Giubileo del 2000: centralità della Chiesa o dei popoli oppressi?
di
Giulio Girardi
Il
progetto di celebrare il V centenario della "scoperta dell'America"
e della "prima evangelizzazione" del continente ha
sollevato a suo tempo reazioni fortemente polemiche specialmente
da parte dei popoli indigeni, ma anche di altri settori dell'opi-nione
pubblica indoafrolatinoamericana e mondiale. Esse erano do-vute
al fatto che, dal punto di vista degl' indigeni, quel pro-getto
non era innocente, ma rifletteva una cultura di dominio sia
nell'interpretazione del passato sia nelle prospettive di avveni-re.
Si affrontarono cioè, in quel contesto, il punto di vista
dei conquistatori e quello degl'indigeni ribelli; e per ciò
stesso due progetti di civiltà e due concezioni del cristianesimo.
La tesi che vorrei sottoporre oggi alla discussione è
che il 2000 segnerà il prolungamento e l'universalizzazione
di questa lotta ideologica, nelle chiese e nella società..
Non si tratterà più di valutare solo i 500 anni
di civiltà e di cristianesimo, ma i 2000. Nella polemica
non saranno coinvolti solo l'America e l'Europa, ma tutti i
popoli ed i continenti del mondo. Tuttavia ,l'oggetto centrale
del conflitto sarà lo stesso: dovremo cioè definire
il punto di vista a partire dal quale valutare, come cristiani,
i due millenni passati ed elaborare il progetto del terzo millennio.
Tutto però lascia prevedere che per questa bat-taglia
i segnali di mobilitazione non verranno dalla periferia: dovrebbero
invece essere lanciati dai cristiani europei, in primo luogo
dai romani, più direttamente coinvolti nelle celebrazioni.
Le valutazioni della storia proposte dalle chiese cristiane
si ispirano abitualmente a un criterio ecclesiocentrico, precisa-to
da ogni chiesa in rapporto a se stessa: esso consiste nell'i-dentificare
il progresso umano con il progresso della "evangeliz-zazione",
intesa appunto come istaurazione e rafforzamento della chiesa.
Su questa base, in occasione del '92, la chiesa cattolica istituzionale
pronunciò un giudizio fondamentalmente positivo sulla
"scoperta dell'America" e sull'"evangelizzazione
fondante"; e quindi sui 500 anni di evangelizzazione che
essa ha avviato. Sulla stessa base, il giubileo del 2000, celebrando
i due millen-ni di evangelizzazione, suggerirà un giudizio
fondamentalmente positivo sul ruolo del cristianesimo nella
civiltà occidentale. L'altro punto di vista consiste
invece nell'assumere come criterio di valutazione della storia
e della stessa evangelizza-zione la "scelta dei poveri",
precisata come affermazione dei po-poli oppressi quali soggetti.
Inoltre, la coincidenza provviden-ziale fra la transizione dal
secondo al terzo millennio e il de-cennio internazionale dei
popoli indigeni, proclamato dalle Na-zioni Unite (1994-2004)
suggerisce una attenzione speciale, nella valutazione del passato
e nella progettazione del futuro, alla condizione di questi
popoli. . Se nel 1992, la polemica tra i due modelli di cristianesimo
ebbe come detonatore il progetto di "celebrare" il
5° centenario dell'evangelizzazione, nel 2000 essa potrà
avere come detonatore il progetto vaticano di giubileo, inteso
come celebrazione dei 2000 anni di evangelizzazione ed orientato
in una prospettiva ec-clesiocentrica e romanocentrica. In effetti,
a giudizio di molti cristiani di tutto il mondo, il progetto
di giubileo, presentato dalla lettera apostolica Tertio millennio
adveniente e tradot-to nell imponente macchina organizzativa
dell'avvenimento, è espressione della stessa ideologia
che ha ispirato le celebra-zioni centenarie della "prima
evangelizzazione". Vogliamo ora mettere a confronto queste
due concezioni del giubileo , e , naturalmente, del cristianesimo,
per invitare i credenti a prendere posizione tra di esse, così
come hanno dovu-to, nel '92, prendere posizione tra due letture
del V Centenario.
