11
settembre 1962: un radiomessaggio che cambierà la storia
La casualità degli eventi fa si che talvolta ricorrano nelle stesse
date avvenimenti così contrastanti da farci evocare una fatalistica
"ironia della storia", che si prenderebbe gioco del destino dell'uomo...
Ma ai più attenti non sfugge come, tra le pieghe del tempo e delle
cose, si celi in realtà la discreta e provvidenziale mano di Dio,
sempre pronta ad offrirci vie di salvezza, molto prima che noi
portiamo a compimento i nostri disastri. Così, se l'11 settembre
2001 resterà per molti anni nella memoria dei popoli, come il
giorno della tragedia di New York e Washington, un altro 11 settembre,
di 39 anni prima, fu invece la radiosa aurora di un giorno che
di lì a poco - esattamente un mese dopo - sarebbe spuntato, per
la Chiesa e l'umanità intera, con la solenne apertura del Concilio
Vaticano II. Ricorrono perciò in queste settimane il 40° anniversario
del memorabile radiomessaggio con cui Giovanni XXIII, l'11 settembre
1962, presentò il Concilio al mondo e l'inizio della grande assise.
Viator vuole ora ripercorrere quelle tappe insieme ai suoi lettori.
E' certamente un progetto un po' ambizioso, ma ricco e stimolante:
ci impegniamo - per i prossimi quattro anni - a rileggere, mese
per mese, i punti salienti dell'agenda conciliare. Presteremo
maggiore attenzione ai documenti promulgati, quegli stessi che
hanno profondamente rinnovato e stimolato la vita della Chiesa,
ma anche a tanti altri avvenimenti o iniziative che costituendone
lo sfondo, sebbene non propriamente atti conciliari, lo hanno
influenzato o ne sono derivati. Ci faremo aiutare in questo da
testimoni di primo piano, che hanno vissuto dall'interno l'esperienza
del Concilio o da attenti osservatori dell'epoca, ma anche da
persone semplici ed umili, che, nel lavoro nascosto e fedele di
ogni giorno, hanno saputo coglierne lo spirito e praticarlo nella
costruzione del Regno. Sarà dunque un regalo che Viator farà a
sé e ai suoi lettori, per aiutare coloro che ebbero la fortuna
di vivere quell'evento - giustamente definito una "primavera della
Chiesa"- a riscoprirlo e a vivificarlo; ma soprattutto un'occasione
di approfondimento o primo approccio per tanti della nostra generazione,
che - nascendo in quegli anni - vorremmo definirci a ragione "figli
del Concilio".
Annuncio
a sorpresa
Papa
Giovanni aveva stupito tutti allorché, a sorpresa, il 25 gennaio
1959 annunciò ai cardinali, riuniti nella basilica di S. Paolo
fuori le mura per la giornata conclusiva della settimana di preghiera
per l'unità della Chiesa, l'intenzione di indire un Concilio.
Un Concilio non è cosa che si prepari in poco tempo e si celebri
facilmente… L'ultimo risaliva a quasi cent'anni prima, sotto il
pontificato di Pio IX, in quel momento particolarmente delicato
per le sorti della Chiesa e dell'Italia che fu la fine del potere
temporale dei papi. La "breccia di Porta Pia" ne aveva di fatto
interrotto i lavori ed il Vaticano I venne aggiornato "sine die".
In tale contesto, tutti i pronunciamenti di quel concilio furono
fortemente influenzati dagli avvenimenti dell'epoca: Pio IX voleva
recuperare sul piano spirituale tutto il potere che stava perdendo
su quello temporale e politico … da ciò nacque anche la formulazione
del dogma sull'infallibilità papale "ex cathedra", che per 1800
anni nessun papa aveva sentito il bisogno di proclamare e fu votato
nel bel mezzo del "fuggi fuggi" (… non tanto per l'arrivo dei
soldati!) dei vescovi ancora presenti. Il carattere fortemente
risolutivo e definitivo di quei pronunciamenti faceva perciò ritenere
ai settori più conservatori della curia vaticana che non vi fosse
alcun bisogno di un nuovo concilio, mentre gli spiriti più aperti,
appena passata l'onda lunga del Vaticano I, ne esorcizzavano il
ricordo, rimuovendo tout court l'ipotesi di un nuovo concilio
che potesse inscriversi nel solco del precedente… Ma il cuore
e la mente di papa Giovanni erano lontani da ogni bega da sacrestia
e trascendevano i ristretti orizzonti delle sponde del Tevere.
