Dumping: l'esportazione
dei paesi ricchi

                                                                    



di Emma Nuri Pavoni

Da un po' di tempo, la parola "dumping" sembra essere diventata un termine frequente che appare sui giornali di molti paesi del mondo, soprattutto dopo il fallito del Vertice di Cancun, che l'ha resa oggetto di articoli giornalistici e tema di accesi dibattiti, tanto nell'ambito nazionale come nei fori internazionali. Ricercando il significato letterale di questo termine troviamo la sua origine nel verbo inglese "to dump": lasciar cadere, scaricare. Nel commercio, il dumping consiste nel vendere, all'estero, un prodotto al di sotto del suo normale valore sul mercato nazionale, non necessariamente per un ribasso di costo, durante un periodo prolungato. Spesso si sentono lamentele d'impresari perché non possono competere con imprese straniere, non perché meno efficienti, ma perché quelle usano pratiche sleali. Si riferiscono a due tipi di pratiche: la prima è il dumping, che fa si che un'impresa, efficiente o no, danneggi i suoi concorrenti e resti sul mercato, se può contare sul sufficiente capitale per finanziare vendite a prezzi che contengono una perdita o una mancanza di lucro. Il dumping causa anche danni alle economie nazionali in generale, poiché conduce all'eliminazione, ingiustificata in termini di competitività di imprese efficienti che sono motore di occupazione e sviluppo. La seconda, le sovvenzioni, avvengono quando c'è un contributo finanziario di un organismo pubblico o del governo del paese di origine, tale che rappresenti un beneficio a favore del produttore o dell'esportatore. Si considera sovvenzione anche l'azione di un governo che induca un ente privato a concedere benefici in favore di terzi. Perché una sovvenzione sia passibile a un "diritto compensatorio" (un diritto speciale che si applica per proteggere l'industria nazionale da danni causati dalle importazioni sovvenzionate) l'accesso al beneficio deve essere limitato a determinate imprese o rami della produzione, per regolamentarla o per impiantarla. Esistono però anche sovvenzioni a cui non si applicano misure compensatorie grazie ad accordi internazionali. In generale si può dire che il dumping nasce da una decisione presa in ambito privato, mentre la sovvenzione da una decisione statale. Analizzando quindi l'obiettivo del dumping, se il motivo per cui i produttori stranieri fissano i loro prezzi inferiori ai costi di produzione è perché stanno ricevendo una sovvenzione dal governo per proteggere l'impiego di una delle loro aree depresse, non c'è da obiettare. Però, sebbene il dumping sia una tattica a breve termine, parte da una strategia a lungo periodo per aumentare la scala di produzione: i consumatori dei paesi importatori continueranno ad accumulare benefici finché i prezzi restino bassi, ma non qualora diventino inferiori ai loro costi. C'è infine una terza, possibile, ragione perché si pratichi il dumping, la quale ha diverse implicazioni. Anche questa suppone una tattica a breve termine, ma l'intenzione finale è quella di distruggere l'industria interna dell'altro paese. In questi casi, il paese importatore può aspettarsi che il prezzo aumenti dopo il collasso dell'industria interna, perdendo l'unica fonte di beneficio per i consumatori. I quattro principali settori sui quali il dumping esercita il suo effetto devastante sono quello alimentare, umanitario, ecologico e sociale. Il dumping alimentare consiste nello smaltimento delle eccedenze alimentari dei paesi industrializzati, attraverso la vendita sottocosto nei paesi sottosviluppati: ciò è possibile grazie all'intervento pubblico mediante sussidi, con il risultato di indebolire ulteriormente le economie locali. A livello umanitario il dumping è il tentativo d'imporre nuovi prodotti nei paesi più disagiati, attraverso l'invio di aiuti in seguito a guerre, carestie o calamita naturali. Qualora però agli aiuti non facciano seguito interventi strutturali sul territorio, le tradizioni alimentari rischiano di venire stravolte con inevitabili ripercussioni sull'economia. Sul piano ecologico, il dumping consiste nella produzione, nel sud del mondo, a costi più bassi possibili e secondo regole bandite nei paesi industrializzati. La conseguenza è la totale mancanza di tutela tanto dell'ambiente, quanto dei lavoratori, come dei consumatori finali. Tra gli ultimi scandali, quello del Ddt usato per accelerare la maturazione delle banane. In fine il dumping sociale consiste nell'annientamento delle imprese locali, mediante l'invasione del mercato dei paesi poveri. E' frequente anche la chiusura e riapertura di infrastrutture produttive in paesi, di volta in volta, più economici, ai fini della speculazione commerciale. In entrambi i casi il risultato sono ondate di disoccupazione. Per compensare le distorsioni nell'efficacia competitiva causata dal dumping, furono perciò ideati alcuni rimedi, tra cui il principale è l'uso di un dazio anti-dumping nel commercio internazionale, sancito nell'articolo VI dell'Accordo Generale sui Dazi e il Commercio (GATT). Questo fu ufficialmente istituito il 3 ottobre del 1947 e concepito fondamentalmente come uno strumento per ridurre reciprocamente i dazi, comprendendo così un insieme di obblighi sussidiari ai principi stipulati nell'Organizzazione Mondiale del Commercio, l'istituzione che gioca un ruolo direttivo nel commercio internazionale. Il realtà, il GATT non è mai entrato in vigore, giacché soltanto Haiti ha ratificato la convenzione. Di conseguenza il GATT non è un accordo secondo la connotazione tradizionale degli accordi internazionali. Nel frattempo, sono state introdotte modifiche allo stesso, che in alcuni casi non sono state accettate da tutte le parti contraenti. Così il GATT rimane semplicemente un insieme di accordi generali e particolari, a cui hanno aderito molti paesi, senza però essere vincolante a livello internazionale. In conclusione: la concorrenza sleale è un tema sempre più importante data la crescente globalizzazione dei mercati, che provoca una maggior quantità di casi di dumping per la concorrenza sfrenata e la necessità delle imprese di abbassare i propri costi per espandersi su nuovi mercati.

