Umanità in esilio

                                                                    



di Emma Nuri Pavoni

I conflitti armati causano sempre una fuga in massa di civili, tanto dentro i paesi come attraverso le frontiere internazionali. Nella maggior parte dei casi sono persone che scappando hanno dovuto abbandonare tutti i loro beni. Sono obbligati a percorrere grandi distanze, quasi sempre a piedi, per trovare un luogo sicuro dove rifugiarsi. Le famiglie di disperdono, durante la fuga spesso i bambini perdono il contatto con i loro genitori, gli anziani troppo deboli per intraprendere un viaggio lungo e faticoso rimangono soli. Gli sfollati interni e i rifugiati perdono ogni loro fonte di sostentamento e ogni mezzo per guadagnarsi da vivere. Così poi, per poter sopravvivere, dipendono, per lo meno all'inizio, dalla buona volontà delle comunità che li accolgono e dalle organizzazioni umanitarie. Nel 1951 le Nazioni Unite hanno dato ai governi gli strumenti legali internazionali per difendere i diritti dei rifugiati, la "Convenzione sullo Statuto di Rifugiati" ed il successivo Protocollo del 1967. In base all'articolo 1 della suddetta Convenzione viene riconosciuto come rifugiato "colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche si trovi fuori dal paese di cui è cittadino e non possa o non voglia, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo; oppure colui che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori dal paese in cui aveva residenza abituale, non possa o non voglia tornarvi per il timore di cui sopra". Coloro che ottengono lo status di rifugiati godono di diritti e doveri grazie ai quali tornano ad essere cittadini del mondo. Il diritto principale è quello del "non-refoulement": nessun profugo può essere costretto a ritornare in patria o spostarsi in un altro territorio qualora sussistano minacce per la sua vita. Ogni rifugiato ha infatti diritto alla sicurezza di asilo, e inoltre ad usufruire dei diritti fondamentali e degli aiuti di cui gode ogni altro straniero che risieda legalmente nel paese ospite; ha diritto alla libertà di pensiero e di movimento, alle cure mediche e ai benefici sociali ed economici, alla libertà dalle torture. Ha diritto al lavoro. Nessun bambino rifugiato dovrebbe essere privato del diritto di ricevere un'istruzione. I profughi, a loro volta, hanno il dovere di rispettare le leggi del paese che li accoglie. Per quanto riguarda gli Stati ospiti, essi non possono forzare i rifugiati al rientro o costringerli a spostarsi in paesi in cui corrono pericolo di vita, non possono discriminare tra gruppi di rifugiati e devono infine garantire che i rifugiati godano dei diritti economici e sociali allo stesso livello degli altri residenti stranieri e collaborare con l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (ACNUR). Nonostante la firma posta da ben 141 governi, per molti di questi la promessa fatta di rispettare i diritti umani dei rifugiati è rimasta una bella intenzione. Amnesty International ha invitato tutti gli stati a rinnovare il proprio impegno verso lo spirito e la lettera della suddetta Convenzione e ha chiesto a coloro che non lo avevano ancora fatto di aderirvi. Sebbene uno dei principi fondamentali stabiliti dalla Convenzione - pietra angolare della protezione internazionale riconosciuta ai rifugiati - è che non si rimandi nessuno in un paese dove corra il pericolo di subire gravi violazioni dei propri diritti umani, i governi continuano a rinviare anche le persone che rischiano il carcere, la tortura e persino l'esecuzione. Negli ultimi anni, i governi hanno approvato strategie politiche il cui effetto fosse di impedire che coloro che fuggano dalla persecuzione giungano ad un luogo sicuro e ottengano la protezione a cui hanno diritto. Hanno cioè tentato di limitare l'accesso ai loro territori, applicando criteri estremamente stretti per la concessione dell'asilo e hanno multato le compagnie di trasporto che permettevano ai propri passeggeri di viaggiare senza adeguata documentazione. In altre parole, la protezione ai rifugiati è scesa di molti gradini nella lista delle loro priorità, fino a situarsi al di sotto di quella di mantenere i rifugiati lontani dalle proprie frontiere. L'Unione europea ha introdotto la regola del "paese terzo sicuro" per respingere alla frontiera chi chiede asilo. In pratica, chi si trova a passare in un primo momento per uno dei paesi considerati "sicuri", non è accettato dall'Unione europea. Le normative francese, svizzera o tedesca collegano il diritto d'asilo solo alla persecuzione messa in atto da uno stato: come conseguenza un algerino minacciato di morte da gruppi integralisti non rientra nella categoria e non viene accolto. Negli ultimi anni i paesi occidentali industrializzati rifiutano una percentuale sempre più alta di richiedenti asilo per il timore che si tratti di, falsi rifugiati, che tentano di aggirare le porte chiuse dell'immigrazione economica; negando in questo modo un diritto previsto nella Convenzione e firmato dagli stessi paesi. L'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite stima che siano 