Il
circolo bisogni-consumo-bisogni o meglio consumo-bisogni-consumo
ci rende parte attiva e indispensabile di questo meccanismo e
quindi complici nostro malgrado del Sistema che lo genera.
"Complici"
non a caso, perché si tratta di un Sistema "genocida"
ed "ecocida".
Non
solo i dati forniti dalle organizzazioni Umanitarie, dalle Ong,
dalle realtà missionarie della Chiesa cattolica, ma anche
dagli Organismi Istituzionali come l'Onu, la Fao e persino dalla
Banca Mondiale e dal Fondo monetario Internazionale, mostrano
chiaramente i costi umanitari ed ecologici di questo Sistema economico,
che dopo la fine delle ideologie socialiste è rimasto l'unico
e perciò trionfante.
L'80%
della popolazione mondiale ha a disposizione il 20% delle risorse
del pianeta, mentre il restante 20% si divide, neanche troppo
equamente, il restante 80%. Tradotti nella pratica questi numeri
significano: sfruttamento, analfabetismo, oppressione, fame, malattie,
morte e
distruzione del pianeta!
L'urgenza
che si pone è di conseguenza ecologica e sociale, ma anche
eminentemente etica, perché questo sistema distrugge non
solo la vita ma anche le ragioni del vivere, passando come un
rullo compressore sopra i valori, le culture, le diverse spiritualità.
La questione in realtà non è nuova: basta pensare
alla storia degli ultimi secoli in Africa o in America Latina
Essendo dunque noi - ciascuno di noi e tutti insieme - un elemento
piccolo, ma determinante del sistema (perché senza acquirenti
il Mercato crolla) ci scopriamo parte in causa, responsabili,
complici
almeno fino a quando non ce ne rendiamo conto!
Perciò una decisione non è procrastinabile: la dobbiamo
alle vittime del Sistema, alla nostra coscienza, a noi stessi
(perché su questo ci giochiamo il tipo di uomini e donne
che vogliamo essere) e, se siamo credenti, evidentemente soprattutto
a Dio!
Al
tempo stesso un grido di allerta sorge oggi in diverse parti del
mondo: pensiamo al Movimento Indigeno, Negro e Popolare in America
Latina (di cui la rivolta zapatista è solo l'esempio più
conosciuto
), pensiamo al Movimento dei Senza Terra in Brasile,
pensiamo al popolo di Seattle, di Genova, di Praga (è brutta
la violenza
ma chissà perché la nostra coscienza
si indigna sempre a senso unico!)
Ci sono dunque anche segni di speranza
Incredibilmente,
inaspettatamente, in questo nostra mondo secolarizzato, senza
Dio, materialista, edonista e chi più ne ha ne metta
sta risorgendo la coscienza! Ma la coscienza per sua natura, essendo
un movimento dello spirito (umano) e dello Spirito (santo), è
incontrollabile e ingestibile: per questo preoccupa il Sistema
che la combatte. Peccato faccia paura anche a tanti eminenti signori
che invece dovrebbero essere i "professionisti" dello
Spirito!
L'alternativa
fa paura e rischia di essere soffocata, perché alla azione
"adeguata" dei Sistemi (economici, politici e religiosi)
fa riscontro un diffuso senso di impotenza da parte della società
civile, dovuto a mancanza di unità e strumenti idonei per
elaborare un pensiero alternativo e realizzare un progetto sostenibile.
La
domanda si carica di drammaticità: è ancora possibile
la Coscienza nell'era della Globalizzazione neoliberista? L'Etica
è ridotta a semplice ricordo del passato, sacrificata sull'altare
di leggi economiche "deterministiche", "oggettive"
e, a detta dei loro cultori, "scientifiche"? Il "migliore
dei mondi possibili" è dunque quello governato dal
Mercato e non più dalla partnership Dio-uomo?
La questione, a mio modo di vedere, dovrebbe preoccupare oggigiorno
tanto il pensiero laico umanista, quanto tutte le religioni. Perché
lo svilimento delle Coscienze e la dissoluzione dell'Etica è
ciò a cui tende il sistema per conservarsi: evitare che
la gente ragioni con la propria testa per creare bisogni artificiali
da soddisfare mediante i consumi, stabilendo a priori delle risposte
su cui formulare le domande. E in epoca di Telenovele e di Grande
fratello ci riesce benissimo!
Sull'altro
versante, si danno le divisioni tra i poveri non coscientizzati
(in lotta tra loro per la sopravvivenza) e una tanto crescente
quanto indotta sfiducia in se stessi che li porta a preferire
la sicurezza fondata sulla dipendenza ai rischi della libertà
e della lotta. Il tutto accompagnato da un sano appello al "realismo",
dalla demonizzazione delle ideologie (tranne ovviamente quella
imperante), fino alla conseguente - e tanto auspicata - rassegnazione.
In
tale contesto è dunque urgente ridestare la coscienza per
vedere, giudicare, agire:
1.
