel
bi-lancio dei due millenni, al ruolo storico assolto dal cristiane-smo
come legittimazione dei rapporti di dominio e quindi nella genesi
dell'attuale divisione del mondo. In nessun momento pertanto
egli prospetta la necessità che la stessa evangelizzazione
sia sottoposta, dal punto di vista etico e religioso , dal punto
di vista evangelico, ad un giudizio critico.
Valutata con il criterio ecclesiocentrco, la storia occidentale,
attraversata da luci ed ombre, è però fondamentalmente
luminosa, perché illuminata dalla "luce di Cristo";
così la storia di ognuno dei popoli occidentali, al cui
centro si trova il momento nel quale essi vennero investiti
da questa luce. Con tale criterio, il papa, in occasione della
sua visita a Cuba, ha interpretato la storia di quel popolo,
dimenticando il fatto, discretamente segnalato da Fidel Castro
nel suo discorso di benvenuto, che la cosiddetta "luce
di Cristo"aveva accompagnato e in qualche modo giustificato
il genocidio delle popolazioni originarie dell'isola.
Inoltre, la prospettiva cristianocentrica induce papa Wojtyla
a dimenticare che la civiltà occidentale cristiana è
una piccola regione della storia, cui rimane estranea la maggior
parte dell'umanità. Come applicare il criterio dell'evangelizzazione
nella valutazione della storia di quei popoli che, come per
esempio l'India, non l'hanno ricevuta o che l'hanno rifiutata
perché la consideravano e la considerano strumento di
colonizzazione?
I cristiani che rifiutano oggi il giubileo come esaltazione
del cristianesimo e della sua centralità storica si muovono
nella stessa logica che nel '92 li aveva indotti a respingere,
al fianco della resistenza indigena, negra e popolare, le celebrazioni
del V centenario. E' infatti evidente ai loro occhi, come abbiamo
ricordato, la continuità tra gli ultimi 500 anni ed i
1500 che li hanno preparati. E' anche evidente, che il criterio
per valutare i duemila anni non può essere fornito dai
"progressi dell'evangelizzazione".
Questo criterio è invece fornito dal riconoscimento degli
oppressi come soggetti storici: il quale impone di convolgere
nello stesso giudizio e nella stessa condanna gli ultimi 500
anni ed i 1500 che li hanno preceduti, segnati in larga misura
da rapporti di dominio. Tale criterio detterà un giudizio
fortemente critico anche nei confronti di quel cristianesimo,
che , alleandosi con i poteri imperiali, è stato coinvolto
nella genesi e la legittimazione dei rapporti di dominio, ed
ha ritenuto di dover riprodurre nella sua organizzazione i rapporti
gerarchici ed autoritari che caratterizzano le potenze imperiali.
Questo stesso criterio imporrà ai discepoli di Gesù
di far esplodere la contraddizione fra il cristianesimo costantiniano
e quello delle origini; fra la chiesa gerarchica e il movimento
di Gesù; imporrà quindi loro di trasformare il
giubileo in un impegno collettivo per la riscoperta , la rivalutazione
e l'attualizzazione di quel movimento.
L'immagine infatti, che stiamo riscoprendo, del movimento di
Gesù, contraddice radicalmente l'immagine dei cristianesimi
isituzionali di oggi, cattolici ed evangelici, segnati in forme
diverse dalle loro alleanze con i poteri oppressori e pertanto
coinvolti nella genesi e la giustificazione del processo di
globalizzazione capitalista. Contraddice la teologia della cristianità
elaborata a partire da queste alleanze e riaffermata dalla chiesa
cattolica e da altre chiese nel contesto della secolarizzazione.
Contraddice la struttura monarchica e gerarchica,sacerdotale
e maschilista che le chiese dette cristiane sono venute assumendo
lungo i secoli, riproducendo nella loro organizzazione l'autoritarismo
dei poteri con cui si erano alleate. Contraddice la concezione
della comunione ecclesiale prevalente oggi nelle chiese, dove
la centralità dell'obbedienza e del'ortodossia ha sostituito
la centralità dell'amore liberatore. Contraddice i metodi
di evangelizzazione a partire dal potere con cui le chiese sono
andate imponendosi e continuano a diffondersi oggi.
Queste ed altre contraddizioni sollevano delle domande drammatiche:
Si tratta solo, in questa evoluzione , della normale trasformazione
di un movimento in una istituzione o non piuttosto di una rottura
profonda tra l'uno e l'altra? Che cosa c'è di comune
tra le istituzioni ecclesiastiche di oggi e il movimento di
Gesù? Con che diritto le chiese di oggi si denominano
cristiane? Con che diritto vincoliamo oggi la nostra qualità
di cristiani all'appartenenza a queste istituzioni?
