Debito estero del Sud o del Nord?
di
Giulio Girardi
Attualità
e centralizzazione del problema del "debito"
È
urgente rompere il silenzio.
Fra
il 10 e il 12 di luglio di quest'anno si è riunita a
Caracas la conferenza internazionale "il debito estero
e la fine del millennio" convocata dal parlamento Latino
Americano e da quello del Venezuela. Quest'incontro, segnala
Fidel Castro nel messaggio diretto alla conferenza, "rompe
il silenzio di molti anni sul tema e spezza il mito che il debito
sia un argomento della decade passata, carente di rilievo e
attualità".
Il silenzio, al quale si riferisce Fidel, ha una doppia spiegazione.
Da un lato, i poteri economici e politici dominanti hanno tutto
l'interesse ad occultare un problema così esplosivo,
che potrebbe essere la miccia di una mobilitazione nazionale
e continentale. Senza dubbio, questo silenzio è eloquente.
Il suo messaggio in codice è il seguente: dopo la caduta
del muro di Berlino, il debito estero ha cessato di essere un
problema; in termini generali, ha smesso di avere validità
ogni discussione sulla dipendenza del sud, la quale s'impone
come irreversibile.
D'altra parte molti movimenti popolari hanno interiorizzato
questo messaggio della cultura dominante, sono diventati "realisti"
e ora non si azzardano a sollevare problemi di fronte ai quali
si sentono impotenti, come sono i problemi del debito, della
alternativa al sistema capitalista, della sovranità nazionale,
della unità continentale, del conflitto Nord-Sud, dell'imperialismo.
Quando un problema sembra insolubile, la cosa più facile
è agire come se non esistesse, come se appartenesse al
passato. Allora, il silenzio che stiamo denunciando non è
solo quello della grande stampa e della politica ufficiale,
ma anche quello delle organizzazioni popolari indigene e negre.
La nostra riflessione pretende di contribuire a rompere il silenzio
sul problema, riaffermando la sua centralità e attualità.
Con questo obiettivo, prenderemo come punto di partenza non
i dibattiti ideologici, ma la sofferenza e il lamento del popolo
povero che sente nella propria carne, tutti i giorni e tutte
le notti, quello che è realmente il dissanguamento provocato
dal debito. In questo contesto, affermare che il debito ha cessato
di essere un problema, significa pretendere che la vita e la
morte del popolo hanno cessato di essere un problema. Affermare
che il pagamento del debito è inevitabile significa riconoscere
che il trionfo della morte è definitivo.
Così la protesta del popolo rompe il silenzio della politica
ufficiale. Questa è la protesta che vogliamo ascoltare,
che ispirerà la nostra analisi e la valutazione del "debito"
e la nostra mobilitazione per spezzare questa catena.
IL
DEBITO ESTERO NEL PROCESSO DI GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERALE E
NEL CONFLITTO NORD-SUD
Per
comprendere la natura, gravità e difficoltà del
problema del debito, si deve ubicarlo nel contesto della globalizzazione
del conflitto Nord-Sud. La globalizzazione neoliberale è
il processo di unificazione del mondo, fondato sulla unificazione
dei mercati. Non è propriamente, come si pretende alle
volte, la instaurazione delle relazioni di interdipendenza,
ma di dipendenza unilaterale o neocoloniale, caratterizzata
da una crescente concentrazione del denaro e del potere e per
la dominazione del capitale finanziario transnazionale. Ora,
il debito estero è esattamente il principale meccanismo
con il quale si realizza l'unificazione fra le economie dei
paesi del Terzo Mondo e quelle del Primo Mondo in termini di
dipendenza e subordinazione.
L'ideologia dominante neoliberale afferma che le leggi economiche
sono obiettive e deterministiche e che pertanto il sistema capitalista
non ha alternative. Ora, il meccanismo del debito sta strettamente
vincolato alla logica del capitalismo neoliberale. Pertanto,
se il capitalismo non ha alternative, tanto meno ne ha il debito.
Allora, il problema del debito estero ha la stessa centralità
e attualità del conflitto Nord-Sud . Costituisce poi
la catena con la quale il Nord continua schiavizzare e spogliare
il Sud. Allora prendere partito contro il debito esterno è
prendere partito nel conflitto Nord-Sud.
Senza dubbio, è importante sottolineare che quando si
parla di questo conflitto, il Nord e il Sud non si intendono
oggi in senso geografico, ma economico e politico. Fanno parte
del Nord economico non solo gli otto paesi più industrializzati
del mondo, ma anche gli organismi finanziari internazionali,
come la banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale e
le imprese transnazionali che geograficamente possono stare
sia al Sud che al Nord; cosi come i grandi capitalisti che vivono
nel Sud geografico. D'altro lato fanno parte del Sud economico
le maggioranze popolari impoverite che vivono, o meglio sopravvivono,
nel Nord geografico.
Allora analizzare e valutare il debito estero è una maniera
molto concreta per analizzare e valutare la globalizzazione
neoliberale dal punto di vista dei popoli oppressi del Terzo
Mondo. Mobilizzarsi per spezzare la catena del debito è
la maniera più concreta per trovare un'alternativa popolare
alla globalizzazione imperialista neoliberale.
IL
PUNTO DI VISTA DEGLI OPPRESSI RIBELLI
Nello
studio del problema del debito, vogliamo ripercorrere le tappe
definite dalla metodologia dell'educazione popolare liberatrice
e della teologia della liberazione: vedere, giudicare e agire.
Senza dubbio ubicando questo tema nel cuore del conflitto Nord-Sud
stiamo affermando che la sua analisi e valutazione non sono
neutrali, ma dipendano dal punto di vista a partire dal quale
si accosta: quello dei gruppi dominanti, più concretamente
della borghesia transnazionale e quello dei popoli oppressi.
Una presa di coscienza massiccia della contrapposizione fra
il punto di vista dei "Conquistadores" di ieri e di
oggi e quello della resistenza indigena, negra e popolare si
verificò attorno al quinto centenario dalla "Conquista":
questa esplosione di coscienza marcò una svolta nella
storia dei popoli indigeni e di tutto il continente indoafrolatinoamericano.
I due punti di vista si scontrano non solo nella analisi e valutazione
della conquista e della evangelizzazione, ma anche nella interpretazione
di tutta la storia, le culture, le religioni e il cristianesimo.
Allora la nostra focalizzazione del problema del debito non
sarà neutrale. Lo affronteremo dal punto di vista dei
popoli oppressi, particolarmente degli indigeni, che assurgono
alla coscienza e alla dignità di soggetti storici. Il
riferimento agli oppressi "come soggetti" è
essenziale. Perché gli oppressi sono vittime non solo
della dominazione economica e politica ma anche della dominazione
culturale. Come dire che essi giungono ad identificarsi con
l'oppressore, a interiorizzare le sue idee e valori, per esempio
sul tema del debito estero, la globalizzazione, il liberalismo,
etc. Allora il punto di vista degli oppressi sottomessi coincide
con quello dell'oppressore, non rappresenta un pensiero alternativo.
In cambio gli oppressi assumono un punto di vista autonomo antagonista
e alternativo nel momento in cui prendono coscienza della loro
condizione di oppressione, si ribellano ad essa, respingono
le idee e i valori della cultura dominante, rivendicano il diritto
a pensare autonomamente.
Noi assumiamo il punto di vista degli oppressi ribelli, perché
la loro messa a fuoco non è solo più giusta eticamente
e politicamente, ma anche più veritiera e più
feconda culturalmente che il punto di vista dominante. Perché
gli oppressi hanno interesse a scoprire e manifestare la verità,
che è la loro miglior alleata, a smascherare la violenza
che caratterizza il sistema e la menzogna che lo ricopre, affermando
l'identità e i diritti di ogni persona e di ogni popolo.
In cambio i gruppi dominanti non riescono a conoscere ne a riconoscere
l'altro come altro, perché non gli interessa; quello
che cercano è sottometterlo e sfruttarlo. Per questo
Cristoforo Colombo in realtà non scopri l'America: il
suo punto di vista era quello del conquistatore e sfruttatore.
Inoltre i gruppi dominanti hanno interesse a occultare la violenza
della quale sono responsabili e per tanto propongono un immagine
mistificata e invertita della realtà.
Senza dubbio l'ideologia liberaldemocratica domina realmente
a livello mondiale la cultura e l'educazione e penetra inconsciamente
nell'animo della persone. Pertanto assumere il punto di vista
degli oppressi suppone per ogni persona una rottura con la cultura
che ha orientato la sua educazione; suppone, in altre parole,
una certa rivoluzione culturale.
Affrontando il problema del debito dal punto di vista dei popoli
oppressi, dobbiamo rintracciare la stessa formulazione del problema
in questi termini: debito estero del Sud o del Nord? In questa
ricerca ci riferiremo spesso al punto di vista della resistenza
indigena negra e popolare, espressa particolarmente nei documenti
continentali prodotti in occasione del quinto centenario. Ponendo
l'espressione debito estero del Sud tra virgolette, vogliamo
porre in dubbio da principio l'esistenza stessa di questo supposto
debito.
I
- COS' E' IL "DEBITO ESTERO" DEL SUD?
Vogliamo
in primo luogo riflettere sul supposto debito estero del Sud
e più precisamente dell'America latina. Per comprendere
in cosa consiste il debito vogliamo conoscere per prima cosa
il suo importo attuale, poi chiederci qual è la sua origine
e qual è il suo impatto sulla vita delle popolazioni.
Ammontare
del "debito estero" dell'America Latina
Uno
dei calcoli più recenti dell'ammontare del debito estero
dell'America Latina è quello che propone Fidel Castro
nel suo messaggio all'incontro continentale, che stiamo citando:
"Alla fine del 1996 il debito estero dell'America Latina
raggiunse la somma di 607 mila 230 milioni di dollari. Solamente
tra il 1995 e 1996 il debito crebbe di 73 mila 794 milioni.
