Il debito estero dei paesi poveri

                                                                    



di Emma Nuri Pavoni

Nell'anno 2000, celebrando il "Giubileo" - l'anno istituito nella Bibbia per la cancellazione dei debiti - l'Europa si interessò al grave problema del Debito Estero dei paesi del Sud del mondo. Sorsero diverse iniziative di sensibilizzazione, tra cui quella promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana e la Campagna "Sdebitarsi" che raggruppava diverse realtà laiche con l'appoggio di alcuni artisti internazionali. Fu un anno di grande solidarietà da parte della gente, che il clamore delle campagne aveva portato a una generosità istintiva, forse senza un adeguato approfondimento. Per questo, dopo soli due anni, è quasi tutto dimenticato, ma il grave problema dei paesi impoveriti dal debito rimane.
E' quindi importante conoscere le origini del debito che risalgono al termine della seconda guerra mondiale. Alla fine degli anni quaranta il presidente Truman nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca propone: "un programma nuovo e audace, per rendere disponibili i benefici delle nostre conquiste scientifiche e del nostro progresso industriale, per l'avanzamento e la crescita delle aree sviluppate… aiutare i popoli liberi del mondo, attraverso i loro stessi sforzi, a produrre più cibo, più materiali per l'edilizia e più macchine semplici per alleggerire il fardello dei poveri". Lo sviluppo, inteso in tal senso, consiste però nel trasferire il modello occidentale in paesi dove il sistema di vita è completamente diverso; mediante la costruzione di grandi autostrade dove l'unico mezzo di trasporto è il carro, grandiosi edifici vicino a capanne, aeroporti sempre vuoti, grandi dighe, centrali elettriche, industrie con tecnologie d'avanguardia. Tutto ciò può funzionare solo grazie agli apporti esterni, sia tecnologici che di grandi capitali che i Paesi in via di sviluppo non possiedono. Quindi i Paesi occidentali concedono crediti con facilità, anche perché questi sono vincolati all'impegno d'acquisto, da parte del paese beneficiario, di prodotti del Paese finanziatore. Da qui nasce il debito: i paesi debitori dovendo procurarsi valuta pregiata intensificano la produzione agricole e l'estrazione di materie prime. Fino al 1970 il debito del Sud del mondo cresce costantemente ma non arriva a livelli insostenibili, i finanziamenti sono a lungo termine e il tasso d'interesse è fermo al 5%.
Nel 1973 tutto cambiò, i paesi produttori di petrolio (OPEC) ne quadruplicarono il prezzo e di conseguenza si trovarono con grandi disponibilità finanziarie. Gran parte di questo denaro finì nelle banche occidentali che, per non lasciare inattivi questi capitali, li prestarono a tassi d'interesse molto bassi. Contemporaneamente, nel resto del mondo, l'aumento del prezzo del petrolio causò il crescere vertiginoso dell'inflazione, divenne quindi necessario, oltre che conveniente per i bassi tassi, chiedere prestiti per sostenere l'economia. Ma improvvisamente, alla fine degli anni '70, a seguito di una nuova crisi petrolifera, USA e Regno Unito aumentarono unilateralmente il tasso d'interesse (che era variabile) fino al 30%, con il risultato che questo in tre anni divenne pari all'intero prestito iniziale. Quando poi nel gennaio del 1980 la Federal Reserve (Banca di Stato degli USA) apprezzò il Dollaro ad un valore di cambio equivalente al doppio delle maggiori monete europee, in un solo anno gli interessi superarono l'intero prestito: divenne così proibitiva per chiunque la restituzione dello stesso.
Il primo paese che annunciò di trovarsi nell'incapacità di restituire il prestito, fu il Messico nell'agosto del 1982, ad esso seguirono quasi tutti i Paesi debitori. La Borsa statunitense fu sul punto di crollare, dato che il 40% dei crediti delle banche era passato in Messico e metà di questo denaro derivava dal mercato interbancario (banche che si prestano soldi fra loro), decine di banche rischiarono il fallimento con il pericolo di una crisi finanziaria mondiale. Il paesi creditori del Nord, preoccupati per questo stato di cose, chiesero l'intervento della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (istituzioni finanziarie internazionali nate nel 1944 in una cittadina americana, Bretton Woods, per opera dei delegati di 44 nazioni, con la missione di diventare i pilastri della nuova struttura preposta a regolare l'economia e la finanza mondiale), affidando a questi organismi due compiti precisi: obbligare gli stati debitori a dare assoluta priorità alla restituzione dei prestiti, indipendentemente dalle realtà locali (anche se il popolo muore di fame); raccogliere risorse finanziarie pubbliche per ridare respiro all'economia dei paesi in crisi; capitali che transitando per le economie povere finivano nelle banche occidentali come servizio del debito. I paesi indebitati se abbisognano di altri prestiti sono obbligati a firmare un impegno con il Fondo, dove dichiarano di riorganizzare la propria economia attraverso "un programma di aggiustamenti strutturali" che hanno come unico scopo, destinare ogni risorsa finanziaria al pagamento del debito. Dopo la firma il paese riceve una prima rata del prestito dalle due istituzioni finanziarie, se lo stato non rispetta gli impegni presi non riceverà altre quote dal Fondo o dalla Banca, ma neppure da altre istituzioni finanziarie. I Paesi poveri hanno bisogno di valuta pregiata per acquistare medicine, petrolio, pezzi di ricambio…. questo costringe gli stati a firmare.