I
- IL GIUBILEO, RIAFFERMAZIONE DELLA CENTRALITA' DELLA CHIESA
La
concezione del giubileo proposta da Giovanni Paolo II è
sintetizzata nelle prime pagine del documento :"I duemila
anni dalla nascita di Cristo rappresentano un giubileo straordinaria-mente
grande non solamente per i cristiani ma per l'intera umani-tà,
dato il ruolo di primi piano che il cristianesimo ha eserci-tato
in questi due millenni. Significativamente, il computo del decorso
degli anni si fa quasi dappertutto a partire dalla venuta di
Cristo nel mondo, la quale diventa così il centro anche
del calendario oggi più utilizzato. Non è forse
anche questo un segno del contributo impareggiabile recato alla
storia universale dalla nascita di Gesù di Nazaret ?"(15)
Questa presentazione implica essenzialmente due tesi: 1. Il
giubileo del 2000 è un momento centrale nella storia
umana e cristiana. 2. Il giubileo del 2000 dev'essere una solenne
celebrazio-ne e riaffermazione della centralità di Cristo,
del cristianesimo e della chiesa cattolica romana nella storia,
anche rispetto alle altre confessioni e religioni. Per comprendere
dall'interno il pensiero di Karol Wojtyla su questo come su
altri temi, è essenziale riferirsi al luogo antro-pologico
e teologico in cui egli si colloca per leggere la sto-ria: la
chiesa cattolica romana, considerata il luogo privilegia-to
della presenza e della manifestazione di Dio.
Il
Giubileo del 2000, momento culminante
nella
storia umana e cristiana
Il
giubileo del 2000, come solenne celebrazione della cen-tralità
di Cristo e del cristianesimo, assume esso stesso, agli occhi
del papa, una centralità nella storia umana e cristiana,
diventandone una chiave ermeneutica. E' interessante analizzare
questo rapporto fra il giubileo e l'intera storia: esso consente
infatti di cogliere più profondamente il significato
che il papa attribuisce sia alla storia sia allo stesso giubileo.
Questo avvenimento è per lui, anzittutto, una "chiave
erme-neutica" di tutto il suo pontificato(23). Al giubileo,
ricorda egli, fa esplicito riferimento fin dal primo documento,
l'en-ciclica Redemptor hominis, e su di esso ritorna con frequenza,
particolarmente nell'enciclica Dominum et vivificantem del 18
maggio 1986.(23) Ma egli estende poi tale criterio ermeneutico
a tutta la storia, nella convinzione che " ogni giubileo
è preparato nella storia della chiesa dalla divina Provvidenza
(17) Concretamente, "il concilio Vaticano II costituisce
un evento provvidenziale, attraverso il quale la chiesa ha avviato
la preparazione prossima al giubileo del secondo millennio."
(18) Tale preparazione prose-gue con la serie di sinodi ( generali
e continentali, regionali, nazionali e diocesani) iniziata dopo
il concilio, il cui "tema di fondo" è quello
della "nuova evangelizzazione", caratterizzata da
una "consapevolezza nuova della missione ricevuta da Cristo".
(21) Nella preparazione, "specifici compiti e responsabilità
...spettano al ministero del Vescovo di Roma. In qualche modo
hanno operato in questa prospettiva tutti i pontefici del secolo
che sta per concludersi."(22) Inoltre, un ruolo particolare
viene riconosciuto alle "singole chiese che con i loro
giubilei cele-brano tappe significative nella storia della salvezza
dei singoli popoli." (25) Questi giubilei celebrano nelle
diverse regioni del mondo, l'inizio dell'evangelizzazione: particolarmente
significativa la continuità che viene così affermata
fra il V Centenario dell'e-vangelizzazione dell'America Latina
e il secondo millenario dell'Incarnazione. "Nella prospettiva
della preparazione dell'An-no 2000" il papa situa anche
"gli Anni Santi dell'ultimo scorcio di questo secolo"(26).
