A due anni dall'entrata in vigore del Trattato di Libero Commercio
con gli Stati Uniti - era il 1° marzo 2006 - l'economia salvadoregna
è in caduta libera e con essa la qualità di vita
della popolazione del piccolo paese centroamericano.
Si
calcola, infatti, che la produzione nazionale si sia ridotta del
15%, ma la disponibilità sul mercato interno è scesa
ulteriormente, toccando punte del 40%. Il perché è
facilmente intuibile: l'abbattimento dei dazi doganali ha favorito,
da un lato, l'irruzione delle potenti multinazionali del nord;
dall'altro, la riconversione dell'economia nazionale, ora finalizzata
al mercato estero, più redditizio di quello locale.
Così,
se agli inizi degli anni '90, El Salvador era già dipendente
per il 50% delle sue necessità basilari, oggi lo è
per un buon 85%, attestandosi come il sistema-paese più
fragile dell'intero subcontinente. Prova ne è che due Organismi
non certo "umanitari", come il Fondo Monetario Internazionale
(FMI) e la Banca Mondiale (BM), hanno recentemente lanciato un
"allarme crisi alimentare" per circa 1,5 milioni di
salvadoregni, su un totale di appena 5.744.113 abitanti.
Del
resto, un'avvisaglia di tale drammatica, quanto probabile, eventualità
si era già avuta a seguito del passaggio dell'uragano Stan
(2005), che, colpendo l'economia dell'intera regione, aveva indotto
le autorità di Honduras e Nicaragua a bloccare le esportazioni,
per fronteggiare, anzitutto, l'emergenza interna. In quell'occasione,
El Salvador, che da essi dipende ormai totalmente, quanto all'acquisto
di fagioli, formaggio e latte, ha sperimentato come mai in precedenza
l'amaro sapore della parola "fame".
A
peggiorare ulteriormente la situazione hanno contribuito sensibilmente
il cosiddetto "ancoraggio" (di fatto una totale sostituzione)
della moneta nazionale, il Colon, al Dollaro USA, con un valore
di cambio di 1$ per 8.75C, che ha fatto esplodere l'inflazione;
e l'introduzione forzata delle sementi geneticamente modificate
(OGM), economicamente proibitive per i piccoli contadini.
A
tutto ciò sia aggiunga la perdita di terreni coltivabili,
per la realizzazione - in atto o immediata - di enormi dighe idroelettriche,
strade a scorrimento veloce (finalizzate al trasporto merci con
gli USA) e miniere metalliche, con il conseguente inquinamento,
delle falde acquifere, a causa del piombo, del mercurio e del
cianuro, utilizzati nel processo di estrazione dell'argento e
dell'oro.
Infine,
se il disboscamento dell'intera superficie nazionale è
una pesante eredità dell'ultimo conflitto (1980-92), in
alcuni casi dovuto persino all'utilizzo del napalm, il progressivo
inquinamento dell'aria è storia quanto mai attuale. Di
esso sono causa, anzitutto, una serie infinita di violazioni alle
più elementari norme di sicurezza, da parte di ditte estere,
che contaminano impunemente la natura e la popolazione (in particolare
i minori, colpiti da gravissime forme di malattie respiratorie);
poi le precarie condizioni di vita e consumo, comuni a tutti i
paesi impoveriti, ma anche il deterioramento, apparentemente inarrestabile,
del sistema sanitario, che il governo centrale vorrebbe definitivamente
privatizzare.
Il
futuro - se mai possibile - appare ancora più fosco, per
l'incombere di tre gravi minacce.
La
prima è costituita dall'attuale recessione economica negli
Stati Uniti, paese in cui vivono e lavorano almeno due dei tre
milioni di migranti salvadoregni nel mondo. Nella migliore delle
ipotesi, questo potrebbe significare una diminuzione delle rimesse
familiari (i soldi che periodicamente ogni migrante invia alla
propria famiglia), che nel 2007 ha raggiunto la considerevole
cifra di 3.3000 milioni di dollari, pari al 20% del PIL salvadoregno
e all'85% di quanto il paese spende per acquistare dall'estero
beni di prima necessità. Ma nella peggiore, potrebbe significare
il rimpatrio di molte persone, che troverebbero una situazione
ben più grave di quella per cui, alcuni anni fa, si videro
costretti a lasciare il paese.