I programmi di aggiustamento strutturale che le Istituzioni finanziarie internazionali impongono hanno sempre le stesse caratteristiche: svalutazione della moneta locale; liberalizzazione dei prezzi; controllo dei livelli salariali; riduzione delle barriere commerciali; sostegno alle attività orientate all'esportazione; restrizione del credito nazionale; diminuzione della spesa statale per servizi; riduzione del ruolo statale nell'economia e privatizzazione delle imprese pubbliche. In molte dichiarazioni le Nazioni Unite sollevano dubbi e perplessità sull'efficacia degli interventi, dato che le economie dei paesi poveri non traggono giovamento dagli aggiustamenti strutturali: "…performances economiche così insignificanti si sono registrate nei paesi in via di sviluppo, nonostante l'adozione di rigorose, e spesso politicamente difficili misure di aggiustamento da parte di governi africani, asiatici o latinoamericani". "Questi programmi possono determinare alti costi sociali e compromettere la capacità degli stessi paesi di raggiungere uno sviluppo economico a lungo termine". Anche l'UNICEF si unisce al coro di critiche: "l'enfasi dei programmi di aggiustamento sui cambiamenti da realizzare, nella politica economica nazionale per fronteggiare i gravi squilibri interni ed internazionali, ha troppo spesso portato a riforme drastiche e compiute troppo in fretta. Una simile strategia aggrava le tensioni nelle istituzioni già deboli dei paesi in via di sviluppo e può danneggiare in modo rilevante i gruppi sociali più poveri della società".
Il Debito Estero quindi viene ad avere un grave effetto sulla vita dei popoli. I paesi debitori devono rinegoziare ogni anno i termini del debito con i paesi e gli organismi accreditati. Questi negoziati non si realizzano evidentemente da pari a pari ma fra la parte forte, che può imporre le proprie condizioni, e la parte debole che deve accettarle per la propria sopravvivenza. Accettare le condizioni dettate dai creditori significa per il paese debitore, rinunciare alla propria sovranità economica e politica, che non sono separabili. Significa anche accettare che tutta la vita economica del paese sia organizzata nel modo più efficiente non in funzione degli interessi del paese, ma per ottenere la valuta straniera necessaria al pagamento del debito o per lo meno degli interessi. Di conseguenza organizzata non per arricchire il paese ma per impoverirlo. Il "Debito" rappresenta inoltre una giustificazione continua delle politiche economiche neoliberali che hanno fra i loro obiettivi quello di subordinare l'economia al servizio del debito, abbattere nel paese le barriere che impediscono la libertà di mercato con la conseguenza di una presa di potere economico e politico da parte del capitale finanziario transnazionale. In concreto, questa ristrutturazione della vita economica significa: monetizzazione dell'economia, vale a dire la riduzione degli investimenti produttivi e la crescita degli investimenti speculativi con la conseguenza che l'economia diventa sempre più autonoma rispetto alla vita del paese e più indifferente alle necessità primarie della gente; aumento delle esportazioni e per tanto della produzione di beni vendibili sul mercato internazionale; riduzione delle importazione, compresi beni primari come alimenti e medicine; incremento di investimenti stranieri con la concessione di condizioni privilegiate alle imprese che apportando tecnologie avanzate riducono la possibilità di lavoro locale; riduzione del potere e dei diritti del lavoratore e repressione delle organizzazioni popolari e sindacali; privatizzazione obbligata delle imprese e dei servizi pubblici (acqua, luce…), con conseguente aumento delle tariffe, che impedisce alla quasi totalità della popolazione di poterne usufruire; riduzione del deficit fiscale dello stato, ottenuto con tagli alla spesa pubblica: spesa sanitaria, istruzione e smantellamento dei servizi sociali. Le condizioni imposte alle economie dei paesi dai creditori favoriscono gli interessi delle minoranze privilegiate, come gli imprenditori nazionali e stranieri che producono o commercializzano beni esportabili, contemporaneamente aumentano la povertà, la disoccupazione, la fame e l'emarginazione di grandi maggioranze. Il "Debito" è quindi una fonte permanente di disuguaglianza e ingiustizia sociale e per tanto acutizza la lotta di classe. Favorisce inoltre l'autoritarismo e la militarizzazione dei paesi in quanto lo stato debitore trovandosi nella necessità di soffocare lo scontento sociale, generato dalla sua politica economica, fa prevalere sul potere legislativo e giudiziario quello esecutivo, spesso con forme di grave repressione.



torna alla homepage