Tra questi, dedica particolare attenzione all'anno mariano 1987-88,
che è stato " quasi un'anticipazione del giubileo,
contenendo in sè molto di quanto dovrà esprimersi
pienamente nell'Anno 2000".(26) La sua importanza deriva
anche dal fatto che esso "ha preceduto da vicino gli eventi
del 1989", nei quali "era all'opera...la mano invisibile
della provviden-za".(27) "Le molteplici ricorrenze
giubilari di queste Chiese... evo-cano il cammino di Cristo
nei secoli e approdano anch'esse al grande Giubileo della fine
del secondo millennio. "Vista in que-sta luce, tutta la
storia cristiana ci appare come un unico fiu-me, al quale molti
affluenti recano le loro acque. L'anno 2000 ci invita ad incontrarci
con rinnovata fedeltà ed approfondita comu-nione sulle
sponde di questo grande fiume: il fiume della Rive-lazione,
del cristianesimo e della Chiesa, che scorre attraverso la storia
dell'umanità." (25) In una parola, la centralità
che Giovanni Paolo II attribui-sce al giubileo del 2000 è
dovuta al fatto che esso rappresenta un momento culminante nell'evangelizzazione
del mondo. E' questa convinzione che gli permette di affermare:
"Quanto al contenuto, questo Grande Giubileo sarà,
in un certo senso, simile ad ogni altro. Ma sarà al tempo
stresso diverso e di ogni altro più gran-de." (16)
"La Porta Santa del Giubileo del 2000 dovrà essere
sim-bolicamente più grande delle precedenti, perché
l'umanità, giunta a quel traguardo, si lascerà
alle spalle non soltanto un secolo, ma un millennio." (33)
Ma se è abbastanza chiaro, per quanto discutibile, il
fonda-mento oggettivo della centralità che il papa attribuisce
al cristianesimo nella storia dell'umanità, meno evidente
è il fon-damento della centralità storica attribuita
al Giubileo dell'anno 2000: non è chiaro cioè
perchè i molteplici avvenimenti evocati "approdino
all'anno 2000" e su quale base si attribuisca loro la funzione
provvidenziale di "preparare" quella ricorrenza, ricono-scendola
come momento culminante nella storia dell'evangelizza-zione.
Riesce difficile escludere l'ipotesi che su questa inter-pretazione
dei fatti Giovanni Paolo II proietti la convinzione personale
della centralità storica del suo pontificato, chiamato,
nel piano della Provvidenza, a condurre la chiesa verso il Terzo
Millennio.
Il
Giubileo del 2000, celebrazione della centralità storica
di Cristo e della chiesa cattolica romana
Il
carattere fondamentale del giubileo del 2000, per Gio-vanni
Paolo II, è che esso è chiamato ad essere la celebrazione
della centralità di Cristo e per ciò stesso del
cristianesimo e della chiesa cattolica romana nella storia .
E' tipica della sua teologia della cristianità sia l'
affermazione della centralità storica di Cristo sia soprattutto
il vincolo tra di essa e la centralità del cristianesimo,
ossia della chiesa cattolica roma-na. " (10)"Il giubileo
dell'anno 2000 vuol essere una grande pre-ghiera di lode e di
ringraziamento soprattutto per il dono dell'Incarnazione del
Figlio di Dio e della Redenzione... Inol-tre "per il dono
della chiesa, fondata da Cristo *come sacramen-to, cioè
come segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità
di tutto il genere umano*". (32) Secondo Giovanni Paolo
II, le grandi tappe della storia uma-na sono segnate in ogni
popolo e continente dal "cammino di Cri-sto", cioè
dall'evangelizzazione. Questa è sempre considerata un
grande progresso, anzi una nuova nascita, come è avvenuto
tipi-camente per quanto riguarda l'America Latina. In nessun
momento si allude al fatto che l' evangelizzazione ha spesso
coinciso con la conquista e la colonizzazione; che essa quindi
non è stata al-lora un annunzio di liberazione, ma uno
strumento di asservimento e di soffocamento dei popoli. Nessun
cenno viene fatto, nel bi-lancio dei due millenni, al ruolo
storico assolto dal cristiane-smo nella legittimazione dei rapporti
di dominio e quindi nella genesi dell'attuale divisione del
mondo. E' certo che , secondo il papa, il giubileo chiama i
fedeli al pentimento. Questo però non ha come oggetto
peccati ed er-rori della chiesa, ma dei suoi figli (33,34,35,36):
colpevoli di aver disubbidito al magistero della chiesa e di
aver disatteso la sua dottrina sociale (36). Per altro, le debolezze
dei cristia-ni, che "deturpano il volto della chiesa"
(35), non ne pregiudi-cano la "santità", fondata
sulla sua "incorporazione a Cri-sto"(33). Anche "l'acquiescenza
manifestata, specie in alcuni se-coli a metodi di intolleranza
e persino di violenza a servizio della verità" viene
messa sul conto dei "figli della chiesa" (35) e non
mai collegata con la storica alleanza fra l'altare e il trono
e quindi con la concezione dell'evangelizzazione.
