di
Emma Nuri Pavoni
"Tutti
gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli
uni verso gli altri in spirito di fratellanza" "Ad ogni individuo
spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente
Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza,
di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica
o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza,
di nascita o di altra condizione…" Due articoli della "Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani" che affermano come principio fondamentale
l'uguaglianza tra uomini e donne in ogni attività umana, politica,
economica, culturale e sociale. In teoria la parità di diritti
e doveri è universalmente accettata ma in pratica non è così,
sia nei paesi che si dicono sviluppati ma soprattutto in quelli
in via di sviluppo. L'universalità dei diritti umani è messa in
discussione da quei governi che ritengono che i diritti della
persona siano subordinati ad altri valori, come la sicurezza nazionale,
la politica economica o le tradizioni locali. Quando poi si parla
di diritti umani delle donne, la visione dei governi è ancora
più chiusa. I diritti umani non sono solo universali, sono anche
indivisibili. Non vi è ragione di attribuire un'importanza primaria
ai diritti economici e sociali, come pretendono alcuni governi.
I diritti economici e sociali, infatti, non possono essere esercitati
senza quelli civili e politici. In molti paesi le donne subiscono
tali minacce ai loro diritti civili e politici che farli valere
è per loro pressoché impossibile. Nell'ambito della negazione
dei diritti civili a motivo delle tradizioni locali non si possono
dimenticare gravi abusi come le mutilazioni genitali femminili.
Queste pratiche, dannose per la salute delle donne, non possono
essere accettate in nome del rispetto della tradizione e della
cultura locale. Nessuna tradizione locale infatti può giustificare
la violazione del principio della dignità e dell'integrità della
persona. Circa 110 milioni di donne soffrono di gravi ferite,
anche letali, per tutta la loro vita adulta, quale risultato delle
mutilazione a cui molte adolescenti, bambine e a volte anche neonate
vengono sottoposte. I dati sono impressionanti: circa 2 milioni
di ragazze vengono mutilate ogni anno. La mutilazione genitale
femminile viene praticata in circa 20 paesi dell'Africa, parte
dell'Asia e del Medio Oriente e in comunità di immigranti di altre
regioni, per esempio in Europa. Nel 1994 sono state lanciate alcune
importanti campagne popolari in Egitto e Tanzania, dopo le quali
i governi di diversi stati hanno riesaminato la propria legislazione
sul caso, e alcuni hanno dichiarato le pratiche di mutilazione
genitale un reato. Questa pratica è stata condannata anche da
organizzazioni internazionali quali la Commissione delle Nazioni
Unite per i diritti umani, L'UNICEF, e l'Associazione Medica Internazionale.
Anche l'ACNUR sostiene che le donne che si dichiarano rifugiate
per evitare che le loro figlie vengano mutilate e per evitare
di essere a loro volta perseguitate per essersi opposte alla pratica,
in assenza della protezione da parte dello Stato, vadano considerate
sotto la tutela della Convenzione sui Rifugiati del 1951. Dall'ultimo
Rapporto sullo Sviluppo Umano, curato dall'United Nations Development
Programme (UNDP), emerge poi la notevole disparità tra uomini
e donne nell'accesso all'istruzione e nel lavoro. Mentre nei paesi
sviluppati la parità nell'istruzione si può dire quasi raggiunta,
nei paesi poveri o in via di sviluppo il diritto all'istruzione
della donna è scarsamente tutelato, specialmente a livello di
scuole secondarie. Nel campo del lavoro la discriminazione femminile
diventa più visibile. Le donne vengono retribuite meno che gli
uomini, persino in paesi come la Francia, il Belgio, il Giappone
o il Canada. Anche la disoccupazione femminile e più che doppia
rispetto a quella maschile. Il Rapporto dell'UNDP sottolinea che
"le donne contano, ma non sono contate", vale a dire che il lavoro
delle donne, il lavoro familiare di sussistenza (cura dei figli
e degli anziani, lavori domestici ecc…) è in buona parte invisibile
nella contabilità nazionale. Nei 27 paesi che gravitavano nell'orbita
dell'Unione Sovietica, le donne vivono oggi una situazione peggiore
di quella del 1989, quando cadde il muro di Berlino. Tale conclusione,
del rapporto "Mujeres en transición", pubblicato dall'UNICEF,
sostiene che la disuguaglianza tra i sessi si è incrementata negli
ultimi anni, e che se la situazione non cambia, "sarà una catastrofe
per la regione". Secondo questo studio, le donne hanno un tasso
di disoccupazione più alto e, inoltre, percepiscono salari più
bassi a quelli dei loro colleghi maschili. A ciò si aggiunge la
riduzione dei servizi sociali, come consultori e asili nido, l'abbassamento
del livello d'istruzione, gli elevati tassi di maternità tra le
adolescenti, di aborti, tossicodipendenza e alcolismo. In molti
paesi del mondo le donne sono costrette a lavorare nelle fabbriche
per un misero salario; come i minori, esse sono considerate dipendenti
meno costose e più docili. Quando cercano di organizzarsi per
far valere i loro diritti vengono sempre considerate una minaccia,
rischiano di perdere il posto e di subire aggressioni e violenze.