Giubileo e globalizzazione capitalista
Abbiamo ora tutti gli elementi, mi pare, per esplicitare il
rapporto fra giubileo e globalizzazione capitalista. Parlo di
globalizzazione capitalista e non di globalizzazione neoliberale,
perché mi sembra che quest'ultima espressione si presti
ad un equivoco. Denunciando le stragi perpetrate dal neoliberalismo,
si può dare l'impressione che la critica colpisca le
attuali deviazioni del sistema e non la sua stessa logica. Analizzando
invece la globalizzazione "capitalista", intendo considerare
il neoliberalismo come uno sviluppo coerente del liberalismo
nel nuovo contesto mondiale e renderne evidente il carattere
antipopolare
Quale allora il rapporto fra giubileo e globalizzazione capitalista?
Il giubileo ecclesiocentrico e romanocentrico, esaltando il
cristianesimo costantiniano, rappresenta, in definitiva, una
legittimazione, anzi una consacrazione dei poteri politici ed
economici con i quali esso è venuto alleandosi attraverso
i secoli. Afferma, in altri termini, la persistente attualità
del progetto di cristianità e della teologia che lo fonda.
Il pontificato di Giovanni Paolo II, incentrato sulla battaglia
anticomunista, ha rafforzato l'alleanza con i poteri del capitalismo
centrale, particolarmente con gli Stati Uniti di Ronald Reagan.
Dopo il crollo del comunismo europeo, egli ha rinsaldato questa
alleanza con l'enciclica programmatica Centesimus annus. In
essa il crollo del comunismo viene celebrato come una vittoria
di Dio, il quale si trova così coinvolto, suo malgrado,
nei fasti del capitalismo. Per quanto poi riguarda il futuro
dell'umanità, la Centesimus Annus teorizza un capitalismo
dal volto umano e cristiano: un sistema cioè che subordina
la sua dinamica politica ed economica alla dottrina sociale
cristiana, che il papa vede realizzato nei paesi del capitalismo
centrale.
E' certo che negli anni '90 il magistero di Giovanni Paolo II
ha spesso formulato
critiche severe.dell'economia mondiale, tanto che alcuni analisti
sono giunti a parlare di una svolta anticapitalista. Si tratta
in realtà solo di nuovi accenti, provocati dalle tragiche
conseguenze delle misure neoliberali sulla vita delle grandi
maggioranze, cui il papa e molti vescovi sono indubbiamente
assai sensibili. Ma queste denuncie non colpiscono mai la logica
del capitalismo come tale; non giungono mai a dichiararlo "intrinsecamente
perverso", come il magistero pontificio aveva fatto nei
confronti del comunismo. Esse colpiscono le deviazioni del capitalismo;
o, come dicono a volte, il "capitalismo selvaggio",
lasciando supporre che ne esista un altro, civilizzato o dal
volto umano. Dimenticano così il fatto che oggi più
che mai, all'epoca della mondializzazione, il capitalismo è
uno solo, e proprio la diversità delle sue espressioni
nel Nord e nel Sud attesta il suo carattere discriminatorio
e disumano.
Quindi il progetto per il terzo millennio che ispira il giubileo
ecclesiocentrico è in definitiva quello di un capitalismo
dal volto umano e cristiano; di un capitalismo cioè che
riconosca l'egemonia del cattolicesimo sul terreno etico. Con
tale scelta di campo la gerarchia cattolica conferma la sua
collocazione storica all'interno della globalizzazione capitalista.
Con questo progetto di società essa annunzia anche un
progetto di cristianesimo modernizzato ed aggiornato, in modo
da poter convivere armonicamente con la società capitalista.
Un giubileo alternativo sarà invece imperniato sulla
liberazione dei popoli. oppressi. Presterà particolare
attenzione alla liberazione ed alla valorizzazione dei popoli
indigeni, la cui insurrezione a partire dal '92 sta agendo come
detonatore di una mobilitazione mondiale, per una ricerca dell'alternativa
di civiltà e per la rifondazione della speranza.
Assumendo come opzione fondamentale il riconoscimento del diritto
di autodeterminazione solidaria dei popoli oppressi, e facendo
proprio così il grido degli esclusi di tutto il mondo,
il giubileo popolare svilupperà una contestazione radicale
del processo di globalizzazione capitalista, imperniato sull'autodeterminazione
dei mercati e sul dominio mondiale delle grandi potenze.