Verso
una "nuova evangelizzazione" e un ecumenismo romanocentrico
E'
evidente a partire da queste premesse, che la nuova evangelizzazione,
propugnata dal Papa per il terzo millennio, si manterrà
in fondamentale continuità con la storia che egli chia-ma
a celebrare. Così il primo anno della preparazione quinquenna-le
avrà come tema "Gesù Cristo, unico Salvatore
del mondo, ieri oggi e sempre" (40) e come guida il Catechismo
della chiesa cat-tolica (42). Nel secondo anno, si parlerà
dello Spirito Santo, considerato "l'agente principale della
nuova evangelizzazione". Ci si impegnerà a riscoprire
la presenza ed azione dello Spirito, il quale, si precisa, "agisce
nella Chiesa sia sacramentalmente, soprattutto mediante la confermazione,
sia attraverso molteplici carismi, compiti e ministeri da Lui
suscitati per il bene di es-sa" (45) L'azione dello Spirito
verrà invocata particolarmente per fondare l'autorità
degli apostoli (45) e per suscitare "un senso più
vivo dell'obbedienza ecclesiale".(47) Finalmente le celebrazioni
del giubileo esprimeranno simbo-licamente e realmente la centralità
di Cristo e della chiesa romana:"Essendo Cristo l'unica
via di accesso al Padre, per sot-tolinearne la presensa viva
e salvifica nella chiesa e nel mondo, si terrà a Roma,
in occasione del Grande Giubileo,il Congresso eucaristico internazionale"(55).
L'ecclesiocentrismo cattolico incide naturalmente sul modo con
cui sono pensati i rapporti con le altre confessioni cristia-ne
e con le altre religioni. Anche dove si considera l'ecumenismo
una dimensione essenziale delle celebrazioni giubilari, si ritie-ne
che esso non possa mettere in questione la superiorità
del cattolicesimo. Così, percorrendo a grandi tratti
la storia dell'evangeliz-zazione, il papa si riferisce quasi
esclusivamente alla chiesa cattolica. Egli fa una rapida allusione
alle chiese orientali, ma dalla sua panoramica sono totalmente
assenti le chiese evangeli-che. Interpretando poi l'antico testamento
ed i giubilei in esso celebrati essenzialmente come preparazione
ed annunzio della ve-nuta di Cristo (6, 11), egli pregiudica
seriamente l'incontro con gli ebrei. Per quanto riguarda le
altre religioni non cristiane, in particolare quelle dell'Asia,
come il buddismo e l'induismo, Gio-vanni Paolo II ritiene importante
l'incontro con esse. Ma precisa subito:"Esiste l'urgente
bisogno che in occasione del grande giu-bileo si illustri e
approfondisca la verità su Cristo come unico mediatore
tra Dio e gli uomini e unico redentore del mondo, ben distinguendolo
dai fondatori di altre grandi religioni, nelle quali pur si
trovano elementi di verità che la chiesa considera con
sincero rispetto, vedendovi un riflesso della verità
che il-lumina tutti gli uomini. Nel 2000 dovrà risuonare
con forza rin-novata la proclamazione della verità: Ecce
natus est nobis Salva-tor mundi."(38) Del resto, fin dalle
prime pagine della lettera, il papa aveva indicato il fondamento
della superiorità del cristianesimo su tutte le altre
religioni: il fatto cioè che il suo fondatore sia Dio
stesso."Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo
si differenzia dalle altre religioni nelle quali si è
espressa fin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo.
Nel cristianesimo l'avvio è dato dall'Incarnazione del
Verbo. Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio,, ma è
Dio che viene in Persona a parlare di sè all'uomo ..."
(6). Non sarà certo facile per la chiesa cattolica rilancia-re
su basi solide il movimento ecumenico riaffermando al tempo
stesso la centralità e superiorità del cattolicesimo.
L'ecclesiocentrismo non influisce solo sul significato teo-logico
del giubileo, ma anche, naturalmente, sulla forma della sua
celebrazione. Al centro di essa , in questa prospettiva, vie-ne
a trovarsi l'affluenza a Roma dei fedeli di tutto il mondo.
Si pevede per il 2000 l'arrivo di 30 a 40 milioni di pellegrini,
con una media di 100.000 persone al giorno: il pellegrinaggio
più af-follato della storia. Forse un avvenimento spirituale,
ma indub-biamente un avvenimento turistico di enorme rilievo
economico e politico, che finirà con l'essere prevalente
sia nello sforzo di organizzazione sia nell'immagine che il
giubileo proietterà all'opinione pubblica e pertanto
nel progetto di "nuova evange-lizzazione" che realizzerà.