La
seconda seria preoccupazione è rappresentata dall'espandersi
del cosiddetto "biodisel", il nuovo combustibile ricavato
dal mais e destinato a sostituire i derivati del petrolio: certamente
più ecologico, distoglie però - anche a fronte di
un considerevole incremento della produzione - ingenti quantità
di cibo dalla bocca degli umani per destinarlo ai motori delle
auto. Anche perché questa nuova forma di economia è
"finanziata", vale a dire: economicamente favorita dai
governi; sebbene insieme al cibo, privi anche dell'acqua milioni
di persone, in quanto gli OGM, impiegati a tale scopo, succhiano
a dismisura.
Infine,
la terza fonte di preoccupazione è quella che traumatizza
maggiormente noi europei-solidali. Andando in giro per il mondo,
infatti, ci siamo assuefatti all'idea che la "parte del cattivo"
sia in qualche modo una prerogativa degli Stati Uniti, con la
Trinità Pagana (come la chiama Pedro Casaldáliga,
WTO, FMI, BM) e i loro accoliti: le transnazionali. L'Europa no:
l'Europa è compassionevole e solidale, foriera della salvaguardia
dei diritti umani. Tanto che persino alcuni analisti erano soliti
identificare gli USA con Marte e l'Europa con Venere, la dea bella
e gentile.
Ora
invece, proprio in El Salvador, l'Europa sta negoziando un "Accordo
di Associazione", termine meno sospetto per definire un Trattato
di Libero Commercio ancora più pesante, che andrà
a gravare ulteriormente sulla precaria situazione socio-economica
di quella popolazione. Un amico e analista locale, Josè
Chacon, ci spiegava: "uno dei principi dei Trattati di Libero
Commercio è quello per cui se già ne esiste uno,
quello nuovo che si va a firmare non può essere meno redditizio
del primo... in pratica l'Europa lascia andare avanti gli USA,
a fare il "lavoro sporco"... poi segue a ruota, rastrellando
qualche cosa in più. Forte anche del vantaggio dell'Euro
sul Dollaro". Niente di peggio per la nostra autostima!
E
se ai rassegnati salvadoregni non resta che la via dell'esilio:
auspicata dalle proprie autorità, ma contrastata, in tutti
i modi, da quelle dei paesi di destinazione; a noi tocca un traumatico
risveglio e un serio esame di coscienza.
Proprio
in queste ore, la stessa Unione Europea, che tratta accordi commerciali
per la libera circolazione delle merci con quei paesi, ha votato
una direttiva comunitaria sui rimpatri degli immigrati irregolari,
che prevede fino a 18 mesi nei CPT e il divieto di reingresso
per 5 anni. In Italia poi, ad alcune settimane, la maggioranza
di governo sta tentando l'impossibile per approvare una legge
che criminalizzi "penalmente" il reato d'immigrazione
"clandestina". Il tutto in un continente - ormai vecchio,
più per prospettive che per età - che non perde
occasione di vantare le proprie radici cristiane e la civiltà
della propria cultura, mentre le proprie scelte contraddicono
palesemente tanto la caritas cristiana e l'umanesimo marxista,
quanto i valori egalitari, perpetrati nella migliore tradizione
liberale.
Così
se l'Italia torna a cingersi l'elmo di Scipio e l'Europa quello
di Diana, a noi non resta che indossare le uniche armi consentite
ai pacifisti: quelle di una giustizia (2Cor 6,7) capace di resistere,
anche politicamente, contro l'inumano che avanza.
Alberto
Vitali
(articolo apparso su Mosaico
di Pace - settembre 2008)
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