Però più significativo è anche il fatto
che, prendendo in considerazione solo a partire dallo scoppio
della crisi del debito estero nel 1982 fino all'anno scorso,
l'America Latina ha pagato per gli interessi del suo debito
739 mila 900 milioni di dollari come dire una cifra maggiore
del 18% del debito totale accumulato.
C'è qui un'espressione in più del processo di
dissanguamento che sta soffrendo la regione durante la decade
e mezzo di sottomissione alla logica assurda di un debito che
agisce come freno decisivo di qualsiasi possibilità di
sviluppo economico e sociale e che ha le sue radici più
profonde nell'essenziale iniquità dell'attuale ordine
economico mondiale
"
"Il debito estero della regione ha cambiato qualche aspetto
però la suzione che provoca il debito continua e inoltre
aumenta. Se tra il 1986 e 1988 l'America Latina pagò
53.000 milioni di dollari annuali per l'interesse del suo debito
estero, tra il 1991 e il1996 questa cifra si alzò in
media di 86.000 milioni di dollari annuali. Il pagamento degli
interessi del debito ha compromesso di nuovo il 30% delle entrate
per esportazione della regione
L'enorme cifra di 739.900 milioni di dollari consegnati dalla
regione ai suoi creditori tra il 1982 e il 1986 solo per vedere
duplicarsi il suo debito in questo stesso periodo fino a superare
600.000 milioni di dollari è una chiara espressione del
significato del debito estero come ostacolo incompatibile con
lo sviluppo e l'indipendenza stessa dei paesi dell'America Latina.
E' evidente che se l'America Latina avesse dedicato al suo proprio
sviluppo economico e a finanziare programmi sociali solamente
la metà di questa somma colossale consegnata ai creditori
negli ultimi 15 anni, la triste realtà di povertà,
emarginazione, ineguaglianza e abbandono potrebbe essere diversa".
Quello di cui si tratta, cioè di cifre inimmaginabili,
ci permette di avere un'intuizione anche emotiva delle dimensioni
enormi e tragiche del carico che pesa sopra i nostri popoli
e del problema che vogliamo porre.
Origine del "debito estero" dell'America Latina come
problema di vita e di morte
Ciò che ci interessa non è solo conoscere l'origine
dell'indebitamento dell'America Latina come fenomeno particolare,
ma anche e soprattutto comprendere perché e come questo
fenomeno giunse a occupare il posto centrale nella vita economica
e politica del continente e a rappresentare il più drammatico
dei suoi problemi.
In questa ricerca, si impone prima di tutto una presa di partito
tra le spiegazioni congiunturali, che relazionano il debito
con una crisi transitoria e le spiegazioni strutturali che cercano
le loro radici nell'organizzazione politica ed economica del
mondo e nel modello economico vigente in ogni paese. Evidentemente
queste due spiegazioni orientano in direzioni molto diverse
la soluzione del problema.
Noi percepiamo l'origine dell'indebitamento nelle strutture
politiche ed economiche internazionali del capitalismo: il problema
del debito non sorge in ultima analisi dal debito stesso, ma
dal modello economico che lo genera. La sua remota origine sta
nelle relazioni strutturali di dipendenza; e la sua origine
prossima si ubica nel momento in cui il debito incomincia a
rappresentare un carico insopportabile e un fattore fondamentale
dell'economia del paese.
Una ragione importante dell'indebitamento è per i paesi
dell'America Latina il deterioramento dei termini dell'intercambio:
i prodotti che essi esportano si abbassano di prezzo e quelli
che importano aumentano. Allora l'indebitamento si rende necessario
per mantenere o aumentare il livello di consumo. Adesso, il
deterioramento dei termini dell'intercambio si deve essenzialmente
alla dipendenza commerciale dei paesi dell'America Latina, rispetto
ai paesi industrializzati del Nord. Dipendenza che è
una delle forme con cui la conquista si prolunga dopo "l'indipendenza"
politica. In altre parole, l'indebitamento dei paesi ex coloniali
è un prolungamento della violenza originaria che ha distrutto
la sua autonomia e le ha imposto una condizione di dipendenza
politica ed economica.
Il pagamento del debito incomincia a rappresentare un problema
nuovo e drammatico per l'America Latina a partire dal momento
in cui la sua crescita raggiunge un ritmo vertiginoso rispetto
all'esportazione dei beni, rendendo impossibile la sua ammortizzazione
per l'economia del paese, rendendo ogni volta più difficile
il pagamento degli interessi e determinando la politica economica
globale.
Gli economisti differiscono nel determinare precisamente la
data di questa svolta: alcuni la ubicano negli anni cinquanta
altri nei settanta. In ogni modo queste due date corrispondono
a due momenti cruciali nell'espansione capitalista: ed è
molto significativa questa coincidenza tra espansione capitalista
e accrescimento vertiginoso del debito. Gli anni 50 sono quelli
dell'internazionalizzazione del mercato capitalista, sotto l'egemonia
nordamericana. Gli anni 70 sono quelli della transnazionalizzazione
del mercato, che va collocandosi più in là del
controllo nazionale e internazionale.
Con la transnazionalizzazione dei mercati coincide la "monetizzazione
dell'economia" come dire il prevalere del capitale finanziario
sul capitale produttivo. I grandi gruppi economici che nel periodo
dell'internazionalizzazione del mercato (anni'50 e '60) hanno
accumulato enormi guadagni, cercano l'investimento più
redditizio dei loro capitali: e scoprono che la cosa più
redditizia non è l'investimento produttivo ma quello
finanziario o speculativo. Allora l'obiettivo prioritario del
capitalista non è incrementare la produttività
della sua impresa ma aumentare il rendimento finanziario del
suo capitale.
Così il capitale finanziario, rappresentato specialmente
dalle grandi banche, prende il potere sul mercato e sull'insieme
della società. Il denaro è riconosciuto e adorato
come Dio. La monetizzazione del mercato aumenta la sua autonomia
rispetto alle esigenze generali del paese e particolarmente
alle necessità delle grandi maggioranze. Aumenta nello
stesso tempo il suo influsso determinante sulle politiche nazionali
e internazionali. La "stabilità" di un paese
e del mondo si definisce per la sua capacità di creare
e salvaguardare le condizioni che permettano l'accumulazione
illimitata di denaro.
In questo contesto, i prestiti con alti tassi di interesse (fino
al 20%) si impongono come uno degli investimenti più
redditizi. Allora essi rispondono per prima cosa agli interessi
del capitale e solo secondariamente a quelli del paese in sviluppo.
Sorge così il fenomeno dell'indebitamento. Spinto dalla
sua fame insaziabile di guadagno e di potere, il capitale impone
interessi ogni volta più da usurai.
Si verifica inoltre un'evoluzione negli obiettivi dei prestiti.
Se in una prima fase i prestiti dovevano finanziare iniziative
produttive, come la costruzione di infrastrutture economiche
o altri progetti di sviluppo, progressivamente essi si orientano
verso obiettivi più redditizi, come sono gli investimenti
finanziari. I prestiti arrivano ad essere soprattutto una risorsa
per pagare gli interessi del debito: risorse per lo più
insufficienti perché i debitori più pagano e più
si ritrovano indebitati.
Così l'indebitamento, che era nato come un aiuto allo
sviluppo di un paese, si converte, per la stessa logica del
capitalismo, nel principale ostacolo allo sviluppo stesso.
Voglio inoltre proporre, sull'evoluzione della crisi del debito,
un'ipotesi che non ho potuto verificare, ma che mi sembra chiarificatrice:
la mondializzazione dei mercati è un nuovo fattore di
aggravamento della crisi. Per quale ragione? Il crollo del comunismo
europeo e la fine della guerra fredda liberano il neoliberalismo
dalle residue preoccupazioni sociali che lo frenavano nell'applicazione
cinicamente conseguente dei suoi principi. Il trionfo sul comunismo
ha aumentato l'arroganza del capitalismo in tutti i campi. È
più che probabile che questa stessa attitudine si manifesti
nella rinegoziazione del "debito".
Per comprendere più profondamente la natura del "debito"
e la sua consistenza giuridica e morale, è essenziale
sapere da un lato chi la contrasse e al servizio di quali interessi;
e dall'altro chi dovrà pagarlo. Ora nella maggioranza
dei casi, i prestiti furono contratti da governi o da imprese
private al margine della volontà del popolo; furono contratti
non per sopperire alla necessità della grande maggioranza,
ma per favorire gli interessi di minoranze privilegiate (dirigenti
politici, imprese nazionali o estere ecc.) che si affrettavano
a depositare i loro capitali in banche straniere; così
pure servirono i prestiti per comprare le armi e per aggravare
la repressione violenta dei movimenti popolari. Ora questi stessi
popoli che non furono beneficiari ma vittime dei prestiti dovranno
pagarlo con il loro sangue.
L'interpretazione dell'origine del debito che cerchiamo di proporre,
intende esprimere, come tutto il nostro mettere a fuoco, il
punto di vista delle vittime. Per tanto, l'ideologia dominante
la respinge e propone una spiegazione alternativa secondo la
quale il principale responsabile dell'indebitamento è
lo Stato che ha speso troppo specialmente in attività
improduttive,(come lo sono i servizi sociali); che ha assunto
un ruolo troppo attivo nell'economia, come gestore di imprese
caratterizzate dalla loro inefficienza, che ha rappresentato
il principale ostacolo alla libertà di mercato e per
tanto la produttività dell'economia. Per questo gli agenti
del neoliberalismo, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
Internazionale, troveranno la soluzione alla crisi del debito
nella liberalizzazione illimitata dell'economia e la completa
eliminazione dell'intervenzionismo statale.
Così la logica del mercato capitalista che per le vittime
del debito è la causa della crisi, rappresenta, per il
neoliberalismo, il cammino della soluzione. Questa contrapposizione
evidenzia una volta di più l'importanza del "punto
di vista "che si assume di fronte alla crisi del debito.