Quindi questo progetto di giubileo finisce col celebrare e rilanciare
un certo modello di evangelizzazione , strettamente legata al
potere politico ed economico. In occasione del V cen-tenario,
la celebrazione della prima evangelizzazione dell'Ame-rica Latina
implicava la legittimazione della conquista , e quin-di dell'
organizzazione colonialista da essa istaurata.Allo stesso modo
, in occasione del secondo millennio, la celebrazione incondizionata
dell' evangelizzazione del mondo implica la legit-timazione
dei rapporti di dominio che essa ha favorito e quindi della
civiltà colonialista occidentale, che ha preteso di chia-marsi
cristiana. Inoltre, la celebrazione del giubileo del 2000 sarà
segnata dall'alleanza tra la chiesa cattolica e le forze economiche
e politiche coinvolte in questo enorme affare e dalla concezione
dell'evangelizzazione in essa implicata. Pertanto , l'ecclesiocentrismo
che caratterizza il progetto wojtyliano di giubileo genera in
esso una serie di contraddizio-ni. Vuol essere un tempo di penitenza
e di conversione, ma esal-tando il modello di evangelizzazione
a partire dal potere poli-tico ed economico, legittima le relazioni
di dominio che esso ha favorito e pertanto la civiltà
colonialista occidentale, detta cristiana. Si propone di rafforzare
il movimento ecumenico, ma riaffermando al tempo stesso la centralità
storica del cattolice-sismo e lasua superiorità sulle
altre confessioni e religioni.
II
- IL GIUBILEO, MOBILITAZIONE PER LA LIBERAZIONE DEGLI OPPRESSI
Il
giubileo nella storia d'Israele e nella prospettiva di Gesù:
tempo di conversione e di liberazione
Il
giubileo cristiano vuole ispirarsi alla tradizione bibli-ca
e soprattutto al messaggio di Gesù. Il papa ricorda che
nell'Antico Testamento (come si legge nel Levitico 25 e nel
Deu-teronomio,15,1-11) esso era un tempo dedicato in modo particolare
a Dio, che cadeva ogni settimo anno, ed era considerato un anno
sabbatico, durante il quale si lasciava riposare la terra ,
si dovevano liberare gli schiavi ebrei e condonare tutti i debiti.
Nell'anno giubilare poi, che cadeva ogni 50 anni, queste prospet-tive
venivano ampliate. Veniva proclamata l"l'emancipazione
di tutti gli abitanti bisognosi di liberazione. In questa occasione
ogni israelita rientrava in possesso della terra dei suoi padri,
se eventualmente l'aveva venduta o persa cadendo in schiavitù."
(12) L'anno giubilare pertanto doveva restituire l'ugua-glianza
tra tutti i figli d'Israele e ripristinare fra di essi la giustizia
sociale. Ciò implicava un governo ed una legislazione
intesi a proteggere i più deboli, garantendo i loro diritti
con-tro la prepotenza dei ricchi.(13) Su questo retroterra,
si comprende la profonda reinterpre-tazione del giubileo proposta
da Gesù, quando si presenta al po-polo di Nazareth, leggendo
questo passo di Isaia:"Lo Spirito del Signore Dio è
su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione
; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare
le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà
degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a proclamare
l'anno di misericordia del Signore." (11) Nella prospettiva
di Gesù quindi il giubileo è un tempo di liberazione
integrale, che esprime la sostanza della sua missione. Ma è
difficile trovare il riflesso di questa impostazione nell' interpretazione
del giubileo proposta da Giovanni Paolo II. In essa infatti
l'ecclesiocentrismo eclissa il punto di vista de-gli oppressi.
L'evangelizzazione che egli celebra e che si pro-pone di rilanciare
ha perso ogni rapporto con la liberazione so-ciale; anzi, entra
spesso in contraddizione con essa, e diventa la legalizzazione
della schiavitù; ha perso inoltre ogni rapporto con il
ricupero delle terre, ma diventa a volte la giustifica-zione
dell'esproprio. Così, il carattere penitenziale del giubileo
si spiritua-lizza, e fa leva sulla "concessione di indulgenze
in modo più largo che in altri periodi". Dagli obbiettivi
primari del giubi-leo scompare quello di restituire l'uguaglianza
tra i figli d'I-sraele, mentre assume un'importanza decisiva
quello, ecclesiocen-trico, di restaurare l'unità dei
cristiani.(16,24,34,38,53,55) Certo, è presente nelle
preoccupazioni del papa il riferi-mento ai poveri ed agli emarginati,
oggetto di un' opzione prefe-renziale della chiesa. "Si
deve anzi dire che l'impegno per la giustizia e per la pace
in un mondo come il nostro segnato da tanti conflitti e da intollerabili
disuguaglianze sociali ed eco-nomiche, è un aspetto qualificante
della preparazione e della ce-lebrazione del Giubileo."
