In piedi costruttori di pace



La guerra in Iraq è finalmente terminata. O quasi. Forse... Già, perché una delle caratteristiche inedite degli ultimi conflitti è che si sa quando iniziano, ma non quando finiscono. Nemmeno si sa - si fa per dire - quando siano stati decisi, in compenso si conoscono bene gli obiettivi: di quelli ufficiali, non uno raggiunto! Così per la pacificazione dei Balcani, ancora sotto protettorato militare internazionale a dieci anni di distanza, e per quella dell'Afghanistan, dove i nostri alpini sono appena stati inviati ad arginare il caos regnante. E che dire della I guerra del Golfo che fece - secondo il Pentagono - 157.971 morti tra la popolazione civile ed è stata talmente risolutiva da "rendere necessaria" una nuova guerra per scovare le armi di distruzioni di massa che nel frattempo Saddam avrebbe continuato a produrre indisturbato? Naturalmente, nonostante qualche altro migliaio di vittime civili - e senza contare i mutilati ed i bambini traumatizzati - neanche di queste s'è avuta notizia… Per non parlare del presunto "rovesciamento" di Milosevic, il quale - con buona pace di tutti i mentitori che giocano sempre più sulla cattiva memoria o il disinteresse degli italiani - ha continuato a regnare indisturbato per 15 mesi, dopo la fine dei bombardamenti NATO sulle popolazioni civili della ex Jugoslavia, dal giugno 1999 all'ottobre 2000, quando fu invece rovesciato dalle insurrezioni di piazza, seguite al suo tentativo di non accettare il verdetto di libere elezioni, da lui stesso indette nell'errata convinzione di uscirne rafforzato? E a proposito degli altri "ricercati numero uno": che fine hanno fatto Bin Laden, il Mullah Omar, Saddam Hussein?… I "vincitori", che non hanno esitato a macellare migliaia di innocenti per rovesciarli e prenderli, non lo sanno; ma i perdenti, almeno secondo una certa stampa "liberale" e servile, sarebbero i pacifisti… Certo, anche noi abbiamo perso e lo riconosciamo. Ma non - come ha titolato qualche libero quotidiano italiano - il giorno in cui gli USA hanno vinto (?!) in Iraq: abbiamo perso il giorno in cui hanno lanciato il primo missile; nel momento stesso in cui è morto il primo bambino; o se preferite il mattino in cui hanno fatto saltare il primo mercato. E prima ancora, avevamo già perso, con tutte le persone civili e democratiche, il giorno in cui gli USA decisero di snobbare l'ONU e andare in guerra, girando alla larga dal palazzo di vetro, sapendo che il loro intento aggressivo e bellicista sarebbe stato "democraticamente" bocciato dal voto del Consiglio di sicurezza. Abbiamo certamente perso, anche se l'invito ad esporre la bandiera della Pace è stato raccolto da milioni di cittadini, perché il nostro intento era quello di impedire la guerra, non già di addobbare i balconi. Ma ciò nonostante non ci lasceremo paralizzare dalla frustrazione e ripartiremo proprio da qui: dal leggere "i segni dei tempi", come direbbe papa Giovanni. Dal renderci conto che questa funesta circostanza ha avuto almeno, quale unico effetto positivo, quello di risvegliare la coscienza di milioni di persone nel mondo, che - forse per la prima volta - si sono rese conto di quanto sta succedendo e hanno assunto una posizione personale e precisa. Questo ha preoccupato i "potenti" e mandato in bestia i loro paladini. Ha preoccupato i potenti, perché i leader politici, soprattutto della cara, vecchia e democratica Europa, non possono certo ignorare, in vista delle prossime scadenze elettorali, l'opinione di larghi settori dell'elettorato; e ha inbufalito i loro paladini mediatici, perché in piazza non sono scesi esclusivamente i soliti pacifisti o i centri sociali… tutta gente che al loro olfatto sopraffino "puzza di comunismo", ma tantissimi cittadini comuni e famiglie; persone di ogni età e ceto sociale, cultura e religione. E per molti di loro era la prima manifestazione, magari a cinquanta o sessant'anni! E' ormai un popolo grande quello della Pace, che finalmente si è alzato in piedi. Contemplandolo non possiamo che sentir risuonare il monito lanciato da don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi Italia, nell'arena di Verona il 30 aprile 1989: "In piedi, allora, costruttori di pace. Non abbiate paura!". Per una fortuita coincidenza (sarà vero?), il giorno di Pasqua, abbiamo celebrato il decimo anniversario della sua morte e forse mai come quest'anno ci è apparso in tutta la sua statura spirituale, quale autentico testimone della Pace donata dal Risorto. Ed è a lui che desidero lasciare la parola, in questa nuova "ora spirituale" del mondo, perché ancora ci illumini e sproni nel percorre i sentieri della Pace.