Effetti
del debito nella vita dei popoli
Il
problema principale costituito dal debito, non sono la sue dimensioni
e il suo accrescimento ma il suo effetto paralizzante che distorce
la vita del paese. La impossibilità nella quale si ritrovano
i debitori ad ammortizzare i loro debiti è nello stesso
tempo la necessità che hanno di ottenere nuovi prestiti
comporta conseguenze politiche ed economiche molto gravi.
1)
Il "debito" giunge ad essere una catena perpetua dei
popoli debitori,
il
principale strumento del suo sfruttamento e della dominazione,
la distruzione della sua sovranità economica e politica
.
I paesi debitori devono poi rinegoziare tutti gli anni i termini
del debito con i paesi e gli organismi finanziari accreditati.
Questi negoziati non si realizzano evidentemente da pari a pari
ma fra il forte, che può imporre le sue condizioni, e
il debole, che deve accettarle, se vuole sopravvivere.
Ora, accettare le condizioni dettate dai creditori significa
per il paese debitore rinunciare alla sua sovranità economica
e politica che non sono separabili. Significa accettare che
tutta la vita economica del paese sia organizzata nel modo più
efficiente già non in funzione degli interessi del paese
ma per ottenere la valuta straniera necessaria al pagamento
del debito o per lo meno degli interessi. Organizzata dunque
non per arricchire il paese ma per impoverirlo. Significa ufficializzare
in maniera definitiva una relazione neocoloniale di sfruttamento
e dominazione e ristabilire la schiavitù.
2)
Il "debito" rappresenta una giustificazione permanente
delle politiche economiche neoliberali
che
hanno precisamente fra i loro obiettivi quello di subordinare
l'economia al "servizio del debito" e più generalmente
quello di spezzare nel paese tutte le barriere che impediscono
la illimitata libertà di mercato e la presa del potere
economico e politico da parte del capitale finanziario transnazionale.
Concretamente, questa ristrutturazione della vita economica
suole significare, per esempio: a) la monetizzazione dell'economia,
come dire la riduzione degli investimenti produttive e il fomentare
degli investimenti speculativi di conseguenza, l'economia diventa
ogni volta più autonoma rispetto alla vita del paese
e più indifferente alle necessità primarie della
gente; b) aumento delle esportazioni e per tanto della produzione
di beni che si possono vendere sul mercato internazionale; c)
riduzione delle importazioni, compresi i beni necessari alla
popolazione( alimenti medicine ecc.); d) incremento degli investimenti
stranieri che suppongono la riduzione del lavoro e la concessione
di condizioni privilegiate a quelle imprese; e) riduzione del
potere e dei diritti del lavoratore; repressione delle sue organizzazioni;
f) privatizzazione delle imprese e dei servizi pubblici; g)
riduzione o eliminazione del ruolo organizzatore dello Stato
dell'economia del paese; h) riduzione del deficit fiscale dello
stato, per tanto della spesa pubblica, e smantellamento dei
servizi sociali ( salute, istruzione, assistenza sociale).
Ricorda nel suo messaggio Fidel Castro: "la seconda conferenza
regionale sulla povertà in America Latina, convocata
dal PNUD ed effettuata in Quito nel 1990, stabilì la
cifra di 282 mila milioni di dollari come l'ammontare del finanziamento
necessario per ottenere la scolarizzazione totale dei bambini
in età di istruzione primaria, alfabetizzare e dare un'educazione
primaria a 34 milioni di adulti, completare l'istruzione primaria
di altri 61,5 milioni di adulti, risolvere la mancanza di abitazione
e dare assistenza sanitaria ai quasi 100 milioni di persone
che non riceveranno nessuna assistenza nel periodo fino all'anno
2000. Questa cifra, per la quale i poveri, gli analfabeti e
i malati continuano ad aspettare, non è più del
46% del debito accumulato e appena il 38% dell'interesse pagato
per quello a partire del 1982".
3)
Il "debito" paralizza lo sviluppo e incrementa il
sottosviluppo
Il
pagamento del debito assorbe una parte crescente delle risorse
del paese, che sarebbe urgente trasformare nello sviluppo e
nella soluzione dei problemi vitali. Il debito si converte allora
in un canale di estorsione legale delle risorse, in un mostro
che succhia il sangue del popolo. L'incremento del debito comporta
la diminuzione della crescita economica del paese. Si crea per
tanto una contraddizione centrale tra il profitto del debito
e quello del popolo; o, se si vuole, tra il debito esterno e
il debito interno, che la Stato ha col suo popolo. Il debito
si trasforma così in una questione di vita o di morte.
4)
Il "debito" approfondisce le disuguaglianze sociali
e acutizza la lotta di classe
Le condizione imposte all'economia del paese dai creditori favoriscono
gli interessi delle minoranze privilegiate, per esempio degli
imprenditori nazionali o stranieri che producono e commercializzano
beni esportabili; allo stesso tempo aumentano la povertà,
la disoccupazione, la fame, l'emarginazione delle grandi maggioranze
e provocano lo smantellamento dei servizi sociali, di salute,
istruzione e assistenza ai bambini e agli anziani. Il servizio
del debito allora è una fonte permanente di disuguaglianza
e ingiustizia sociale e per tanto acutizza la lotta di classe.
Le relazioni internazionali di dominazione generano relazioni
analoghe a livello nazionale. Così le borghesie nazionali,
beneficiarie dei prestiti, si trasformano in alleate dei prestatori
e colonizzatori, pertanto in nemici della sovranità nazionale
e agenti della dominazione straniera.
5)
Il "debito" è una guerra non dichiarata di
una minoranza contro le grandi maggioranze
Secondo
la definizione classica di Karl von Clausewitz "la guerra
è un atto di violenza il cui obiettivo è di forzare
l'avversario a fare la nostra volontà". Ora, i meccanismi
del debito permettono al creditore , come precisamente stiamo
dimostrando, di convertirsi in padrone dell'economia del paese
debitore, e per tanto in arbitro della vita e della morte della
sua popolazione. Il debito è una guerra coloniale, che
come tale ritarda l'orologio della storia.
Il debito come la guerra distrugge e uccide la gente, semina
infermità, fame e miseria. Produce gli stessi effetti
della guerra però in modo più graduale ed occulto.
E' il dissanguamento progressivo di un popolo. È una
guerra che rimane al di fuori degli schermi della televisione.
Scriveva Machiavelli ne Il Principe: "gli Stati conquistati
possono essere mantenuti dai conquistatori in tre diverse maniere.
La prima è distruggerli. La seconda è che il conquistatore
vada a viverci di persona. La terza è permettergli di
continuare a vivere sotto le sue proprie leggi, assoggettati
ad un regolare tributo, ricreare in essi un governo di qualcuno
che mantenga il paese come amico del conquistatore". Questa
ultima forma di dominazione, la più vantaggiosa e la
meno costosa per il conquistatore, è precisamente quella
che praticano oggi i paesi e gli organismi creditori.
Fa parte dei meccanismi del debito anche il ricorso alla violenza
militare. Senza dubbio non sono i creditori che prendono le
armi per imporre la loro volontà, ma gli stessi paesi
debitori che mobilitano i loro eserciti e polizie per imporre
al popolo la volontà dei loro creditori. Come dire che:
6)
Il "debito" favorisce l'autoritarismo, la militarizzazione
del paese e la repressione dei movimenti popolari
Lo
Stato debitore si trova nella necessità di soffocare
lo scontento sociale generato dalla sua politica economica.
Si rafforzano allora nel suo seno le tendenze militaristiche
e autoritaristiche. Il potere esecutivo, fantoccio del potere
economico nazionale e internazionale prevale il potere legislativo
e giudiziario. Cosi la supposta democratizzazione dell'economia
distrugge allo stesso tempo la sovranità nazionale e
la democrazia.
In questo contesto, uno degli investimenti principale dei prestiti
suole essere la corsa armamentaria e per tanto la militarizzazione
del paese. Investimento che non è solo inutile per il
popolo ma che offre allo stato strumenti per reprimere le mobilizzazioni
popolari di protesta contro le misure neoliberali.
Sulle relazioni fra debito e corsa agli armamenti è significativa
la proposta cubana , ricordata da Fidel nel suo messaggio: "A
metà del decennio scorso proponemmo che l'annullamento
di questo debito impagabile era possibile senza provocare fratture
al sistema finanziario nazionale, mediante la diminuzione delle
spese militari che raggiungevano già somme gigantesche
ogni anno. Quella giustificazione scomparve, però i paesi
sviluppati continuano a spendere 700mila milioni di dollari
annui in armi e soldati. Con un solo anno di questa spesa militare
si potrebbe annullare il debito estero dell'America Latina,
in tre anni arriverebbe ad annullare il debito estero di tutto
il mondo sottosviluppato che raggiunge 1,9 milioni di milioni
di dollari."
Demistificare
l'immagine "spontanea" del "debito estero"
Il
dovere di pagare il debito estero proclamato dall'etica neo-liberale
e dagli organismi finanziari internazionali e transnazionali,
si fonda su un ragionamento apparentemente molto semplice :
il debito estero è un debito come qualsiasi altro, dunque
pagarlo è un dovere come per qualsiasi altro: Inoltre
il debitore è uno stato e per tanto il suo dovere di
pagare il debito è un obbligo etico-politico.
Questo ragionamento si fonda sull'immagine spontanea del debito
estero, che tende precisamente ad interpretarla come forma particolare
di debito; come se il termine "debito" fosse univoco,
come dire applicabile nello stesso senso dentro o fuori dal
sistema capitalista.
A questo livello il prestito, che genera il debito, è
l'erogazione di una quantità di denaro chiesta da una
persona o un gruppo per sopperire a necessità congiunturali.
Da qui il dovere di rendere il denaro con interessi proporzionati
all'entità del servizio offerto si fonda nel compromesso
assunto dal prestatore e nel servizio che il prestito gli ha
offerto. Sono le stesse persone che hanno ottenuto vantaggi
dal prestito quelli che hanno il dovere di rendere la somma
con i suoi interessi. Si tratta dunque di uno scambio. Compiere
questo dovere è una questione d'onore.