Le donne subiscono le più grandi discriminazione per il semplice
fatto di essere donne. Spesso in molti paesi poveri la nascita
di una bambina viene considerata una disgrazia, la donna è un
peso per la famiglia, poiché non potrà mai essere indipendente,
inoltre dovrà sposarsi e il matrimonio comporta il grave onere
della dote. Così piuttosto che avere figlie femmine si preferisce
abortire. In India e in Cina, oltre all'aborto in alcuni casi
viene praticato l'infanticidio contro le bambine. Se poi sopravvivono
ai primi mesi di vita vengono discriminate nelle cure mediche
e nell'alimentazione. Le cose si fanno più drammatiche se si considerano
i problemi legati alla maternità e al controllo delle nascite.
Purtroppo in molti paesi si è tentato di risolvere il problema
diffondendo o imponendo soluzioni drastiche come l'aborto o la
sterilizzazione, in alcuni casi coatti. In Cina, dove l'entità
della sovrappopolazione ha raggiunto livelli esplosivi, le autorità
vietano di avere più di un figlio, e poiché i maschi sono considerati
più utili, frequenti sono i casi di infanticidio di bambine o
di aborto di feti di sesso femminile. Non dobbiamo dimenticare
le gravi disuguaglianze sancite dal diritto di famiglia di alcuni
stati, dove viene stabilito esplicitamente il diverso ruolo della
donna rispetto all'uomo, sia tra le mura domestiche sia nella
società. Il ripudio e la poligamia si possono definire le più
evidenti. La pratica del ripudio è ancora largamente diffusa nel
Nord Africa; la donna ripudiata perde quasi sempre ogni forma
di sostentamento, nonostante a volte la legge preveda il pagamento
degli alimenti da parte del marito, è consuetudine non rispettare
questo diritto della donna. In paesi arabi come il Marocco, la
Libia, l'Egitto ecc.. la procedura per ottenere il divorzio da
parte di una donna è così complicata da diventare un problema
insormontabile, la legge prevede pochissime eventualità per cui
una moglie può chiedere il divorzio, e comunque ad una donna il
divorzio non conviene quasi mai, sia dal punto di vista economico
sia da quello della reputazione. In Iran, Iraq, Marocco, Siria
e Giordania le donne non possono sposarsi con uomini che non siano
mussulmani, mentre gli uomini al contrario hanno libertà di scelta.
In Egitto esistono leggi che proteggono gli uomini che uccidono
le proprie mogli per motivi "d'onore", condannandoli a pene irrisorie
o non condannandoli affatto. Al contrario una donna che uccide
un marito adultero viene condannata alla pena di morte. In molti
paesi le leggi non prevedono alcuna tutela per le ragazze madri
e i loro figli, vengono semplicemente ignorati come se non esistessero.
La situazione si aggrava rispetto all'abuso e alla violenza sessuale,
la vittima non è minimamente tutelata, deve portare la prova della
violenza subita, e se non può farlo da accusatrice diventa accusata
e quindi condannabile per aver avuto rapporti sessuali fuori dal
matrimonio. Nella sola corte di Karachi, in Pakistan, circa il
15% dei processi per stupro finiscono con la punizione della vittima.
In Bangladesh esiste il Salish (consiglio del villaggio) che pur
non facendo parte del sistema giudiziario e senza alcun potere
legale, di fatto si è arrogato il diritto di applicare la legge
islamica secondo la propria interpretazione. Inoltre in molti
stati la donna non ha soggettività di per sé, ma solo in relazione
a un uomo (marito o padre): nelle zone più arretrate non può comprare
né vendere, non può chiedere prestiti, non può iniziare nessuna
attività economica e non può neanche avere la carta d'identità
o un qualsiasi documento senza essere legittimata da un uomo.
La legge spesso regola il suo modo di vestirsi in pubblico. La
donna che trasgredisce rischia di essere imprigionata o percossa.
In Iran, per esempio, nel 1993 fu lanciata una campagna contro
il "vizio e la corruzione sociale" il cui principale bersaglio
erano le donne che non indossavano lo chador. Anche in Sudan il
codice penale del governo militare prevede una punizione massima
di 40 frustate per le donne che si vestono in modo contrario alla
"pubblica decenza". Le ingiustizie che una donna è costretta a
subire in tempo di pace si aggravano in maniera drammatica in
tempo di guerra. Negli ultimi decenni la maggior parte delle guerre
ha avuto una matrice etnica, e poiché il fine ultimo di questi
conflitti è lo sterminio totale del nemico, le donne e i bambini
diventano veri e propri obiettivi di guerra, pertanto essi costituiscono
la maggior parte delle vittime civili. Infatti, pur non essendo
combattenti, per il solo fatto di appartenere ad una certa etnia,
ed essere perciò identificata come nemica, la donna viene uccisa
non perché pericolosa, ma soltanto per essere la donna del nemico,
generatrice di futuri avversari. In questo senso, il fenomeno
degli stupri nel corso dei conflitti assume significati e proporzioni
drammatiche, nonostante il divieto esplicito delle Convenzioni
Internazionali sulla Guerra. Il cammino della donna per il raggiungimento
della parità è ancora lungo, e in molti paesi solo per avere una
vita che possa definirsi umana sembra infinito. Per questo l'unica
possibilità, in ogni parte del mondo, è la solidarietà, la mobilitazione
e l'azione diretta delle donne, ricordando che un altro mondo
sarà possibile solo eliminando disuguaglianze e ingiustizie.
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