In questa prospettiva, il centro dell'evento giubilare non sarà
Roma, ma la periferia del mondo. I pellegrinaggi che sarà
necessario organizzare non muoveranno dalle varie parti del
mondo verso Roma, ma saranno marce di riparazione e solidarietà
dai paesi del capitalismo centrale verso i popoli colonizzati
di ieri e di oggi. Il movimento ecumenico e macroecumenico non
si svilupperà intorno a Roma, ma intorno ai popoli oppressi
in lotta per la loro liberazione.
Se il Giubileo ecclesiocentrico coinvolgerà solo il mondo
cattolico, anzi una parte di esso, il giubileo popolare diventerà
un movimento ecumenico e macroecumenico, che coinvolgerà
le componenti liberatrici di tutte le religioni , stabilendo
fra di esse rapporti di reciprocità e di fecondazione
mutua; ma diventerà anche un movimento laico, cioè
un anno di coscientizzazione e mobilitazione di massa, per la
istaurazione di un modello alternativo di società.
Il
giubileo e la battaglia contro il debito estero del terzo mondo
Vi è un tema sul quale giubileo istituzionale e giubileo
popolare sembrano convergere, ed è la lotta contro il
debito estero del terzo mondo. Essa sta coinvolgendo movimenti,
istituzioni, chiese, governi ecc. nel Sud e nel Nord del mondo.
Ma credo importante, alla luce della scelta di campo che stiamo
proponendo nell'interpretazione del giubileo, distinguere nettamente
le due linee con cui è condotta oggi questa battaglia
contro il debito estero: la rinegoziazione e il rifiuto del
debito. Esse determinano anche due diversi orientamenti nella
nostra solidarietà con i popoli del Sud.
La
linea della rinegoziazione
La linea della rinegoziazione è seguita dalle autorità
politiche di vari paesi debitori. Essa conta sull'appoggio delle
autorità ecclesiastiche, cattoliche ed evangeliche. Ma
è particolarmente significativo il fatto che tali iniziative
siano oggi autorevolmente promosse dagli organismi finanziari
multilaterali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale:
è nota particolarmente l'azione di tali organismi per
il condono del debito ai paesi fortemente indebitati.
Queste iniziative presentano le seguenti caratteristiche:
1) Si propongono di abolire, totalmente o parzialmente il debito,
ma non la causa dell'indebitamento, che è lo stesso modello
economico; anzi , le concessioni sul terreno del debito sono
sempre condizionate da impegni che il paese debitore debe assumere
per consolidare il sistema applicando rigorosamente le misure
di ristrutturazione impostegli
2) Esse implicano un riconoscimento del debito e del dovere
di pagarlo; si propongono di contribuire alla soluzione dei
problemi suscitati dal debito con atti di generosità
da parte dei paesi ricchi. Riconoscere il debito e il dovere
di pagarlo significa riaffermare la validità e legittimità
del modello economico, generatore del debito.
3) Si propongono di abolire il debito, ma non la dipendenza
di cui esso è espressione: questa si trova anzi rafforzata
dalle misure economiche che il paese debitore si impegna ad
applicare.
Quindi il giubileo che promuove queste forme di lotta contro
il debito estero dei paesi del terzo mondo non contesta in nessun
modo la logica del sistema capitalista; contribuisce piuttosto
a legittimarla, suscitando la convinzione che un capitalismo
dal volto umano è possibile e coinvolgendo i credenti
nella sua umanizzazione: contribuisce, in altre parole, ad avallare
quel ritorno della "terza via" che consente alle sinistre
europee ed internazionali di occultare l'abbandono delle loro
scelte originarie.
La linea del rifiuto
La linea del rifiuto si fonda invece su un giudizio etico e
politico molto chiaro: il cosiddetto debito non esiste; non
vi è quindi nessun dovere di pagarlo; vi è piuttosto
il dovere di non pagarlo. Perché? Il popolo non ha assunto
in merito nessun impegno: il debito è stato contratto
in margine alla sua volontà e contro i suoi interessi.
Il popolo non ha ricavato nessun beneficio da tali prestiti,
i quali sono tornati ai paesi creditori attraverso la fuga di
capitali o in forza dello scambio disuguale. Il popolo è
stato piuttosto vittima di quei prestiti , che sono serviti
a finanziare la militarizzazione dello stato e la repressione.
Il debito è comunque impagabile: nessuna persona e nessun
popolo possono essere obbligati a fare qualcosa di impossibile.
I prestiti poi che i paesi del Sud hanno ricevuto e ricevono
sono in ultima analisi il frutto delle spoliazioni perpetrate
da secoli di conquista e dai meccanismi di un sistema economico
e politico immorale. Per cui non solo è legittimo e doveroso
il rifiuto di pagare il debito; ma è legittimo e doveroso
esigere indennizzi per le spoliazioni dei quali sono state vittime
i popoli del Sud. In una parola: il debito non si deve pagare
perché non esiste. Ciò che esiste e debe essere
pagato è piuttosto il debito delle potenze del Nord.