Adesso l'analisi del debito estero che abbiamo proposto ci permette
di smantellare questa immagine. In questo caso poiché
si attribuisce il dovere del pagamento a un soggetto che non
ha contratto il debito, che non ha tratto nessun vantaggio da
prestito, che al contrario è stato gravemente danneggiato
da esso. Si chiama prestito un'operazione che non ha nessuna
utilità per il prestatore e che serve solo agli interessi
dell'usuraio favorendo il suo arricchimento e il suo potere
di dominare. Si designa con un termine che indica una relazione
congiunturale quello che è in realtà una relazione
strutturale di dominio. Si esige il pagamento con interessi
di una somma che è in realtà il frutto di un saccheggio:
si chiede inoltre al "debitore" che renda quello che
in realtà è suo e che egli ha tutto il diritto
di esigere con gli interessi per il principio di indennizzo.
La coscienza di queste differenze fonda la valutazione del debito
dal punto di vista dei oppressi ribelli.
II
- VALUTAZIONE DEL DEBITO ESTERO DEL SUD
Gli
effetti del debito nella vita dei popoli offrono il criterio
fondamentale di una valutazione etica e politica, per la quale
vediamo la storia dal punto di vista degli oppressi. Questa
valutazione ha due obiettivi strettamente vincolati: il debito
stesso e il pagamento di esso.
Valutazione
etica e politica del "debito" stesso
Vogliamo
formulare questa valutazione con le parole della campagna "500
anni di resistenza indigena, negra e popolare". Nella convocazione
al primo Incontro Continentale, si denuncia, tra i segnali che
"la brutalità della conquista non è cosa
del passato", lo "strangolamento della nostra economia
con il pagamento di un debito estero immorale e impagabile"
(Bogotà, p.277). Nella Dichiarazione di Bogotà
si ritorna a indicare "l'illegittimo e immorale debito
estero" come segno che continua "il genocidio e il
saccheggio compiuto dagli invasori" (p.285).
"Il debito estero che hanno contratto i governi senza vantaggi
per i nostri popoli è una delle vestigia del colonialismo"
che è urgente sradicare. Esso è "uno dei
principali ostacoli per la crescita e la stabilità della
nostra economia e un fattore fondamentale, che impedisce lo
sviluppo economico, di evidente dimensione politica" (Quetzaltenango,p.24).
"Oltre ad averci sfruttato per cinque secoli, i paesi neo-coloniali
pretendono che gli paghiamo un debito estero che raggiunge i
400 mila milioni di dollari. Oggi stesso il denaro che si presume
fluisca generosamente verso i nostri paesi non è sufficiente
al pagamento degli interessi. In questo modo i nostri popoli
affondano in una spirale di povertà e l'impagabile debito
estero, certamente minore del debito storico che essi hanno
verso di noi, si trasforma in strumento centrale di dominazione
del sistema finanziario internazionale e delle grandi potenze"
(Quetzaltenango, pp.41-42). "Si sente il giogo di un passato
debito estero, contratto dagli oppressori dei nostri popoli
che generano ogni volta maggior dipendenza dimostrandoci che
le potenze creditrici sono complici della distruzione della
nostra vita (Quito, p.263). Tra i meccanismi mortali con i quali
si esercita la dominazione capitalista, si segnala giustamente
uno "scambio del debito estero con l'ecologia, nuova pratica
etnocida in vigore in tutti i pesi" (Quetzaltenango, p.43,p.45).
Si denuncia "l'imposizione della cosiddetta "democrazia"
del sistema capitalista neo-liberale, saccheggiatore di risorse,
genocida, etnocida che per mezzo del debito estero succhia il
sangue del nostro popolo e genera fame, miseria, analfabetismo,
denutrizione e morte" (p.43).
Il debito estero dunque non è per il movimento indigeno,
nero e popolare che un ingiustizia fra le altre, della quale
i suoi popoli sono vittime, ma si è trasformato nel fattore
principale di dominazione e strangolamento dell'economia. Esso
è lo strumento più sottilmente crudele del neocolonialismo,
la prolungazione e istituzionalizzazione del genocidio originario;
un crimine di lesa umanità che rimane impunito poiché
mantiene tutte le apparenze della legalità, perché
è perfettamente coerente con la logica costitutiva del
nuovo ordine mondiale. In altre parole: un crimine di questa
gravità si perpetra con l'approvazione della cultura
dominante e per tanto della maggioranza dell'umanità.
Valutazione
etica e politica del pagamento del "debito"
Il giudizio etico e politico sul pagamento del debito estero
implicato in queste valutazioni è molto chiaro: non esiste
nessun dovere di pagare il debito, ma piuttosto c'è il
dovere di non pagarlo. Perché?
1. Il popolo non ha assunto in proposito nessun impegno. Il
debito è stato contratto ai margini della volontà
popolare e contro il suo interesse.
2. Il popolo non ha ricevuto nessun beneficio da questi prestiti,
che ritornano ai paesi prestatori come capitali in fuga o come
risultato del cambio ineguale.
3. Il popolo è stato vittima della repressione della
militarizzazione dello stato, finanziata dai prestiti internazionali.
4. La scelta concreta sta fra continuare a pagare il debito
e difendere la vita del popolo, riscattare la sovranità
nazionale, riorientare l'economia al servizio del Paese e del
suo sviluppo.
5. Il debito è impagabile: nessuno può essere
obbligato a fare qualcosa di impossibile.
6. I prestiti che l'America Latina ha ricevuto e riceve sono,
per concludere, il frutto delle spoliazioni perpetrate da secoli
di conquista e dai meccanismi di un sistema economico e politico
immorale. Pertanto non è solo legittimo e necessario
il rifiuto del debito, ma è legittimo esigere indennizzi
per le spoliazioni delle quali i popoli indoafrolatinoamericani
sono stati vittime.
In una parola: il debito non si deve pagare perché non
esiste, quello che esiste, e deve essere pagato, è tutt'al
più il debito delle potenze del Nord.
III
- PER ROMPERE LA CATENA DEL DEBITO
Alzare
la bandiera del non pagamento del debito con piena coscienza
delle sue difficoltà
La
reazione più coerente di un popolo che prende coscienza
del carattere criminale del debito e' il rifiuto del pagamento.
Di fatto, tra le organizzazioni popolari, i sindacati, i partiti
di sinistra, le organizzazioni indigene, la chiesa popolare
ecc. si impone ogni volta di più questa tesi.
Nell'incontro di Quetzaltenango la campagna "500 anni di
resistenza indigena, negra e popolare" si pronuncia "contro
il pagamento del debito estero" (p.22); e la commissione
"Gioventù" decide: "Alzare la bandiera
del non pagamento del debito e la rottura delle relazioni con
il fondo Monetario Internazionale". (p.61)
"Al giorno d'oggi, oltre ad essere stati storicamente spogliati,
i popoli della nostra America ci troviamo oppressi da un considerevole
e eccessivo debito estero. Se i governi delle potenze coloniali
di ieri programmano con gran lusso e ancora maggiore pompa la
celebrazione giubilare di una data storica come quella che ci
porta il 1992, dobbiamo domandar loro se non hanno pensato che
esiste anche un debito storico che essi hanno con molti popoli.
Noi pensiamo che questo è uno dei punti che può
contribuire a raggruppare i nostri diversi movimenti e a creare
una coscienza su quanto assurde e ingiuste possano risultare
le presenti pressioni che esercita la comunità finanziaria
internazionale sull'America Indigena Nera e Popolare. Già
ci hanno rubato il passato, adesso per giunta vogliono ipotecare
il nostro futuro e quello dei nostri figli.(Quetzaltenango,
p.42)
La conseguenza di queste premesse è tagliente: "Respingiamo
il pagamento del debito estero, dei nostri paesi ed esigiamo
l'indennizzo per il genocidio, i massacri e i saccheggi dei
nostri popoli". (Quito,p.20) Dobbiamo "rifiutarci
di pagare il debito estero perché non dobbiamo nulla,
siamo stati spogliati delle nostre ricchezze." (Managua,
p.30)
Durante l'incontro continentale sul debito estero dell'America
Latina e dei Caraibi, celebrato all'Habana, Cuba, nel 1985,
la dirigente indigena Qichua dell'Ecuador, dichiarò in
merito: "noi indigeni nelle nostre assemblee e nei nostri
congressi abbiamo respinto il pagamento di questo debito estero.
Perché è ben certo che i nostri governi hanno
firmato molto facilmente gli accordi e, molto facilmente, gli
hanno resi pubblici " per lo sviluppo e per il beneficio
delle comunità", quando andiamo alle comunità,
in realtà noi non abbiamo ricevuto un soldo da questo
debito, né dai privati né dagli statali, perché
nelle nostre comunità non si vedono ospedali, non si
vede una buona scuola, non ci sono mezzi di comunicazione, né
strade che realmente possano aiutare la comunità, non
si vede nessuno sviluppo. Per questo noi abbiamo negato e abbiamo
respinto questo pagamento, e per questo diciamo che lo paghino
coloro i quali lo ricevettero, e che non dobbiamo pagare noi.
Da ciò, nonostante che il rappresentante del governo
del nostro paese abbia detto che sono d'accordo a pagare il
debito, noi, come popolo, per quello che proviamo sulla nostra
pelle , diciamo: "no al pagamento del debito estero".
Perché molto facilmente loro dicono sì al pagamento.
E' facile con un decreto di austerità
chiaro, l'austerità
è che noi stringiamo ogni giorno più la cintura
e smettiamo di mangiare. Questo è un decreto mascherato
da genocidio massiccio che vogliono fare lentamente con il nostro
popolo.
Per questo la nostra organizzazione, il nostro popolo, dice
che si faccia il nuovo ordinamento
dove però non
si continui a uccidere di fame il popolo, dove si aiuti la liberazione
dei nostri popoli, dove non continuiamo ad essere sottomessi
alle pressioni né agli abusi del Fondo Monetario Internazionale.