VEDERE
perché oltre una certa misura, la realtà
non è occultabile e per quanto sia forte la mistificazione
è ancora possibile - e quindi doveroso - rendersi conto
di cosa stia avvenendo. In particolare possiamo riconoscere negli
oppressi del Nord e del Sud del Mondo (gli sfruttati, gli emarginati,
i profughi, i pedofili, i drogati
) il limite di questa società
fuorviata e quindi la sua illegittima pretesa.
2.
GIUDICARE perché è inevitabile una presa di posizione:
e sarà diverso giudicare il sistema dal Nord o dal Sud.
Ognuno deve scegliere da che parte stare per guardare e giudicare
meglio la realtà. Noi assumiamo quella degli impoveriti
(dai nostri bisogni!) coscientizzati.
Giulio
Girardi, filosofo e teologo della liberazione, ritiene infatti
che: "il punto di vista degli oppressi e delle oppresse come
soggetti non è solo eticamente più giusto, ma anche
culturalmente più valido e fecondo: giacché gli
oppressi hanno interessi vitali nei quali si smascherano le menzogne
che coprono la violenza del sistema e in cui trionfa la verità".
E
il giudizio Etico degli impoveriti, degli uomini e delle donne
di "buona volontà", dei cristiani, non può
che essere di condanna per questo Sistema che uccide i bambini,
le donne e gli uomini, che distrugge la natura, le culture, le
religioni
in una parola la vita e le sue ragioni!
3.
AGIRE. Per quanto richieda un grande coraggio, non possiamo arrenderci
perché crediamo che la storia non sia giunta alla sua fine
(con buona pace del teorico del neoliberismo Fukuyama), proprio
perché la guardiamo dal punto di sta degli oppressi del
Sud e del Nord, che non possono rassegnarsi a morire o a subire
queste condizioni disumane. Ciò significa non solo riconoscere
i loro diritti (primo fra tutti quello all'autodeterminazione)
ma anche le loro capacità morali, intellettuali e politiche;
significa elaborare un'opzione non caritativa ma partecipativa
verso modelli di sviluppo sostenibili ed eticamente equi; significa
un'attenzione più esplicita a tutti i soggetti emergenti:
indigeni, donne, bambini; significa infine sentirsi responsabilizzati
verso le future generazioni (gli indiani d'America si preoccupavano
dell'incidenza delle loro scelte sui loro figli fino alla 7ª
generazione).
Ancora,
non possiamo accettare che sia questa la fine della storia perché,
da cristiani, crediamo che sia Cristo il fine della storia, e
questo Sistema che ne usurpa le prerogative rivela i tratti dell'Anticristo.
Infine
non possiamo credere al Sistema perché già rivela
le sue contraddizioni. Ancora Giulio Girardi rileva che "a
partire dal 1990, il neoliberismo (rappresentato dalla suprema
autorità della Banca Mondiale) intende difendere con particolare
vigore il suo consenso, ponendo in primo piano la lotta contro
la povertà mondiale. Ma proprio questo oggi è gravemente
minacciato dal fallimento di questa lotta, che si constata in
tutto il mondo, specialmente nei paesi periferici. Fallimento
provocato dall'opzione fondamentale del medesimo neoliberismo:
quello di assolutizzare l'obiettivo della crescita economica quantitativa
e il metodo della libera concorrenza".
A
ciò dobbiamo e possiamo opporre una cultura della autodeterminazione
solidale intesa non come carità, ma come partecipazione
di cui tutti abbiamo bisogno.
E questo concretamente significa:
- Ripudiare il principio di Rivalità che caratterizza questo
modello sociale (competizione e libera concorrenza in tutti i
campi) per sostituirlo con quello di Solidarietà.
- Coltivare in noi e negli altri un forte e rigoroso senso critico.
- Realizzare, a partire dalle piccole realtà locali, forme
di sviluppo sostenibile per l'ambiente e l'umanità.
- Rifondare una cultura secondo cui non di "cose", ma
di "relazioni", "sentimento", "armonia"
(con noi stessi, con gli altri, con la natura) abbiamo bisogno.
- Dare priorità ai bisogni dei soggetti più deboli
(con buona pace di Nietzsche).
- Rifondare la stessa politica (sperimentando vie nuove) a partire
dalle piccole realtà locali per poi trasferire i modelli
elaborati a livelli sempre più alti.
Ciò
non significa accontentarsi di poco e allungare i tempi come qualcuno
denuncia, ma elaborare nuove strategie che alla fine si rivelino
più efficaci, poiché in tempo di Globalizzazione
l'Alternativa non può essere affidata ad improbabili rivoluzioni
armate, ormai buone solo per mandare i poveri al massacro, ma
ad uno scardinamento dal basso, propositivo, quale esigenza irrinunciabile
che l'Etica oggi ci impone, per vivere da uomini e non solo sembrarlo.
Alberto
Vitali
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