(51) Ma questa sincera preoccupazione non elimina la distanza
tra il giubileo della chiesa romana e quello della bibbia; tra
il giubileo proclamato dal papa e quello proclamato da Gesù.
Anzit-tutto perché il riferimento ai poveri ed agli emarginati
non è più al centro del giubileo, ma ne diventa
un aspetto secondario, di cui il documento papale si occupa
solo verso la fine, illu-strando il contenuto del terzo anno
di preparazione. Tale riferi-mento inoltre, che non parla di
liberazione degli schiavi, ha perso la carica sovversiva nei
confronti dell'assetto sociale che lo caratterizzava sia nei
giubilei d'Israele, sia nel giubileo proclamato da Gesù.
Per
un giubileo celebrato dal punto di vista
dei popoli indigeni insorti
Vorrei
ora avanzare una proposta, intesa a riscoprire il si-gnificato
originario, penitenziale e liberatore, del giubileo ed a restituire
alla scelta dei poveri il suo ruolo centrale nella caratterizzazione
dell'avvenimento. Essa fa leva sulla coinciden-za tra il passaggio
dal II al III millennio ed il decennio inter-nazionale dei popoli
indigeni, proclamato dalle Nazioni Unite, che va dal 10 dicembre
del 1994 al 10 dicembre del 2004. La pro-posta è quella
di accostare il passaggio dal II al III millennio dal punto
di vista dei popoli indigeni, che emergono alla co-scienza ed
alla dignità di soggetti. Nel '92 , come abbiamo già
ricordato, moltissime persone, ruppi, movimenti, comitati si
sono mobilitati per rifiutare le celebrazioni del V Centenario
della conquista e dell'evangelizza-zione, e soprattutto l'ideologia
ad esse soggiacente, quella dei conquistatori e dei dominatori.
Ci siamo domandati se non fosse altrettanto urgente un'analisi
dell'ideologia che soggiace al progetto di celebrazione del
millennio, inteso come esaltazione dei duemila anni di civiltà
cristiana. Perchè non è certo possi-bile separare
il giudizio sui 500 anni da un giudizio sui 2000 anni. La conquista
e le conquiste generatrici della modernità, la colonizzazione
e l'evangelizzazione, furono lo sbocco naturale del progetto
imperiale di organizzazione del mondo e di interpre-tazione
del cristianesimo, consacrato dal patto costantiniano. Si osserverà
forse che l'imperialismo non caratterizza solo l'era cristiana,
ma che in questo essa non fa che prolungare ideologie e pratiche
ad essa anteriori. E' vero. Ma è , appunto qui, per i
credenti, il cuore del problema che li turba : perché
il cristianesimo non ha cambiato la storia ? Perché non
è riusci-to a spezzare la legge del più forte,
ma si è piuttosto piegato ad essa? Perché il messaggio
liberatore lanciato da Gesù si è trasformato così
spesso, nella versione proposta dalle chiese, in un appello
alla sottomissione ed alla rassegnazione? E' lecito pensare
che il cristianesimo non ha cambiato il mondo perché
il mondo ha cambiato il cristianesmo? Interrogarsi sul significato
dei due millenni trascorsi vuol dire tentare una valutazione
della civiltà occidentale cri-stiana e quindi anche dell'evangelizzazione,
quale si è realmente svolta: perché non parlare
di un "cristianesimo reale" distinto e spesso contrapposto
al cristianesimo ideale annunciato da Gesù. Interrogarsi
sulle prospettive del terzo millennio vuol dire do-mandarsi
se esso debba rappresentare uno sviluppo coerente dei primi
due o se non s'imponga nei confronti di essi una rottura ed
un'inversione di tendenza. Affermare in tale contesto la nostra
identificazione con i popoli indigeni, significa assumere il
loro punto di vista per giudicare la storia passata e progettare
quella futura: adottare il punto di vista degli esclusi della
nostra civiltà anzichè quello dei dominatori.
Una scelta di civiltà che dovrebbe essere anche una scelta
di vita. Ripensare il giubileo del 2000 dal punto di vista dei
popoli indigeni significa riscoprire il suo originario significato
pe-nitenziale e liberatore, ritrovare la sua carica sovversiva.