Non pagare il debito significherebbe dirigere al servizio delle
grandi maggioranze i capitali che si sarebbero dispersi consegnandoli
alle organizzazioni usuraie. Non pagare il debito significherebbe
soprattutto riscattare la sovranità nazionale, per tanto
la possibilità di riorientare la produzione e tutta l'economia
a servizio del paese.
Senza dubbio, assumendo questa di posizione non possiamo prescindere
da una obiezione che ci verrà da ogni parte. Questo programma
non è realizzabile, manca di realismo, sarà fatalmente
distrutto. Perché il debito può essere immorale
e impagabile, però è anche inevitabile come il
capitalismo neoliberale.
Certamente una decisione così grave come quella del non
pagamento del debito non si prenderebbe impunemente. Le rappresaglie
da parte dei creditori sarebbero immediate e spietate. I paesi
debitori si vedrebbero negare ogni nuovo prestito e sarebbero
boicottati nelle loro esportazioni e importazioni.
Inoltre il mancato pagamento del debito eliminerebbe il principale
ostacolo alla soluzione dei problemi economici del paese, però
non risolverebbe i problemi dell'alternativa economica e politica
che resterebbero drammaticamente aperti. Si è certi che
il problema del debito ha le sue radici profonde nel modello
economico nazionale e internazionale, e il non pagamento lascerebbe
aperti gli altri problemi provocati dal modello.
Allora, il non pagamento del debito sarà un'opzione realista
e non demagogica, solo se si prende piena coscienza dell'enorme
difficoltà che sarà necessario affrontare per
sostenerla coerentemente.
Inoltre, sarà un'opzione realistica e non demagogica
solo se sarà parte di un progetto e una strategia globale,
fondata sul protagonismo del popolo e orientata verso una media
e grande scadenza per realizzare una ristrutturazione dell'economia
a servizio delle grandi maggioranza. Il popolo ecuadoriano ha
oggi un'opportunità eccezionale per affermare con efficacia
il non pagamento del debito, vincolando questa rivendicazione
con un progetto globale di alternativa economica e politica:
l'assemblea nazionale costituente.
Promuovere
un processo di coscientizzazione e mobilitazione che riconosca
il popolo come protagonista della soluzione
La
stessa espressione di debito estero è uno dei meccanismi
che servono a nascondere e legittimare questo crimine. Esso
poi trasforma il saccheggio e il genocidio commesso dai paesi
ricchi in un atto di beneficenza; conferisce ad una violenza
sistematica la dignità del fondamento del diritto. Trasforma
la vittima del crimine in debitrice e per tanto in ostaggio
e schiava del creditore. Il supposto debito del sud serve ad
occultare il gravissimo debito storico del nord.
Allora un momento centrale nella lotta liberatrice dei popoli
del sud è la presa di coscienza dei meccanismi del debito,
della loro stretta relazione con la logica del capitalismo mondiale,
della sua natura criminale e genocida, della contraddizione
tra pagamento del debito e difesa della sovranità nazionale.
Ora, come l'idea del debito è parte integrante della
cultura dominante liberal democratica, la presa di coscienza
della quale parliamo, dovrà smascherare questa cultura
nel suo insieme e nel processo di globalizzazione orientato
per essa, denunciando il suo carattere antipopolare.
L'itinerario naturale di ogni processo di presa di coscienza
è il vincolo di temi così generali e apparentemente
lontani dalla vita quotidiana: è importante che tutti
arriviamo a percepire l'impatto del debito su fenomeni vicini
come la disoccupazione, il rialzo dei prezzi, lo smantellamento
dei servizi sociali, il deterioramento dell'ambiente etc. .
Un aspetto della vita quotidiana che può servire come
punto di partenza di un processo di presa di coscienza è
quello dei debiti privati impagabili che in alcuni paesi stanno
convertendosi in un problema angosciante per molti cittadini.
È tipico al riguardo il caso dei Barzonistas (1 milione
500mila) del Messico. Le radici di questo problema privato coincidono
in gran misura con quelle del problema pubblico rappresentato
dal debito estero: e si trovano nel potere assoluto che si aggiudica
oggi il capitale finanziario, respingendo qualsiasi norma morale.
Il metodo più adeguato per fare scoprire questi nessi
è quello dell'educazione popolare liberatrice. Sarà
per tanto necessario elaborare a livello locale e nazionale
piani di lavoro e opuscoli informativi sul tema. Per coinvolgere
la comunità indigena nel processo di presa di coscienza
si dovranno preparare opuscoli in lingua quechua e realizzare
laboratori totalmente o parzialmente in questa lingua.
Senza dubbio la presa di coscienza non ha come obiettivo solo
la presa di coscienza del problema da parte del popolo ma anche
il suo coinvolgimento come protagonista nella soluzione. Questo
presuppone che il popolo prenda coscienza dei suoi diritti calpestati,
in primo luogo il suo diritto di autodeterminazione e prenda
la decisione di impegnarsi in maniera belligerante per difenderli.
Essere protagonista delle soluzioni significa per il popolo
non aspettare soluzioni e consegna dall'alto, ma partecipare
attivamente alla ricerca di soluzioni alternative. L'educazione
liberatrice implica anche una metodologia di investigazione
- azione partecipativa, che è urgente applicare sia alla
analisi sia alla valutazione del debito estero, sia alla ricerca
delle alternative.
La presa di coscienza così intesa sboccherà inevitabilmente
in una mobilizzazione popolare, che è l'unico sentiero
per rompere la catena del debito estero e imporre al paese un
nuova rotta. Però la mobilitazione popolare, per essere
efficace, deve essere unitaria. Allora il problema del debito
ci rimette al di la' dell'unita indigena, negra e popolare,
concepita come un'unità rispettosa della diversità.
D'altro canto, il rifiuto del debito e la realizzazione delle
alternative economiche possono rappresentare una piattaforma
unitaria di lotta per tutti settori popolari. Per tanto l'importanza
vitale dell'unità popolare deve essere uno dei obiettivi
essenziali della presa di coscienza.
Nella congiuntura attuale dell'Ecuador un obiettivo immediato
della mobilitazione popolare deve essere quello di imporre il
problema del debito estero all'attenzione dell'assemblea costituente.
Scartare
le soluzioni illusorie
Durante
gli ultimi decenni si stavano cercando soluzioni che pretendevano
di risolvere la crisi del debito influendo sopra i suoi effetti,
però senza porre domande sulle sue cause strutturali.
Tali sono per esempio la rinegoziazione del debito, la moratoria,
il fissaggio di un tetto.
1) La rinegoziazione del debito cerca la soluzione in una attenuazione
della pressione dei creditori, esigendo la riduzione degli interessi,
l'aumento dei piazzamenti, un tetto del pagamento, la fissazione
di prezzi giusti per i prodotti di esportazione etc
Importante è segnalare che i paesi creditori, che si
sono coordinati nel "club di Parigi" e nei comitati
di gestione, non riconoscono ai debitori il diritto di coordinarsi
e di negoziare collettivamente. Per tanto i negoziati sempre
si sviluppano nel segno di una correlazione di forze totalmente
sfavorevole al debitore.
2) La fissazione di un tetto al servizio del debito sul totale
delle esportazioni sul Prodotto Interno Lordo per esempio del
10 e 20 %.
3) La moratoria o sospensione dei pagamenti degli interessi
per un periodo determinato (10 o 15 anni) o per un periodo indefinito.
L'esperienza ha evidenziato il carattere illusorio di queste
soluzioni, che serve solo a prolungare l'agonia del debitore.
La ragione di questa inefficacia appare chiara: sono "soluzioni"
che non sradicano le cause strutturali del problema. Per tanto,
la presa di coscienza del carattere illusorio di queste soluzioni
è un momento importante del processo di coscientizzazione
e la preparazione più efficace a una presa di posizione
conseguente e radicale.
Porre
al centro della strategia nazionale la costruzione di spazi
di autonomia
Il
non pagamento del debito , come abbiamo segnalato, eliminerebbe
il principale ostacolo allo sviluppo del paese, però
non risolverebbe i suoi problemi economici. La soluzione si
dovrà trovare valorizzando le risorse dell'autonomia
che il non pagamento del debito avrà reso possibile,
per andare a elaborare un nuovo modello economico. Le novità
politiche fondamentali di questo modello sono, che 1° sia
orientato dal proprio popolo; 2° sia a servizio del popolo.
Le concretizzazioni di queste orientazioni esigono certamente
multiple spiegazioni tecniche, elaborate dallo stesso popolo
in stretta collaborazione con i suoi esperti.
Così il diritto di autodeterminazione politica ed economica
dei popoli, che sta nel cuore della mobilitazione indigena,
si impone una volta di più come un problema di vita o
di morte: non solo per gli indigeni ma anche per tutti i settori
popolari del paese e del continente. Si impone per tanto come
il terreno fondamentale dell'unità popolare e continentale.
Per la resistenza indigna nera e popolare il progetto di autodeterminazione
e autonomia a livello economico, si definisce giustamente rispetto
al debito estero. Nel secondo incontro continentale della campagna,
i Delegati decidono di "generare politiche proprie di autofinanziamento,
autoapprovigionamento, con tecnologie proprie, che permettano
lo sviluppo integrale autonomo per cessare di essere vittima
del debito estero e recuperare la sovranità alimentare."
(Quetzaltenango, p.49)
In una parola, l'unica alternativa all'autonomia del capitale
finanziario è l'autonomia dei popoli .
Vincolare
il riscatto della sovranità nazionale con l'unità
indoafrolatinoamericana
Le
difficoltà provocate dalle reazioni internazionali al
non pagamento del debito sarebbero insuperabili se ogni paese
dovesse affrontarle isolato: però cesserebbero di esserlo
se tra i paesi dell'America Latina si stringessero su questo
terreno vincoli autonomi di unità e di solidarietà:
se per esempio un paese fratello potesse concedere il prestito
che i padroni rifiutano; se i popoli del sud comprassero i prodotti
boicottati dal nord o vendessero i prodotti che il nord pretende
bloccare.