Forse però l'argomento più decisivo per il rifiuto
del debito è il dilemma di fronte al quale si trovano
oggi i paesi del Sud: continuare a pagare il debito, rafforzando
la propria dipendenza , orientando l'economia nazionale al servizio
dei paesi ricchi e condannando il proprio popolo alla miseria;
oppure spezzare la catena del debito, riaffermare la sovranità
nazionale, orientare l'economia al servizio della grande maggioranza
e quindi alla difesa della vita.
Ma non dobbiamo illuderci. Questa strategia non può contare
in questo momento sull'appoggio di nessun governo. Essa si sviluppa
solo sulla b ase di mobilitazioni popolari: perché implica
non solo il rifiuto del debito, ma di tutto il sistema capitalista
del quale esso rappresenta un ingranaggio-chiave. Essa mette
in questione tutta la storia dei rapporti fra il Nord e il Sud
del mondo, i secoli di sfruttamento e di rapina, che hanno generato
la ricchezza e il cosiddetto progresso dei paesi del Nord.
Ma questa scelta radicale, che si caratterizza per la sua coerenza,
sembra mancare di realismo ed essere quindi votata fatalmente
alla sconfitta. A giudizio di molti, il debito sarà pure
immorale ed impagabile, ma è anche inevitabile, come
il sistema capitalista.
Indubbiamente, una decisione così grave come quella del
rifiuto del debito non si prenderebbe impunemente. Le rappresaglie
da parte dei paesi "creditori" sarebbero immediate
e spietate. I paesi "debitori" si vedrebbero negare
ogni nuovo prestito; e sarebbero boicottati nelle loro esportazioni
ed importazioni. Inoltre , il rifiuto del debito eliminerebbe
certo il principale ostacolo alla soluzione dei problemi economici
del paese, ma i problemi dell'alternativ a economica e politica
rimarrebbero drammaticamente aperti.
In definitiva, il rifiuto del debito sarebbe, nell'ambito del
giubileo, una scelta realista e non demagogica, solo se viene
assunta con la coscienza delle difficoltà e delle lotte
di lungo periodo che sarà necessario affrontare per sostenerla
coerentemente. Sarà inoltre una scelta realista e non
demagogica solo se fa parte di un progetto e di una strategia
globale, fondata sul protagonismo del popolo e orientata a ristrutturare
l'economia per metterla al servizio delle grandi maggioranze.
Per i paesi del Nord, impostare in questi termini la campagna
contro il debito estero del Terzo Mondo significa impegnarsi
a lottare al loro fianco per l'istaurazione di un nuovo modello
economico, imperniato sull'autodeterminazione solidale del popolo
e dei popoli.
Il
giubileo popolare e la costruzione dell'alternativa
Un giubileo imperniato sulla liberazione dei popoli oppressi
e quindi orientato all' elaborazione di un progetto alternativo
di civiltà, dovrà , a mio giudizio, muoversi a
due livelli, per altro strettamente connessi fra di loro: quello
della strategia etico-politica e quello del rinnovamento cristiano.
Desidero suggerire qualche pista per ognuno di questi livelli.
Per quanto riguarda la strategia etico-politica, ritengo che
essa debba proporsi e oggi come compito centrale quello di cosrtruire
una nuova articolazione tra macroalternativa e microalternative.
Alternativa infatti non significa più per noi l'istaurazione
repentina di un nuovo sistema economico e politico globale,
provocata magari dalle contraddizioni fra lo sviluppo delle
forze produttive e i rapporti di produzione e dal crollo del
capitalismo come conseguenza di questa contraddizione. Questa
versione dell'ottimismo storico, fondata su una lettura oggettivista
dello sviluppo . è stata smentita dalla storia. La caduta
di tale certezza ha contribuito a generare o ad acuire in molte
persone una crisi di militanza, suscitando la convinzione che
realmente il sistema non ammette alternative.
Il progetto di alternativa popolare che vorrei proporre è
invece un processo lungo e faticoso, ordinato ad invertire la
tendenza storica. Questo processo non parte dall'alto, come
sono le inziative assunte da istanze globali, come la Banca
Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Interamericana
dei sviluppo; ma dal basso, cioè da un contropotere locale,
che si tratta di costruire con il contributo di tutti i settori
emarginati ed esclusi dal mercato mondiale; esso non si propone
primariamente obbiettivi glob ali, ma locali, perseguiti attraverso
l'elaborazione e la realizzazione di microprogetti; contraddice
la logica dominante del mercato mondiale, ma non è incompatibile
con essa, perché si fonda in spazi di resistenza e di
autonomia che riesce a conquistare progressivamente.