EFFETTI DEL DUMPING SUI CONTADINI MESSICANI

"Il Mais è la base della nostra cultura, della nostra identità, della adattabilità e diversità. Il Mais ci creò e noi creiamo il Mais" Esposizione Sin maíz no hay país. Mexico DF, 2003 José Guadalupe Rodríguez è un contadino dello stato messicano del Chiapas. Fino a poco tempo fa il suo piccolo appezzamento di mais dava rendite sufficienti per lui e la sua famiglia e per immagazzinare scorte per il consumo durante l'anno. Con questo pagavano i costi di alimentazione ed educazione e facevano fronte agli imprevisti, come le malattie dei bambini. Ciò nonostante, negli ultimi anni la situazione è cambiata: "Figurati che il prezzo del mais si è abbassato e i costi aumentano", si lamenta José "adesso non ci da neppure il minimo per la famiglia". José è solo uno dei circa tre milioni di produttori di mais messicani, per i quali la caduta permanente dei prezzi a partire dal 1994 ha avuto un effetto devastante sui propri mezzi di sostentamento e su quelli delle rispettive famiglie. A scatenare questo processo fu il Trattato di Libero Commercio dell'America del Nord (NAFTA) entrato in vigore il 1 gennaio 1994, che aprì il mercato messicano ai produttori statunitensi. La caduta delle entrate durante la decade degli anni 90 sta avendo implicazioni dirette nella sicurezza alimentare della popolazione rurale e nel suo accesso ai servizi di base come la salute e l'educazione. Malgrado la maggior parte delle famiglie contadine si alimenti quasi esclusivamente di mais e fagioli neri, la caduta dei prezzi li obbliga a vendere tutto il grano che producono, e non conservarne a sufficienza per il proprio fabbisogno. La mancanza di guadagni rende un'eccezione il consumo di carne e pesce; nel migliore dei casi la dieta si completa con pollo o qualche vegetale creato e coltivato da loro stessi. Il collasso dei prezzi ha avuto un altro effetto nell'alimentazione delle popolazioni povere in molti villaggi: le donne, che si vedono obbligate a lavorare fuori per conseguire altre entrate, così non possono macinare il mais in casa come facevano prima. In questo modo, molte famiglie ora consumano "tortillas" fatte con farina di mais che vendono le grandi compagnie, e che in molti casi deriva da mais importato. Tra i consumatori poveri, la lamentela è ricorrente: "Io non so cos'ha questo mais, però non mi riempie. Nemmeno un chilo di Tortillias mi basta per il pranzo", dice Alfonso, lavoratore di Guadalupe Victoria (Puebla). La crisi del mais ha anche contribuito ad aggravare la situazione sanitaria, già di per se molto deteriorata. Curare una semplice bronchite infantile può costare oggi fino ad un terzo di ciò che una famiglia guadagna in un anno per la vendita di tutto il mais. I centri di salute pubblica sono scarsi e mal equipaggiati, perciò molte volte i contadini dovrebbero rivolgersi a consultori privati che incrementerebbero ulteriormente il costo delle cure. Sebbene l'educazione sia gratuita, la maggior parte delle famiglie ha difficoltà a sostenere i costi del materiale e equipaggiamento, come le uniformi. Per tanto i bambini, e specialmente le bambine, devono lasciare la scuola prima di completare gli studi primari.

Campagna Italiana "NO DUMPING" Per conoscere i termini della campagna, visitare il sito: http://www.vita.it/ap/no_dumping.htm



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