Le potenze creditrici sono coscienti della minaccia che rappresenterebbe
per esse un processo autonomo di unificazione latino americana.
Per questo respingono negoziazioni collettive del debito e impongono
negoziazioni separate. I governi hanno avuto fino ad ora la
debolezza di sottomettersi a questo diktat.
Dunque, il non pagamento del debito è possibile e necessario,
però non si può separare dalla lotta per l'unita
e la sovranità dell'America Latina, e per tanto per la
costruzione di un ordine mondiale veramente nuovo, come dire
fondato sopra il protagonismo del popolo e dei popoli.
Porre
la questione del debito al centro del giubileo del 2000
Vorrei
ora avanzare una proposta, che pretende di riscattare il senso
originario, penitenziale e liberatorio del giubileo e devolvere
all'opzione per i poveri il suo ruolo centrale nella caratterizzazione
dell'evento. L'idea germoglia dalla coincidenza tra il passaggio
dal 2° e 3° millennio e il decennio internazionale dei
popoli indigeni, proclamato dalle Nazioni Unite (10-12-1994
/ 10-12-2004). La proposta è quella di mettere a fuoco
il passaggio dal 2° al 3° millennio dal punto di vista
dei popoli indigeni, che emergono alla coscienza e alla dignità
di soggetti.
Nel '92, già lo abbiamo ricordato, molte persone, gruppi,
movimenti, comitati si sono mobilitati per respingere le celebrazioni
del V centenario della conquista e della evangelizzazione e
soprattutto dell'ideologia che l'ispirava, quella dei conquistatori
e dominatori. Questo rifiuto comportava la valorizzazione del
punto di vista dei popoli indigeni su quelle imprese e sull'insieme
della storia. Mi pare ugualmente urgente l'analisi dell'ideologia
che ispira il progetto di celebrazione del millennio, inteso
come esaltazione dei 2000 anni di civilizzazione cristiana.
Perché non si può separare il giudizio sui 500
anni dal giudizio sui 2000 anni. La conquista e le conquiste
generatrici della modernità sono lo sbocco naturale di
un'ideologia di una pratica imperiale, che hanno marcato di
volta in volta tutta la nostra era.
Affermare, in questo contesto, la nostra identificazione con
i popoli indigeni significa assumere il loro punto di vista
per valutare la storia passata e progettare la storia futura;
assumere il punto di vista degli esclusi della nostra civiltà
e non quello dei dominatori. Un'opzione di civilizzazione che
non si può separare da un'opzione di vita.
Mettere a fuoco il giubileo dal punto di vista degli esclusi
significa riscattare il suo senso originario, penitenziale e
liberatorio, riscoprire la sua carica sovversiva. Significa
per le chiese rilanciare il messaggio di Gesù, compromettendosi
dalla parte dei popoli indigeni e di tutti gli oppressi del
mondo nella loro lotta liberatrice, cioè nei loro sforzi
per affermarsi come soggetti storici. Significa denunciare coraggiosamente
il crimine e il peccato strutturale dell'emarginazione delle
grandi maggioranze dell'umanità e l'ideologia liberale
che le ispira. Significa per tanto porre al centro della mobilitazione
giubilare non l'unità tra le chiese ma la solidarietà
tra i popoli e i continenti; una riconciliazione che non trasformi
solo le relazioni interpersonali, ma soprattutto le relazioni
strutturali tra il nord e il sud del mondo.
Significa inoltre lottare perché i paesi ricchi rinuncino
a incassare il supposto debito da quelli poveri, che si è
trasformato nello strumento più mortale di sfruttamento
e dominazione; ancor più perché riconoscano il
loro proprio debito storico con essi e si ripromettano di pagarlo.
Significa infine appoggiare i popoli indigeni nella lotta che
conducono per recuperare la terra dei loro padri, violentemente
sequestrata dai conquistadores di ieri e di oggi.
Per concretizzare questa reinterpretazione del giubileo, potrebbe
essere utile in alcuni casi contare sullo spalleggiamento della
gerarchia. Però è essenziale che, su questo terreno
come su altri analoghi, il popolo conti principalmente sulle
proprie forze.
Il
card. Arns per la sovranità e l'unità Latino Americana
Voglio
concludere questa parte della nostra riflessione, con la sintesi
proposta sul tema dal Cardinale Arcivescovo di S. Paolo mons.
Paolo Evaristo Arns nella sua lettera all'incontro continentale
sul debito estero dell'America Latina e i Caraibi, svoltosi
all'Habana dal 30 luglio al 3 agosto 1985. Lettera che fu letta
da Frei Betto e ripresa da Fidel Castro nel suo discorso di
chiusura.
Il Cardinale sintetizzò il suo pensiero in proposito
in 5 punti:
"Primo, non ci sono possibilità reali per cui il
popolo latino americano e caraibico si prenda la responsabilità
del peso del pagamento dei debiti colossali contratti dai nostri
governi. Neppure è risolvibile continuando a pagare gli
alti interessi a spese del sacrificio del nostro sviluppo e
benessere.
Secondo, il problema del debito prima di essere finanziario
è fondamentalmente politico e come tale deve essere affrontato.
Quello che sta in gioco non sono i conti degli creditori internazionali
ma la vita di milioni di persone, che non possono sopportare
la minaccia permanete di misure recessive e della mancanza di
lavoro che conducono alla miseria e alla morte.
Terzo, i diritti umani esigono che tutti gli uomini di buona
volontà del continente e dei Caraibi, tutti i settori
responsabili, si uniscano nell'urgente ricerca di una soluzione
realistica per il problema del debito estero, come modo per
preservare la sovranità delle nostre nazioni e difendere
il principio che l'accordo principale dei nostri governi non
è con gli creditori ma con i popoli che rappresenta .
Quarto, la difesa intransigente del principio di autodeterminazione
dei nostri popoli richiede la fine dell'interferenza degli organismi
internazionali nell'amministrazione finanziaria delle nostre
nazioni. Considerando che il governo è cosa pubblica,
tutti i documenti firmati con tali organismi devono essere di
immediata conoscenza dell'opinione pubblica.
Quinto, è urgente la ristabilizzazione di basi concrete
di un nuovo ordine economico internazionale, nel quale siano
soppresse le relazioni disuguali tra paesi ricchi e poveri e
assicurato al Terzo Mondo il diritto inalienabile di dirigere
il proprio destino, libero dall'ingerenza imperialista e dalle
misure spogliatrici nelle relazioni di commercio internazionale
".
Fidel Castro nel discorso di chiusura tornò a leggere
questi punti e concluse:
"dicono che le tesi che sto difendendo sono radicali, va
bene io sottoscrivo al 100 % questo programma di cinque punti,
di questo illustre figlio del Brasile che è Paolo Evaristo
cardinale Arns!
E aggiungerei solo un sesto punto che
è l'integrazione economica dell'America Latina. E un
settimo punto, che si percepisce nella sua intenzione: questa
è una lotta per i popoli dell'America Latina e il Terzo
Mondo, per la vita di 4milamilioni di persone che soffrono e
patiscono le sofferenze di questo ordine economico inumano ed
ingiusto".
L'importanza di questo incontro, che molti qualificarono come
storico, sul debito, procede non solo dai molteplici apporti
che hanno approfondito il tema, ma anche della presa di coscienza
che egli manifestò e provocò, del fatto che il
tema del debito estero della sua analisi valutazione e abolizione
è un terreno decisivo di incontro tra tutti i popoli
indoafrolatinoamericani, che hanno seriamente optato per la
loro autodeterminazione e nello stesso tempo tra diverse correnti
politiche di ogni paese.
Diceva in proposito Frei Betto :"se l'unità dei
nostri popoli, se l'unità delle nostre chiese, se l'unità
dei nostri partiti non è possibile circa il debito estero,
è questo un fatto che consacra definitivamente la vittoria
dell'imperialismo.
Ossia, noi abbiamo nel debito estero una bandiera sotto la quale
cristiani, comunisti, democratici, gente social democratica,
gente di tutte le tendenze politiche che ha minimo di buona
volontà e onesta, possiamo riunirci per portare avanti
questo problema. In più per ciò non è sufficiente
che questo problema rimanga chiuso nelle nostri uffici, nelle
nostre chiese, nei nostri partiti, nelle nostre università.
Io penso che l'unica soluzione sia esternare il problema, portarlo
in strada, fare che il debito sia un tema discusso tra gli operai
nelle fabbriche, fra i contadini, nelle comunità popolari
cristiane, fra gli studenti nei movimenti di donne, nei movimenti
di negri, nei partiti politici, tra tutta la gente, in maniera
che si vada creando questo centro di unità e di mobilizzazione
di fronte a questo problema che oggi succede non per la nostre
concezioni religiose e politiche, ma bensì per la fame
di una moltitudine di milioni di latinoamericani che non hanno
pane, non hanno un'abitazione, non hanno scuola , perché
abbiamo il debito, che noi non abbiamo contratto, il debito
contratto dai nostri governi."
Senza dubbio, nel suo appassionato intervento, Frei Betto si
dimenticò un settore importantissimo: quello degli indigeni.
Eravamo nel 1985 quando la mobilitazione indigena non aveva
ancora la forza che avrebbe conseguito negli anni 90. Oggi sappiamo
che in molti paesi come Ecuador, Messico, Bolivia, Guatemala
etc., le popolazioni indigene stanno assumendo un ruolo di protagonista
nella lotta per l'autodeterminazione e per il non al pagamento
del debito .
In conclusione, con il tema del debito affrontiamo un dilemma
drammatico: quello di scegliere fra il diritto della forza e
la forza del diritto; tra la forza del capitale e il diritto
alla vita e all'autodeterminazione delle grandi maggioranze.