Il paradigma di uno sviluppo sostenibile è una economia
comunitaria, che sia espressione di una comunità autonoma,
autogestita,egualitaria, solidale al suo interno e con le altre
comunità. Questa economia si caratterizza essenzialmente
per il fatto che ha la comunità come protagonista e fine
del progetto e la solidarietà come suo motore. Per questa
sua ispirazione etica, l'economia comunitaria si contrappone
all'economia autoregolata del neoliberalismo.
Il metodo di costruzione dell'alternativa dal basso è
antitetico al metodo neoliberale che parte dal globale e pretende
giungere su questa base a risolvere i problemi locali Pretesa
che, per altro, si rivela ogni giorno più illusoria,
perché . la logica del globalismo neoliberale lo subordina
agli interessi delle minoranze privilegiate.
Tuttavia, non è sufficiente che un progetto di sviluppo
sia locale, perché si iscriva in una logica economica
e politica alternativa. In effetti, lo stesso neoliberalismo
promuove il decentramento , per scaricare su poteri e iniziative
locali i problemi che il processo macroeconomico lascia insoluti.
Promuove quindi un grande numero di progetti locali, che però
non mettono in questione il potere centrale e centralizzato
nè i valori che lo ispirano; che risolvono i problemi
individuali di alcune persone o gruppi, senza per questo istaurare
una logica solidaristica e liberatrice. Il segno più
evidente della coerenza tra questi progetti e la logica del
sistema è l'isolamento in cui essi permangono.
Ma l'isolamento minaccia anche i progetti locali che nascono,
come quelli
che abbiamo delineato precedentemente, nello spirito di una
solidarietà liberatrice. Li minaccia, perché,
nel clima individualista e consumista istaurato dal neoliberalismo,
lo spirito di solidarietà non si può mai considerare
definitivamente stabilito in un collettivo o in una comunità.
E' necessario tornare costantemente a motivarlo e rafforzarlo.
Ora questo si ottiene creando nella comunità spazi di
riflessione collettiva, con scambi di idee, di esperienze e
di testimonianze; favorendo tra i credenti momenti collettivi
di preghiera e di riscoperta della loro ispirazione. Si ottiene
anche tessendo vincoli di comunicazione e di solidarietà
fra tutti i progetti e poteri locali che operano in una prospettiva
liberatrice.
Per altro un progetto economico e politico che voglia essere
realmente alternativo non può concentrarsi sul livello
locale, abbandonando al neoli beralismo l'orientamento dell'economia
e della politica mondiali. Per essere realmente alternativi
i progetti locali devono iscriversi in un processo globale di
lungo periodo, antagonista rispetto alla logica neoliberale
e segnati dal protagonismo crecente del popolo e dei popoli
nella politica e nell'economia. Il rafforzamento del potere
popolare a livello globale sarà appunto il frutto delle
reti di comunicazione e solidarietà tra un'infinità
di poteri e progetti locali alternativi disseminati in tute
le parti del mondo.
Le reti di comunicazione possono oggi svilupparsi su scala mondiale,
grazie ai progetti vertiginosi dell'informatica. Questa può
contribuire anzittutto allo smascheramento ed alla contestazione
della logica neoliberale, denunciando tutti i giorni immediatamente
tutti i giorni e a tutte le ore i suoi delitti e promovendo
in questo modo la globalizzazione della resistenza e della solidarietà.
Ma l'informatica apre degli orizzonti insospettati esplorando
il terreno straordinariamente fecondo della solidarietà
locale e scoprendo così una faccia praticamente sconosciuta
della storia. Ci consente così di scoprire aspetti sconosciuti
del nostro paese, della nostra città, del nostro popolo;
aspetti sconosciuti di tutti i paesi e di tutti i popoli del
mondo. Questa scoperta diventa una fonte incessante di motivazione
e di ispirazione del nostro impegno; diventa inoltre un solido
fondamento della speranza.
Le reti che si stanno tessendo e che dovremo tessere sempre
maggiormente non sono quindi solo di comunicazione, ma anche
di solidarietà. Una seconda tappa nella costruzione dell'economia
alternativa è appunto la creazione di reti , nazionali
e internazionali di alternative locali, che convivono autonomamente
con il capitalismo mondiale e che per cià stesso acquistano
il potere di regolarlo e di ridurre i suoi effetti tragici.