Don Tonino, da quando te ne sei andato abbiamo vissuto un decennio segnato da ogni genere di violenza: genocidi, guerre e terrorismo. Ci sono motivi fondati per cui continuare a sperare che l'umanità sappia costruire un'era di Pace?
"Gli apparecchi ricetrasmittenti dell'opinione pubblica sono spesso grossolani. Registrano solo ingiustizie e guerre "scenografiche". E comunicano solo segnali di pace connotati dall'enfasi… Dovremmo avere anche antenne più sensibili a captare le modulazioni di pace, e a ritrasmetterle per dare speranza alla gente. Oggi assistiamo a un impressionante trapasso culturale sul tema della pace, che si esprime, come osservava E. Balducci, in una duplice forma: "quella di superficie, che diventa prorompente quando gli eventi politici e militari creano le giuste occasioni, e quella sommersa, che ha i suoi luoghi di incubazione e di creatività disseminati nelle città e nei villaggi, sotto le denominazioni più diverse e con i più diversi sostegni: dagli enti locali ai partiti, dagli istituti scolastici alle parrocchie. Il movimento per la pace è come una galassia che occupa la zona intermedia tra l'opinione pubblica e le strutture di partito, una zona nella quale avvengono, magari silenziosamente, le metamorfosi chimiche destinate, forse, a mutare in futuro anche gli apparati del potere. E' difficile ridurre a tratti unitari un fenomeno che è, come dicono i sociologi, allo "stato nascente". Vi si trova il massimalismo utopico che abbraccia in uno slancio generoso dell'immaginazione il futuro del mondo intero, e l'insistenza ossessiva su di una opzione particolare, come, tanto per fare un esempio, l'abolizione della caccia; la propensione a risolvere tutti i problemi sul piano etico, senza tenere conto della complessità del nesso che stringe ed oppone etica e storia; la demonizzazione degli uomini politici in cui si incarna l'ideologia di sicurezza armata, e l'idealizzazione della guerriglia contro gli imperi atomici. E' un mondo fluido quello del movimento per la pace, in cui si alternano stati di incandescenza e improvvisi raffreddamenti. Ma, osservato nel suo insieme, esso esprime un vero e proprio processo di conversione culturale, che investe ormai anche gli ambienti più tradizionali e che, attraverso la pluralità eterogenea dei suoi approcci, va elaborando alcune linee che già prefigurano un disegno unitario destinato ad imporsi, nel futuro, a tutti i livelli della società".

Spesso siamo accusati di ingenuità, quando addirittura non di fondamentalismo, perché rifiutiamo "in toto" la possibilità della guerra, anche quale "ratio estrema". Eppure già papa Giovanni, nella Pacem in terris (67) era di questo avviso…
"E' giunta l'ora in cui occorre decidersi ad arretrare (arretrare o spingere?) la difesa della pace sul terreno della nonviolenza assoluta. Non è più ammissibile indugiare su piazzole intermedie che consentano dosaggi di violenza, sia pur misurati o prevalentemente rivolti a neutralizzare quella degli altri. Richiamarsi al dovere di "camminare con i piedi per terra", e fare spreco di compatimento sul preteso "fondamentalismo" degli annunciatori di pace, significa far credito alle astuzie degli uomini più di quanto non si faccia assegnamento sulle promesse di Dio. La nonviolenza è la strada che Gesù Cristo ci ha indicato senza equivoci. Se su di essa perfino la profezia laica ci sta precedendo, sarebbe penoso che noi credenti, destinati per vocazione a essere avanguardie che introducono nel presente il calore dell'utopia evangelica, scadessimo al ruolo di teorizzatori delle prudenze carnali. Il grande esodo che oggi le nostre comunità cristiane sono chiamate a compiere è questo: abbandonare i recinti di sicurezza garantiti dalla forza per abbandonarsi, sulla parola del Signore, alla apparente inaffidabilità della nonviolenza attiva"

A proposito di esodo, sembra proprio di essere "voce che grida nel deserto". Il parlamento italiano ha recentemente modificato la legge 185 del '90 (ricordi che gioia?) con la quale si limitava la vendita delle armi. Ora le ditte italiane potranno vendere anche ai paesi in guerra: coi tempi che corrono, pensa che affari!..
"Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo Mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali".