Dunque il problema centrale imposto dal debito è quello
del genocidio legale delle grandi maggioranze. Il cammino difficile
però possibile e necessario della soluzione è
nella riaffermazione belligerante del popolo a livello economico
politico e culturale come obiettivo di lotta e come asse della
strategia.
IV
IL DEBITO STORICO DEL NORD
Il
debito storico dell'Europa e del Nord America: diritto delle
vittime all'indennizzo
Nella
prospettiva del movimento indigeno, negro e popolare, un momento
fondamentale per rompere la catena del debito, è, come
abbiamo sottolineato, la presa di coscienza dei popoli sulla
loro origine e natura. Essa consiste nello smascherare il linguaggio
ufficiale sul debito, evidenziando il suo carattere mistificante,
nel senso di ciò che nasconde la realtà delle
relazioni Nord Sud, per di più presenta di queste, una
immagine capovolta. L'analisi del debito e della sua origine
da parte del movimento non si riferisce ai meccanismi tecnici
che la provocano ultimamente, ma da cinque secoli di espropriazione
e sfruttamento che l'hanno generata, permettendo alle potenze
del Nord di accumulare le loro ricchezze e devolvere ai popoli
dell'America Latina una parte dei beni che le hanno usurpato,
sotto la forma di prestiti ad usura.
"Il neoliberalismo di oggi si presenta come continuazione
storica del colonialismo e del neo-colonialismo, che significarono
anche il saccheggio a dismisura dei metalli preziosi come oro
e argento dalle nostre viscere. Persino gli stessi storici dell'economia
mondiale hanno riconosciuto e dimostrato che, oltre le migliaia
di vite perse nelle miniere, questo saccheggio di metalli preziosi
permise l'accumulazione capitalista primitiva e costituì,
alla lontana la base del benessere materiale di quello che oggi
si chiama il mondo sviluppato. Nessuno potrà negare oggi
che questo benessere attuale si appoggiò alla spoliazione
massiccia che compirono prima Spagna , Portogallo, Francia ,
Gran Bretagna e Olanda e altre potenze coloniali, alle quali
si sommano allegramente gli Stati Uniti negli ultimi decenni".(Quetztzaltenango,
p.41)
"La riflessione non deve essere circoscritta solo ai gruppi
indigeni, come la data del 1492 li ha toccati con più
violenza, poi allo sfruttamento, genocidio e distruzione socioculturale
dei gruppi indigeni si sovrappose un sistema di oppressione
che creò la sua ricchezza e splendore sull'espropriazione
dei beni prodotti dalla maggioranza dei popoli, fossero essi
bianchi indios o negri". (Bogotà, p.290)
Questa inversione del problema del debito è un aspetto
caratterizzante della nuova coscienza che si è affermata
a livello di massa in America Latina nel clima del V centenario.
Essa si fonda su un'analisi della conquista vista come invasione,
sfruttamento, rapina, espropriazione, saccheggio, genocidio
etc
:azioni qualificate per la loro gravità e dimensione
come "crimini di lesa umanità". Le terre del
nostro continente erano abitate da migliaia di popoli che all'arrivo
degli europei videro troncato il loro sviluppo. La cupidigia
e la voracità degli invasori ci negarono la condizione
di esseri umani per garantire la legittimazione dell'etnocidio,
genocidio e sottomissione della nostra gente, come dire, come
un sovrappiù alla natura a disposizione del loro dominio".
(Quito, p.260)
Questi crimini non sono stati perpetrati solo con una successione
ininterrotta di interventi repressivi ma soprattutto attraverso
delle strutture economiche e politiche della società
e del mondo attuale. Strutture che da un lato rendono l'aggressione
più continua e mortifera, dall'altro la occultano sotto
le apparenze di una relazione naturale, necessaria e normale.
Per di più, prosegue l'analisi sviluppata dal movimento,
questo saccheggio plurisecolare ha reso possibile l'arricchimento
di ognuna delle nazioni colonizzatrici europee e a posteriori
degli Stati Uniti; ha favorito quel progresso tecnologico e
militare del quale oggi le grandi potenze si sentono orgogliose
e che rafforza tutti i giorni la sua dominazione sui popoli
del Sud.
In un mondo, nel quale il saccheggio e il sfruttamento secolare
delle nostre ricchezze e del nostro lavoro ci convertì
in forza inesauribile di accumulo capitalista e dello sviluppo
industriale e tecnologico dei nuovi dominatori
Carichiamo
sulle nostre spalle il fardello di un debito crescente, che
non è altro che la nostra ricchezza convertita in prestito
e l'incasso devoluto con gli interessi. Come prima, dalle nostre
vene esce l'oro; dalle nostre viscere il petrolio; dal nostro
sudore i capitali; dai nostri sogni l'incubo della repressione
e della fame". (Managua. p.40)
Inoltre il riconoscimento del debito storico del Nord è
da un lato un argomento molto forte per discutere la stessa
esistenza del debito del Sud e per tanto il dovere di pagarlo.
E è per altro lato la base di un nuovo fronte di lotta
sul diritto dei popoli indigeni alla restituzione delle sue
terre e all'indennizzo per il genocidio del quale furono e continuano
ad essere vittime.
Inoltre, l'espropriazione dell'America Latina da parte del Nord
non è stata solo economica, ma anche politica, culturale
e religiosa: i popoli non sono stati solo espropriati delle
loro ricchezze, delle loro terre, delle loro risorse naturali,
ma anche del potere di autodeterminazione, delle sue culture
e delle sue religioni.
Migliaia di anni prima del 1492 noi popoli autoctoni eravamo
popoli autonomi, avevamo le nostre proprie forme o sistemi di
governo
Durante questi 500 anni abbiamo sofferto sottomissione,
saccheggio, sfruttamento, discriminazione, etnocidio, sono arrivati
a negarci il diritto di essere esseri umani. Ci hanno reso inquilini
in terre che per migliaia di anni furono nostre. Si emettono
leggi contro di noi, leggi le quali disconoscono la nostra forma
di essere e di pensare, il che ha fatto che i nostri popoli
vivano dipendenti ed in estrema povertà." (Managua,
p.21)
Quindi, il dovere della restituzione non concerne solo la terra
e i beni economici, ma pure i beni culturali e religiosi : "tutte
le istituzioni che abbiano oggetti, codici religiosi e resti
di valori ancestrali degli indios d'America devono renderli
alle nostre nazioni indigene, leaders spirituali e organizzazioni
indigene". (Quito, p.246)
I dirigenti indigeni fanno un riferimento particolare alla responsabilità
e al debito della Spagna: "se essa è disposta ad
indennizzare per il danno fatto dall'invasione, esigiamo che
questi risorse siano orientate verso piani e progetti che elaboreremo
e amministreremo noi per soddisfare le necessità dei
nostri popoli; per questo è necessario realizzare un
seminario che definisca la politica sull'indennizzo". (Quito,
p.239)
Per di più nell'incontro di Managua la delegazione della
regione Andina introduce la categoria di "debito ecologico"
(p.7), assunta a posteriori dall'insieme dei Delegati, che rivendicano
"il ripudio del debito estero e il pagamento del debito
ecologico e storico che spetta al nord verso i nostri popoli".
(p.43)
Il
debito compromette gli europei e i nord americani di oggi?
Sono
queste analisi che impongono al movimento indigeno, negro e
popolare di invertire il discorso delle potenze del Nord, proclamando
l'esistenza da parte di queste di un enorme debito storico rispetto
alle sue antiche colonie. Questo significa per tutti i popoli
dell'America Latina proclamare il loro diritto alla riparazione
e alla restituzione del male avuto. Per essi non è sufficiente
che le potenze del Nord riconoscano le ingiustizie e furti che
hanno commesso; né può soddisfare le loro rivendicazioni
quello che i cristiani hanno chiamato attitudine "penitenziale".
Senza dubbio, queste rivendicazioni vanno a sbattere, come abbiamo
ricordato, contro il muro dell'etnocentrismo, che impedisce
agli europei di oggi come ai loro antenati di riconoscere gli
indigeni come protagonisti della storia; che per tanto impedisce
loro di percepire nei processi di colonizzazione una violazione
sistematica e criminale dei loro diritti fondamentali. Però,
inoltre, gli europei di oggi si rifiutano di assumere le colpe
commesse dai loro antenati, anche quando le riconoscono; rifiutano
la concezione di responsabilità, secondo la quale le
colpe dei padri ricadono sui propri figli.
La rivendicazione del movimento indigeno, negro e popolare si
fonda, in cambio, su una percezione della continuità
rigorosa tra passato e presente.
"Il linguaggio della storia ufficiale non solo pone un
velo sul genocidio e saccheggio praticato dagli europei centro
le antiche civiltà di questo continente, ma continua
anche oggi a legittimare la espropriazione dei diritti ancestrali
che hanno gli indigeni nei loro territori ". (Bogotà,
p.287)
Perché la situazione attuale dei popoli ex coloniali
è influenzata decisamente dalla serie ininterrotta di
aggressioni, espropriazioni ed ingiustizie delle quelli furono
vittime. La stessa organizzazione politica, economica, culturale
e religiosa della società, che essi con ogni diritto
chiamano neocolonialista, è la prolungazione dei rapporti
coloniali instaurati 500 anni fa. D'altro lato, essi pensano
che il benessere del quale noi godiamo nel Nord, il progresso
scientifico e tecnologico che abbiamo portato a termine siano
frutto dell'accumulazione primitiva che abbiamo realizzato depredando
e sfruttando le loro ricchezze.
E' nel nome di questa continuità tra passato e presente,
che essi pensano di poter esigere oggi la riparazione dei crimini
dei quali essi soffrono oggi le conseguenze, mentre noi ne godiamo
oggi i benefici.
È urgente che questo problema cessi di essere considerato
un gioco intellettuale di certi moralisti, per recuperare il
suo posto nella coscienza dell'umanità, come una delle
questioni morali e politiche che condizionano i l loro futuro.