Queste reti fanno parte di processi di globalizzazione popolare,
antagonisti nella loro logica rispetto alla globalizzazione
neoliberale; di globalizzazione della solidarietà, antagonista
rispetto alla globalizzazione del capitale. Esse sono la componente
economica del nuovo internazionalismo popolare, dell' "internazionale
della speranza" che gli indigeni zapatisti stanno promovendo
"per l'umanità e contro il neoliberalismo".
La globalizzazione popolare, che per adesso cerca di conquistare
spazi di autonomia , per convivere con la globalizzazione capitalista
ha come obbiettivo di lungo periodo quello di diventare la logica
prevalente di un ordine mondiale realmente nuovo.
Il
giubileo popolare e la riscoperta dei cristianesimi originari
Il giubileo popolare, nello spirito di quello prospettato nell'Antico
Testamento e di quello promulgato da Gesù stesso, implica,
sul terreno religioso, due aspetti , la denuncia del tradimento
e la riscoperta del progetto originario. Vorrei ora sviluppare
rapidamente questo secondo aspetto, della riscoperta del cristianesimo
o meglio dei cristianesimi originari, che potrebbe diventare
un compito dei cristiani di base in questo anno giubilare; ma
sempre in stretto collegamento con l'impegno politico per la
liberazione degli oppressi e delle oppresse del paese e del
mondo.
Riconoscere la centralità di questa ricerca significa
anzittutto attribuire una importanza vitale agli studi biblici
e sociologici, che si stanno moltiplicando ai giorni nostri,
sui cristianesimi originari. Essi ci consentono infatti di riscoprire,
su base storica e non ideologica, i tratti originari del movimento
di Gesù, e di identificare al tempo stesso i meccanismi
che prepararono la sua alleanza con l'impero e la sua trasformazione
in religione del tempio: cioè in una istituzione simile
per tanti aspetti a quella che Gesù aveva affrontato
e che lo aveva scomunicato e condannato.
Come esempio di questa ricerca, desidero citare due volumi della
Revista de interpretación bíblica latinoamericana
coordinati da Jorge Pixley: Cristianismos originarios (30-70
d.C.) del 1996, e Cristianismos originarios extrapalestinos
(35-138) del 1998..
Nell'editoriale del primo volume, Jorge Pixley scrive: "Eduardo
Hoornaert, nel suo libro La memoria del pueblo cristiano della
serie Teología y liberación faceva una rilettura
drammatica della "Patristica". Segnalava il fatto
che la nostra visione della chiesa dei primi tre secoli è
dominata dall'immagine creata da Eusebio, vescovo di Cesarea,nella
sua storia ecclesiastica, e che egli creò nell'euforia
della conversione di Costantino e della "vittoria"
della chiesa, prima perseguitata dall'impero e ora da esso riconosciuta
come alleata. Pertanto, il vescovo presenta la visione di una
chiesa ben ordinata, con una struttura di governo che la subordina
ai vescovi. E' una chiesa che fin dal principio va preparandosi
ad esercitare il potere nella società. Ma Hoornaert affermava
che questa fu una distorsione della realtà, perché
le chiese , in quei secoli di persecuzione,erano comunità
di fedeli organizzate dalla base, e guidate da pastori scelti
dagli stessi fedeli all'interno della loro assemblea. Si richiede
dunque, conclude Pixley, per amore della verità, una
rilettura dell'immaginario storico, che corresponda maggiormente
sia alla verità storica sia alle nostre necessità
pastorali."(p.5)
Nello stesso senso imposta il suo articolo Pablo Richard: "Nelle
nostre chiese esiste attualmente una visione errata delle origini
del cristianesimo.Normalmente proiettiamo nel passato le strutture
e i dogmi ecclesiali del presente. Esiste anzi una consolidata
visione costantiniana delle origini del cristianesimo, che dobbiamo
ad Eusebio di Cesarea (263-339), vescovo di Cesarea in Palestina,
il quale scrisse una storia ecclesiastica in dieci libri. Questo
storico fu il teologo di Costantino e scrisse la sua storia
della chiesa per giustificare la costruzione della cristianità
costantiniana. Quest'opera contiene indubbiamente un'importante
informazione storica ed è oggi indispensabile per la
storia della chiesa. Ma la sua "ideologia costantiniana"
perverte radicalmente le origini del cristianesimo. Il suo scopo
non è stato di scrivere la storia reale e bbiettiva del
cristianesimo, ma la "storia ufficiale" per fondare
teologicamente la cristianità costantiniana. L'immagine
che abbiamo oggi normalmente delle origini del cristianesimo
è l'immagine eusebiana e costantiniana. Riscoprire le
nostre origini significa riscoprire la nostra identità
storica fondata su Gesù di Nazaret e sull'autentica tradizione
apostolica. Questa riscoperta è fondamentale per la riforma
delle nostre chiese al giorno d'oggi."