Già, però nelle scorse settimane anche qualche tuo "collega" ha tacciato di "utopismo della Pace" l'impegno di tanti credenti a favore della pace ed ha insistito sul pericolo di "derive ideologiche"…
"Non abbiate paura! Non lasciatevi sgomentare dalle dissertazioni che squalificano come fondamentalismo l'anelito di voler cogliere nel "qui" e nell'"oggi" della Storia i primi frutti del Regno. Sono interni alla nostra fede i discorsi sul disarmo, sulla smilitarizzazione del territorio, sulla lotta per il cambiamento dei modelli di sviluppo che provocano dipendenza, fame e miseria nei Sud del mondo, e distruzione dell'ambiente naturale. Fin dai tempi dell'Esodo, non sono più estranee alla Parola del Signore le fatiche di liberazione degli oppressi dal giogo dei moderni faraoni. Coraggio! Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l'amore per lui".

Anche il Papa è tornato spesso su questi punti. Però in una delle tante conferenze di questi mesi, una catechista mi ha detto di non capirci più niente, perché le parole del Papa vengono accolte con più entusiasmo da coloro che ci ostiniamo a chiamare "lontani", piuttosto che dal suo parroco e dai membri del Consiglio pastorale, che, al contrario, invitano alla prudenza e spengono tutte le iniziative proposte dai giovani. Tu sei stato prima parroco e poi vescovo: che te ne pare?
"In certe comunità si densifica sistematicamente il sospetto. Si paventano strumentalizzazioni anche nelle scelte più generose a favore degli ultimi. Ogni occasione è buona per opporre, allo spirito delle intuizioni evangeliche di pace, il rigore della lettera che uccide. Si spiano annidamenti di "discordanze" col magistero ufficiale, a ogni svolta di frase. Talvolta, per frenare la valanga inarrestabile della profezia, si fa uso maldestro e ingeneroso perfino di estemporanee espressioni del Papa, resecate dal loro contesto e scorniciate dal genere letterario confidenziale e bonario con cui sono state pronunciate. E non si tiene conto, invece, di tutto il magistero audace e non ancora dissepolto di questo Pontefice, che ormai in ogni suo discorso ci sprona ad "affrontare la tremenda sfida dell'ultima decade del secondo millennio", con l'imperativo etico della solidarietà, e va denunciando in tutto il mondo, come nessun altro, le "strutture di peccato" che opprimono i poveri! Siamo arrivati al punto che, come cristiani, ci troviamo oggi nella necessità di dover recuperare i forti distacchi in tema di pace, che una moltitudine di non credenti ha inflitto a noi, titolari delle inesauribili riserve utopiche del Vangelo! La paura dell'olocausto nucleare ha fatto fare a loro più strada di quanta non ne abbiano fatta fare a noi la fede, la speranza, e l'amore".

Vuoi dire che manchiamo di spiritualità? E da dove dovremmo partire?
"Dalla preghiera. E' qui che si deve innestare, in moduli più forti, l'impegno dei credenti sulla spiritualità della pace. Spiritualità che non significa confino nelle zone vaporose dei sospiri, o trastullo di gruppo con la panna montata delle canzonette religiose. Mi sembra molto significativa una espressione di Nicolas Berdiaeff: "Il pane per me stesso è una questione materiale. Il pane per il mio vicino è una questione spirituale". Spiritualità delta pace significa appunto cercare il pane per il proprio vicino. Ma significa anche approfondire la coscienza che il pane "sovrasostanziale" della pace è un dono che va chiesto a Dio, è qualcosa che l'uomo da se stesso non può darsi. Lo Shalom non nasce dal regolamento internazionale dei conflitti. Non viene fuori dai trattati e dalle pattuizioni delle cancellerie. Non è semplice frutto di operazioni diplomatiche. Non è il puro risultato che si ottiene da sforzi di buona volontà. Questi elementi sono pure necessari, ma come predisposizione all'accoglimento del dono di Dio. Da soli, otterranno al massimo il disarmo, non la pace. Produrranno la coesistenza pacifica, non l'esistenza della pace".

Fra poche settimane sarà Pentecoste: chiederemo dunque il "pane della Pace"…
"E invocheremo lo Spirito Santo. Non solo perché rinnovi il volto della terra. Ma anche perché faccia un rogo di tutte le nostre paure".

Alberto Vitali

[I testi completi di don Tonino si possono trovare in: http://www.peacelink.it/users/paxchristi/dontonino.htm



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