Si-gnifica per le chiese rilanciare il messaggio di Gesù,
impegnan-dosi al fianco dei popoli indigeni e di tutti gli oppressi
del mondo nella loro lotta di liberazione, cioè nel loro
sforzo di affermarsi come soggetti storici. Significa denunciare
coraggio-samente il crimine e il peccato strutturale dell' emarginazione
delle grandi maggioranze dell'umanità, e l'ideologia
liberale che lo ispira. Significa quindi porre al centro della
mobilitazione giubilare non tanto l'unità fra le chiese
, quanto la solidarietà fra i popoli ed i continenti;
una riconciliazione che non tra-sformi solo i rapporti interpersonali,
ma soprattutto i rapporti strutturali fra il Nord e il Sud del
mondo. Significa anche lottare perché i paesi ricchi
condonino il debito dei poveri, che costituisce oggi lo strumento
più micidia-le di sfruttamento e di dominio; la forma
più spietata della schiavitù dei popoli. Perché
soprattutto riconoscano il loro proprio debito nei confronti
di essi e s'impegnino a pagarlo. Significa infine appoggiare
i popoli indigeni nella lotta che conducono per ricuperare le
terre dei loro padri, sequestrate violentemente dai conquistatori
di ieri e di oggi.
Il
giubileo, tempo di conversione per le chiese
Ripensare
il giubileo dal punto di vista dei popoli indigeni impone anche
di riconoscere la responsabilità, nella genesi di una
civiltà genocida, non solo "dei cristiani",
ma delle chiese come tali e della loro pratica evangelizzatrice,
rimettendo quindi radicalmente in questione il progetto giubilare
di autoce-lebrazione, ed impegnandosi invece sul cammino della
conversione. Impone loro quindi di assumere oggi fino in fondo
la scelta degli oppressi, schierandosi al fianco dei popoli
che hanno contribuito e che contribuiscono ad asservire; riconoscendo
anch'esse nei loro confronti il loro debito storico , culturale
ed economico, ed impegnandosi a pagarlo. La celebrazione più
cristiana del giubileo da parte delle chiese sarebbe l'iniziativa
di restituire ai popoli indigeni le terre che furono loro strappate
dai conquistatori e colnizzatori e che formano parte oggi del
patrimonio ecclesiastico, A questo riguardo, sembra oggi estremamente
importante valorizzare la te-stimonianza, spesso sconosciuta
o clandestina, dei sacerdoti e vescovi che hanno avuto il coraggio
di riconoscere nella pratica questo debito storico della chiesa
ed hanno cominciato a pagarlo, affrontando la persecuzione non
solo dei latifondisti, dei gover-ni e delle bande paramilitari,
ma anche dei loro fratelli nel sa-cerdozio e nell'episcopato
e della curia romana. Il messaggio di liberazione lanciato dalle
chiese al mondo non avrebbe nessuna credibilità se esse
non avessero il coraggio di ratificarlo, come Gesù, con
la loro testimonainza. Per tutte le chiese locali, la celebrazione
del giubileo sarebbe certamente più autentica se esse
destinassero al servizio degli oppressi e della loro liberazione
tutte le risorse che avrebbero investito nell'organizzazione
di pellegrinaggi massicci verso il "centro della cristianità".
Perché l'autentico centro della cristianità è
il Signore presente nella vita, la sofferenza e la lotta degli
oppressi.
La
testimonianza profetica e sovversiva di Mons.Proaño
Assume
in questa prospettiva un valore esemplare la figura di Mons.
Leónidas Proaño, vescovo di Riobamba, Ecuador,
che con-sacrò la sua vita a promuovere l'affermazione
dei popoli indigeni come soggetti nella società e nella
chiesa, restituendo loro l'orgoglio di essere indigeni, eredi
di grandi culture e religio-ni. Egli poi non si limitò
ad un impegno politico e culturale, ma giunse a consegnare agli
indigeni le terre della diocesi, ricono-scendo il loro diritto
storico su di esse e considerando questo gesto semplicemente
come una restituzione. Desidero ricordare questa pagina gloriosa
della storia della chiesa con le parole dello stesso Proaño:
" In realtà, la popola-zione della diocesi di Riobamba
era composta per due terzi da in-digeni. Trovai che la loro
situazione era deplorevole da ogni punto di vista: economico,
sociale, educativo, politico, religio-so. Vivevano nella più
completa miseria; erano vittime del di-sprezzo di tutti; erano
terribilmente emarginati dalla società e anche dalla
chiesa. La chiesa di Riobamba era padrona di notevoli estensioni
di terreno, come erede di sistemi postcoloniali. Era una vergogna.