I due volumi che ho segnalato si propongono appunto di ricostruire,
aldilà delle versioni ideologiche ed apologetiche, la
verità storica. Desidero segnalare le più rilevanti
indicazioni metodologiche:del loro approccio:
1)Le fonti di cui si avvale questa ricostruzione non sono solo
quelle consacrate dal canone del nuovo testamento. Sono anche
quelle della cosiddetta letteratura apocrifa, ingiustamente
squalificata, in nome dell'ortodossia, dalla corrente cristiana
che prevalse sulle altre; ma che è spesso almeno tanto
veritiera quanto i libri canonici. Ttra gli apocrifi più
significativi vengono citati il vangelo di Tommaso, il vangelo
degli ebrei, il vangelo degli egiziani.
2) Le fonti canoniche debbono essere rilette e interpretate
tenendo conto (come pe la storia ecclesiastica di Eusebio) della
loro impostazione teologica ed apologetica. Il loro obbiettivo
non è di raccontare oggettivamente i fatti, ma di ricostruirli
in funzione di tesi teologiche, ispirate all'ortodossia che
si stava affermando.
3)Deve essere superato il pregiudizio, secondo cui il cristianesimo
originario era unitario e le div ersità sono nate posteriormente.
In realtà vanno riconosciute e riscoperte molte e diverse
interpretazioni del messaggio di Gesù fin dai primi decenni
dopo la sua morte, quindi molti e di versi cristianesimi originari.
Questi vanno ricostruiti sia a partire dalle diverse fonti sia
tenendo conto dei diversi contesti geografici,politici e culturali
in cui si sviluppano i movimenti di Gesù.E' importante
rilevare che questa diversità è anteriore alla
fase di organizzazione ecclesiastica, nella quale nasceranno
i concetti di ortodossia e di unità fondata su di essa;
ed in cui si affermerà quindi la pretesa degli ortodossi
di squalificare ed emarginare gli eretici.
4) A questo periodo della storia cristiana non appartiene la
struttura
gerarchica e monarchica della coòun itè cristiana.
Non risulta che in una comunità, per esempio in quella
di Roma, vi fosse un solo vescovo, ve n'erano vari che operavano
simultaneamente. Non risulta che Pietro, v escovo a Roma, sia
stato vescovo di Roma. Il centralismo e il romanocentrismo cattolici
sono frutto di una evoluzione, o meglio di una involuzione posteriore.
Gesù quindi non ha comunicato ai suoi discepoli un messaggio
di ortodossia né uno schena organizzativo, ma una passione
per la libertà e per l'amore, che essi hanno poi espresso
nelle più div erse direzioni. Per la riscoperta dell'identità
cristiana è molto più importante lo studio di
questo periodo,in cui lo Spirito si dispiega in libertà,
che non quello dell'istituzionalizzazione. Si tratta quindi
per noi di spezzare le catene delle istituzioni e di ritrovare
nei confronti della persona e del messaggio di Gesù quella
libertà d'interpretazione e di creazione che ha caratterizzato
i primi discepoli e che certamente faceva parte dell'essenza
del suo legato: non una tavola di leggi, non una lista di dogmi,
ma una passione per la libertà e per l'amore, capace
di sviluppare creativamente le intuizioni del maestro, dell'amico,
del compagno.
Con questo spirito, e con fiducia nella presenza ispiratrice
dello Spirito, siamo chiamati oggi, valorizzando il clima di
mobilitazione del giubileo popolare, a ricostruire dal basso
la nostra identità di cristiani. Il cristianesimo di
oggi non sarà una semplice riproduzione dei cristianesimi
originari, ma un suo sviluppo coerente e creativo nel nuovo
contesto geopolitico; ma anche nei molteplici contesti politici
culturali e religiosi in cui il movimento originario di Gesù
è chiamato a rinnovarsi.
Questa riscoperta ed attualizzazione, di cui abbiamo l'esaltante
responsabilità, ci impegna ad elaborare comunitariamente
una nuova sintesi , valorizzando i contributi per noi più
significativi dei cristianesimi originari. Tra questi desidero
segnalare: il radicamento comunitario e locale in uno spirito
di amicizia liberatrice; la solidarietà economica espressa
nella condivisione dei beni e oggi nella formazione di un nuovo
modo di produzione; il carattere autogestionario, che riconosce
nella comunità e non nelle gerarchie il soggetto del
movimento e del potere; il carattere laicale, che considera
il sacerdozio come un ministero della comunità e non
di una casta separata; il carattere antagonista nei confronti
dei valori dominanti sia nella società sia nella religione
istituzionale; in particolare l'atteggiamento autonomo ed antagonista
nei confronti dell'impero romano e quindi di tutti gli imperi;
il protagonismo delle donne, vissuto come alternativa militante
alla società patriarcale; il metodo di diffusione del
movimento dal basso, per la forza della verità e il contagio
della solidarietà e non per conformismo sociale.