27 milioni le persone coinvolte dal problema, di queste, almeno 15 milioni sono considerati rifugiati e dovrebbero godere di protezione internazionale (oltre la metà dei rifugiati nel mondo sono donne e bambini). L'immensa maggioranza dei rifugiati ( l'80%) vive nel sud, molti nei paesi più poveri del mondo, e lontani dallo sguardo dei mezzi di comunicazione internazionale. In Medio Oriente non si è trovata una soluzione duratura per la situazione dei più di 3.700.000 rifugiati palestinesi e 100.000 rifugiati sahariani. L'Iran continua ad avere una delle maggiori popolazioni di rifugiati del mondo, con più 1.482.000 afghani e 386.000 iracheni. La dimensione della crisi dei rifugiati in Africa è spaventosa. Nella repubblica democratica del Congo, dove si calcola che siano morte circa 3.000.000 di persone a causa del conflitto armato dal 1998, le rappresaglie contro la popolazione civile continuano ad essere una reazione abituale di tutte le bande di fronte il colpe militari. Alla fine del 2001 la popolazione civile sfollata era nientemeno che di 2.000.000 di persone, incapaci di mantenersi e fuori dalla portata delle organizzazioni umanitarie. Molte di queste persone morirono di fame; migliaia fuggirono nei paesi vicini. La guerra che continuò a devastare il Burundi prese la vita di centinai di civili disarmati. Tutte le parti del conflitto continuarono a mostrare un disprezzo totale dei diritti umani. Centinaia di migliaia di persone continuarono a restare sfollate e migliaia fuggirono dal paese. In Sudan, la guerra civile, che ha fatto approssimativamente 2 milioni di vittime da 1983, si è caratterizzata per l'abuso totale contro i diritti umani, sequestri, violenze e omicidi arbitrari. Nel 2001, si calcolava che ci fossero 4.500.000 rifugiati in Sudan e che almeno 500.000 sudanesi avevano cercato rifugio all'estero. I rifugiati della Sierra Leone che fuggirono dall'atroce conflitto del proprio paese cercarono asilo in Guinea. A metà del 2000 arrivarono in Guinea circa 500.000 rifugiati sierraleonesi e liberiani, molti dei quali rimasero qualche anno in questo paese. Nonostante la Guinea sia uno dei paesi meno sviluppati del mondo, il suo governo accettò di accogliere i rifugiati. A parte alcuni incidenti di violenza e tensione che si sono verificati durante gli ultimi 10 anni, fino al settembre del 2000 la Guinea era stato uno dei paesi più sicuri per i rifugiati. Ma in seguito ad una incursione del Fronte Rivoluzionario Unito (gruppo armato della Sierra Leone) che attaccò le popolazioni della Guinea in zona di frontiera, il presidente guineano Lansana Conté, in un discorso trasmesso alla radio, accusò i rifugiati di aiutare e appoggiare il Fronte ed affermò che dovevano essere rinchiusi in campi e rispediti al loro paese. Il discorso diede una svolta decisiva alla politica del paese verso i rifugiati causando un numero incalcolabile di morti e sparizioni. E' necessario distinguere tra profughi interni e rifugiati in altri paesi: i profughi interni sono persone prigioniere in un circolo interminabile di violenza che, come reazione naturale di fronte alle minacce, fuggono dalle zone di conflitto o persecuzione civile, come i rifugiati. Il loro numero è alto, approssimativamente tra i 20 e 25 milioni sparsi per il mondo. La differenza con i rifugiati è che quando un civile che fugge e varca la frontiera internazionale del suo paese, ottiene lo status di "rifugiato" e come tale riceve protezione internazionale e aiuti; ma se una persona nelle stesse condizioni è sfollata all'interno del paese, si trasforma in un profugo interno. Gli aiuti internazionali verso i profughi interni incontrano grandi difficoltà e spesso sono inesistenti. Attualmente l'ACNUR assiste circa 6.400.000 profughi interni. Tra i paesi latinoamericani, la Colombia è sicuramente quello che ha generato il più alto numero di profughi interni, negli ultimi 12 anni oltre 1.200.000 persone sono sfollate a causa delle violenze. Secondo il rapporto del Minga (ONG che si occupa degli sfollati in Colombia) più di 100 mila sono le persone che si trovano attualmente vicino alle frontiere del Venezuela e dell'Ecuador. Circa 55.000 sono i contadini bloccati alla frontiera con il Venezuela che non possono tornare ai loro villaggi a causa del blocco paramilitare imposto dal 1999. Mentre altri 50.000 si trovano alla frontiera con l'Ecuador, 80% di questi hanno dovuto abbandonare i campi dopo le massicce fumigazioni delle coltivazioni di coca previste dal Plan Colombia. La relazione esistente tra l'aiuto ai rifugiati e la mancanza di protezione dei diritti umani è molto chiara. Mentre nelle loro dichiarazioni sul problema dei rifugiati i governi della maggior parte del mondo industrializzato si concentrano nel costruire ulteriori barriere, Amnesty Internacional cerca di sottolineare l'importanza di confrontarsi con le cause della paura e della miseria che obbligano la gente a fuggire e, come il fatto di non farlo condanni milioni di persone a sopportare ogni abuso anche il più grave e una disperazione sempre più grande.



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