Ma la realtà era questa. Con le autorizzazioni ecclesiastiche
necessarie, la chiesa procedette, attraverso un lungo processo
di preparazione, a con-segnare gratuitamente 370 ettari di terra
ad una cooperativa di familie indigene, promossa dalla stessa
chiesa. Poco tempo dopo , quando il governo dell'Ecuador emanò
la prima legge di riforma agraria, la chiesa, con una convezione,
cedette una delle sue più grandi proprietà, perché
si realizzas-se una riforma agraria tra migliaia di famiglie
indigene. Allo stesso scopo, qualche anno più tardi,
cedette il resto delle sue proprietà. Così la
chiesa di Riobamba purificò il suo volto, macchiato per
secoli dalla condizione di grande proprietaria. Così,
con il volto pulito, potè schierarsi al fianco dei "più
poveri tra i po-veri" nella giusta lotta per affermare
il loro diritto alla terra." Le iniziative di Proaño
ebbero sugl'indigeni un impatto co-scientizzatore e mobilitante,
spingendoli ad esigere le loro ter-re da altri latifondisti
e da altri vescovi. Di qui la guerra che gli dichiararono i
grandi proprietari e gli stessi vescovi. Di qui anche le preoccupazioni
che il Vaticano manifestò riguardo al suo orientamento
ideologico e pastorale, inviandogli, nel 1973, un visitatore
apostolico, incaricato di verificare le ac-cuse di comunismo
dirette contro di lui. Cominciò in tale modo un processo
di "deproanizzazione", che continua e si rafforza
dopo la sua morte, inteso non solo a delegittimare e bloccare
le sue iniziative, ma anche a distruggere il messaggio evangelicamente
sovversivo del suo pensiero teologico e pastorale.
Il
giubileo, tempo di apertura macroecumenica
Per
quanto riguarda le chiese, non si tratta solo di resti-tiuire
le terre ai legittimi proprietari, ma di riconoscere la propria
responsabilità nel genocidio culturale e religioso degl'indigeni
e pertanto di mettere onestamente in questione la concezione
dell'evangelzzazione che ha legittimato quei crimini oggettivi
( senza per questo mettere in dubbio la buona fede e la dedizione
di molti missionari). In tale contesto, l'ecumenismo del giubileo
sarà chiamato a compiere un salto di qualità.
Primo, superando le frontiere delle chiese, per estendersi a
tutte le religioni impegnate nella libe-razione degli uomini
e dei popoli, particolarmente alle religio-ni originarie dei
popoli indigeni ed a quelle degli afroamerica-ni. In secondo
luogo, stabilendo con esse un rapporto di dialogo e di reciprocità,
e quindi abbandonando il presupposto della superiorità
e centralità storica del cristianesimo. Terzo, ponen-do
espressamente tra gli obbiettivi comuni la campagna per la restituzione
delle terre ai popoli indigeni da parte della chie-sa. Quarto,
specialmente per le chiese che hanno una forte pre-senza indigena,l'ecumenismo
suppone la capacità di riconoscere e denunciare la loro
identificazione storica con le culture europee e di rinnovarsi
promuovendo l'affermazione dei popoli indigeni come soggetti,
contribuendo alla riscoperta e rivalutazione delle loro culture
e religioni ed aprendosi al loro contributo: il che significa
diventare una chiesa indigena, promuovere una liturgia indigena,
una lettura indigena della bibblia, una teologia indi-gena,
ecc. Per la chiesa universale queste esperienze di chiesa locale
rappresentano un appello radicale alla conversione e mobi-litazione,
coerenti con la scelta degli oppressi come soggetti.
Desidero
concludere questa riflessione ricordando le parole pronunciate
da Mons.Proaño a letto, poche ore prima di morire: "
Mi viene un'idea, mi sconvolge un'idea: che la chiesa è
l'unica responsabile della situazione di oppressione degl'indigeni.
Che dolore! Che dolore| Io sento sulle mie spalle questo peso
di se-coli. Che dolore! Che dolore!" Questo testamento
è una provoca-zione straordinariamente efficace ad una
riletture evangelica del giubileo come appello al pentimento
ed alla conversione per le chiese e come annuncio di liberazione
per i poveri.