Questa riscoperta ed attualizzazione non sarà compito
delle gerarchie né del clero nèe dei teologi,
ma del popolo cristiano coscientizzato ed organizzato nelle
comunità di base, nei gruppi di riflessione, nella lettura
popolare della bibbia, ecc. Il movimento di Gesù continua
a ricercare nella storia i segni della presenza di Dio Amore
Liberatore; continua ad attestare questa presenza con il suo
impegno militante per la liberazione degli oppressi e con la
sua creatività.
CONCLUSIONE
Nel giubileo 2000, come già nel 92, l'affermazione della
centralità dei popoli oppressi nella valutazione della
civiltà occidentale e nella progettazione di una nuova
civiltà non sarà espressione di gerarchie ecclesiastiche,
ma di una vasta mobilitazione popolare.
Il suo principio ispiratore sarà la fiducia nelle risorse
morali, intellettuali e politiche inesplorate degli esclusi
e delle escluse di tutto il mondo; il suo terreno privilegiato
di impegno sarà l'articolazione fra progetti locali alternativi
e prospettive di trasformazione globale; tra poteri locali alternativi
e costruzione di un contropotere popolare continentale e, in
prospettiva, mondiale.
Vivere la solidarietà liberatrice a livello locale significa
scoprire che essa è possibile e feconda, che la sua pratica
cambia il senso della vita personale e collettiva. Sorge così
una convinzione: ciò che è possibile e fecondo
a livello locale deve essere possibile e fecondo a livello globale,
nazionale e internazionale. Così lo sviluppo locale sostenibile
opera come luogo di articolazione tra il possibile e l'impossibile;
come itinerario per spostare ogni giorno le frontiere del possibile.Ci
stimolerà a ritrovare l'audacia di credere e di sperare
anche il messaggio del rivoluzionario russo Bakunin, il quale
diceva: " è scommettendo sull'impossibile che attraverso
la storia gli uomini sono venuti scoprendo e realizzando il
possibile; e tutti coloro che si sono saggiamente trincerati
nel possibile, non hanno avanzato di un solo passo."
Dovrà verificarsi poi, in questa mobilitazione popolare,
una confluenza fortemente ispiratrice tra la ricerca di alternative
economiche e politche e la riscoperta dello spirito comunitario
delle origini cristiane.Il cristianesimo, che ha avuto una tragica
responsabilità nella genesi e la legittimazione della
globalizzazione imperialista potrebbe diventare oggi una sorgente
d'ispirazione e di creatività nella ricerca e la realizzazione
di alternative locali orientate ad invertire la tendenza storica.
Nello stesso tempo questo impegno, ispirato dall'amore liberatore,
diventerebbe per le comunità e le chiese cristiane un
cammino autentico di rinnovamento e di conversione.
Desidero concludere questa riflessione manifestando e comunicando
il sentimento di gioia e di speranza che suscita in me la scoperta
esaltante di questa possibile confluenza tra la valorizzazione
della solidarietà liberatrice nelle sue innumerevoli
espressioni locali, germe ed annuncio di una globalizzazione
popolare e l'impegno per riscoprire le origini del cristianesimo
e il suo messaggio comunitario sovversivo. Il sentimento di
gioia e di speranza che suscita la confluenza , nel progetto
di giubile popolare o e di nuova civiltà, tra la costruzione
della famiglia umana e la costruzione della famiglia di Dio.
Una civiltà quindi che sia la rivelazione e l'incarnazione
storica di quella amicizia liberatrice fra il Padre, il Figlio
e lo Spirito, che è il Dio di Gesù.
GIUBILEO
2000, CONSACRAZIONE O DENUNCIA DELLA GLOBALIZZAZIONE CAPITALISTA?
Il quinto centenario, celebrazione o contestazione radicale?
Il giubileo 2000, esaltazione o contestazione del cristianesimo
istituzionale?
Giubileo e globalizzazione capitalista
Il giubileo e la battaglia contro il debito estero del terzo
mondo
La linea della rinegoziazione
La linea del rifiuto
Il giubileo popolare e la costruzione dell'alternativa
Il giubileo popolare e la riscoperta dei cristianesimi originari
CONCLUSIONE