Debito
storico delle Chiese
In
questo processo di espropriazione, il movimento indigeno, negro
e popolare denuncia particolarmente le responsabilità
delle chiese e dell'ideologia cristiana. Esse da un lato hanno
offerto alla dominazione politica ed economica una giustificazione
giuridica e teologica, legittimando la violazione del diritto
dei popoli indigeni nel nome del diritto di Dio. D'altro lato
hanno agito direttamente, con la loro opera di evangelizzazione,
per squalificare e soffocare le culture e le religioni autoctone,
disconoscendo e violando sistematicamente il diritto dei popoli
a essere protagonisti della loro cultura e religione.
Il movimento denuncia allora la stretta relazione che è
esistita e continua ad esistere tra evangelizzazione, colonialismo
e razzismo. Dal suo punto di vista. la evangelizzazione fu lo
strumento ideologico della dominazione e dei progetti della
"nuova evangelizzazione" spinta dal Vaticano continuando
ad essere strumento della dominazione occidentale strettamente
vincolati con il neoliberalismo. "Con gli invasori arrivò
la chiesa, la quale si trasformò in un pilastro fondamentale
per la sottomissione dei nostri popoli originari. Il sistema
oppressore con la sua ideologia e la sua pratica distruttrice
ha carpito la nostra terra, però non ha potuto carpire
la nostra mente e il nostro spirito." (Quetzaltenango,
p.52) La sottomissione culturale si realizzò allora attraverso
la "evangelizzazione imposta" (Ibid. p.8) cosicché
la dichiarazione di Xelaju parla di "quello realizzato
dall'invasione europea e nord americana durante questi 499 anni
di colonialismo, neo colonialismo e evangelizzazione"(p.20)
per quello che si riferisce all'attualità, la "nuova
evangelizzazione" si trova citata fra i mezzi di cui si
avvalgono i settori egemoni, per "perpetuare dal di dentro
l'ordine ingiusto sulla nostra gente." (p.36)
Inoltre, la libera determinazione ideologica e politica delle
nazionalità indigene nel continente è stata invasa
e ostacolata dalla presenza e proliferazione di sette religiose
aliene e imposte, la quale fomenta divisioni e scontri, perfino
all'interno delle stesse comunità e reca con sé
la rapida estinzione delle religioni indigene e credenze popolari".
(Quetzaltenango, p.44)
"Scacciamo la proliferazione di sette fondamentaliste,
dal momento che sono già uno strumento di dominazione
ideologica che promuove la divisione e smobilitazione dei movimenti
popolari." (p.46) Allora per il movimento indigeno, negro
e popolare l'impatto negativo delle sette consiste nel fatto
che esse umiliano il diritto di autodeterminazione culturale
e religiosa dei popoli indigeni e nello stesso tempo provocano
smobilitazioni, abbandono delle pratiche tradizionali e divisioni.
Cosa
significa per le Chiese riconoscere il loro debito storico?
Cosa
significa per le chiese riconoscere il loro debito storico?
I documenti della resistenza indigena, negra popolare offrono
sull'argomento alcune veloci indicazioni:
"esigiamo dai governi e dalle chiese lo sgombero dei nostri
territori come atto di riparazione a 500 anni di genocidio e
etnocidio e così pure esigiamo la rinazionalizzazione
della nostra ricchezza culturale saccheggiata e profanata dagli
europei." (Quito, p.267)
La polemica con la chiesa di Cimben ha un obiettivo universale:
"respingiamo il piano della chiesa di Cimben, perché
questa istituzione è al servizio della politica e dei
governi fantocci, che negoziano con il diritto dell'economia
e per aver danneggiato le risorse naturali dell'Amazzonia, perché
hanno un debito umano con l'etnocidio, il genocidio e la distruzione
totale dei popoli indigeni. Debito culturale, perché
calpestarono in nostri valori culturali e le nostre forme di
vita. Per questo reclamiamo da queste istituzioni al servizio
delle potenze imperialiste, la riparazione di tutti questi fatti."(Bogotà,
p.297)
"Invece di celebrare i 500 anni le chiese devono chiedere
perdono e rispettare il nostro lutto e il nostro dolore".
(Quito, p.255)
Su ciò che implicherebbe per le chiese il riconoscimento
leale del loto debito storico, si trovano indicazioni e rivendicazioni
precise nel "Documento Indigeno " elaborato nel primo
incontro continentale della "Assemblea del Popolo di Dio"
.
"1. Le chiese riconoscano, nello spirito di indennizzo,
l'urgenza di disevangelizzare il male evangelizzato. Per definire
fino a dove arriva il male "evangelizzato" assumano
come criterio la opzione per gli indigeni come protagonisti
storici. Valutato con questo criterio, è male evangelizzato
tutto ciò che viola il diritto degli indigeni alla loro
terra, alla loro cultura, alla loro religione, alla loro identità.
Sviluppando questo sforzo di discernimento, le chiese non dimentichino
che per gli indigeni il male evangelizzato non è l'eccezione
ma la regola.
2. Le chiese rifondino in questo spirito il loro metodo di educazione
nelle scuole, seminari e orfanotrofi, facendo si che l'educazione
degli indigeni sia un riscatto della loro identità e
che abbia come protagonisti gli stessi indigeni.
3. Le chiese prendano l'iniziativa di rendere agli indigeni
le terre che continuano ad occupare. Difficilmente saranno efficaci
i sermoni sul diritto degli indigeni alla terra se le chiese
non danno in proposito un esempio di coerenza, compiendo un
gesto profetico.
4. Le chiese spalleggino con tutti il loro mezzi il processo
avviato dai popoli indigeni di riscatto della loro cultura e
religione, promovendo lo studio delle religioni originarie,
valorizzando le loro ricchezze e particolarmente il loro potenziale
liberatore, stimolando gli stessi indigeni a riscoprire i valori
delle loro culture e religioni, con tutti gli interrogativi
che questo suppone sulla evangelizzazione nelle sue forme concrete.
5. Riscattare le religioni originarie non significa esaltarle
incondizionatamente. Si suppone che ogni religione storica ha
i suo valori e i suoi limiti, i suoi fattori liberatori e opprimenti.
La critica e autocritica profetica incessante è essenziale
per la vitalità di ogni religione, impedendo che si converta
in uno strumento di repressione e alienazione.
Senza dubbio, questa critica non può legittimamente assume
il cristianesimo come criterio universale di verità;
ma ogni religione deve essere esercitata alla luce del proprio
progetto. La critica delle religioni originarie deve essere
principalmente opera dei suoi propri membri e non dei cristiani.
La critica e la distruzione di quelle religione, realizzata
dai conquistadores e dagli evangelizzatori è uno dei
suoi crimini più gravi che oggi dobbiamo riconoscere
lealmente. I cristiani possono stimolare nelle altre religioni
questo processo autocritico, esercitando coraggiosamente e apertamente
la loro propria autocritica, ispirati all'esempio dei profeti
e di Gesù, nei loro conflitti con il tempio.
6. Le chiese, con i loro mezzi e la rete di relazioni di cui
dispongono a livello locale, nazionale e internazionale, spalleggino
e sostengano materialmente e moralmente tutte le iniziative
che promuovono il protagonismo, la unità e l'autonomia
dei popoli indigeni.
7. Le chiese, comprese quelle che propongono un cristianesimo
liberatore, abbandonino la pretesa di essere l'unico canale
in cui il Dio liberatore si rivela al mondo; e che il Vangelo
di Gesù sia l'unico annuncio di liberazione per i poveri.
Per tanto nel loro impegno per gli indigeni non si propongano
né il battesimo né la loro cristianizzazione.
Questo suppone una profonda riprogrammazione della "pastorale
indigena".
8. Nel dialogo con gli indigeni, i cristiani e specialmente
gli agenti pastorali ricordino che la parola "evangelizzazione"
non ha per noi e per loro lo stesso significato, né la
stessa carica affettiva. Non abbiamo per tanto il diritto di
continuare imponendo loro il nostro linguaggio. Dunque, per
caratterizzare il nostro impegno liberatorio accanto a loro
sarebbe opportuno evitare la parola "evangelizzazione",
carica di tante ambiguità per la storia.
Un impegno cristiano a fianco degli indigeni cosi orientato,
sarà un apporto all'affermazione del loro protagonismo,
della loro autonomia e della loro libertà; e sarà
allo stesso tempo un segno di speranza del Dio Liberatore di
tutti gli uomini".
INDICE
INTRODUZIONE:
Attualità e centralità del problema del debito
E' urgente rompere il silenzio
Il "debito estero" nel processo di globalizzazione
neoliberale e nel conflitto Nord - Sud
Il punto di vista degli oppressi ribelli
I - COSA E' IL "DEBITO ESTERO"DEL SUD
Ammontare del "debito estero" dell'America Latina
Origini del "debito estero" dell'America Latina come
problema di vita o di morte
Effetto del debito nella vita del popolo
Demistificare l'immagine "spontanea" del "debito
estero"
II
- VALUTAZIONE DEL "DEBITO ESTERO" DEL SUD
Valutazione etica e politica del "debito" stesso
Valutazione etica e politica del pagamento del "debito"
III
- PER ROMPERE LA CATENA DEL " DEBITO"
Alzare la bandiera del non pagamento del "debito"
con piena coscienza delle
sue difficoltà
Promuovere un processo di coscientizzazione che riconosca il
popolo come protagonista della soluzione
Scartare le soluzioni illusorie
Porre al centro della strategia nazionale la costruzione di
spazi di autonomia
Vincolare il riscatto della sovranità nazionale con l'unità
indoafrolatinoamericana
Porre la questione del debito al centro del giubileo 2000
Il Card. Arns per la sovranità e l'unità latinoamericana
IV
- IL DEBITO STORICO DEL NORD
Il debito storico di Europa e Nord America: Diritto delle vittime
all'indennizzo
Il debito compromette gli europei e nord americani di oggi?
Il debito storico delle Chiese
Cosa significa per le Chiese riconoscere il loro debito storico?