Il mondo "a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale",
restava diviso e conteso dalle due super-potenze (Usa e URSS),
sull'orlo di un sempre possibile nuovo e peggiore conflitto nucleare;
i popoli oppressi anelavano alla loro liberazione e invocavano
la fine della vergogna coloniale; la donna esigeva più rispetto
nella società e la classe operaia reclamava i propri diritti sindacali…
tanti "segni dei tempi" di fronte ai quali la Chiesa, "Mater et
Magistra", non poteva restare a guardare! Era urgente che parlasse
ai suoi figli, anzi a tutti gli "uomini di buona volontà", che
si compromettesse con le vicende del mondo, perché l'annuncio
del Vangelo lo trasformasse… ma per farlo, la Chiesa doveva prima
trasformare se stessa! Perciò il discorso rivolto dal papa al
collegio cardinalizio non fu una richiesta di consulto, ma un
atto di solenne formalizzazione di una decisione già presa: il
dovere di parlare al cuore degli uomini, in quella particolare
situazione, era ormai improrogabile.
Verso
il Concilio
Passarono
due anni tra lentezze burocratiche ed il temporeggiare di quanti
speravano che l'avanzata età del pontefice facesse svanire il
progetto. Ma nell'epifania del 1962 con una lettera indirizzata
al clero del mondo, Giovanni XXIII fece capire che non era più
disposto ad aspettare e infatti il 2 febbraio successivo, con
il motu proprio Consilium, fissò la data di apertura del Concilio
Ecumenico per l'11 ottobre di quello stesso anno, anniversario
della proclamazione al concilio di Efeso (431) della maternità
di Maria. Nei mesi che seguirono il papa si impegnò a precisare
la natura e le dinamiche del concilio. Così in occasione della
Pasqua si rivolse a tutti i vescovi con una "Epistola Paschalis"
per sollecitare - e quindi garantire - la loro attiva partecipazione
al concilio. "La lettera rompeva la riservatezza quasi assoluta
che circondava i lavori preparatori, affermando inequivocabilmente
che secondo il papa il concilio aveva una responsabilità inalienabile,
che i vescovi avrebbero dovuto esercitare in modo pieno e con
modalità collegiali, senza limitarsi alla passiva approvazione
dei testi elaborati dalle commissioni preparatorie, come non pochi
auspicavano" (G. Alberigo, Papa Giovanni, EDB 2000, p. 176). Inoltre
nel luglio di quello stesso anno modificò più volte il Regolamento
del concilio che si andava elaborando e intervenne risolutamente
sugli organismi della curia perché fossero rispettate tutte le
componenti ecclesiali. Soprattutto prestava molta attenzione alle
legittime aspettative dei grandi movimenti: biblico, ecumenico
e liturgico, che si erano sviluppati nei decenni precedenti e
costituivano un bene prezioso per il rinnovo della Chiesa.
La
Chiesa per il mondo
Si
giunse così ad un mese esatto dall'apertura della grande assise.
Il papa non l'aveva mai concepita come un fatto privato, intraecclesiale:
il Concilio si rivolgeva - ed era - per "tutti gli uomini e le
donne di buona volontà". Anzi per tutti coloro che, a prescindere
dai propri meriti e disposizioni, gli erano stati affidati dalla
paternità divina: "In forma più mite, l'umile successore di Pietro
e di Paolo nel governo e nell'apostolato della chiesa cattolica,
in questa vigilia della riunione conciliare, ama rivolgersi a
tutti i suoi figli di ogni terra, ex Oriente et Occidente, di
ogni rito, di ogni lingua…" Da qui il desiderio, diremmo la "necessità",
di presentare al mondo il concilio nella sua natura e nelle questioni
più scottanti da cui avrebbe preso ispirazione. Lo fece con un
radiomessaggio, il terzo del suo pontificato, l'11 settembre 1962.
Giovanni XXIII era ormai entrato nel suo ultimo anno di pontificato,
il cancro già l'assediava ed i temi che si incontrano in questo
discorso saranno gli stessi che svilupperà con sempre maggiore
profondità nei mesi successivi, fino a sistematizzarli magistralmente
nell'ultimo suo documento - vero e proprio testamento spirituale
- l'Enciclica Pacem in Terris, pubblicata l'11 aprile 1963 quando
ormai mancheranno appena due mesi alla sua morte. Riascoltando
a quarant'anni di distanza quelle parole, ciò che colpisce primariamente
è lo spirito che le caratterizza: ottimista ma non ingenuo, profetico
senza lamentazioni, radicale, ma a partire da sé. Il clima internazionale
non era dei migliori, la "guerra fredda" rischiava di riscaldarsi
da un momento all'altro e di lì a poco si sarebbe consumata la
"crisi di Cuba" tra USA ed URSS, ma papa Giovanni sa esprimere
ottimismo sul momento storico, sul mondo e sull'uomo. Non è l'ottimismo
di un inguaribile sognatore, ma piuttosto di colui che sapendo
scrutare in profondità le viscere della realtà non si lascia spaventare
né ingannare dall'apparenza e così non confonde la contingenza
con la natura stessa delle cose. "Le profetiche parole di Gesù…
incoraggiano le buone e generose disposizioni degli uomini, in
modo particolare in alcune ore storiche della chiesa, aperte ad
uno slancio nuovo di elevazione verso le cime più alte: 'sollevate
la testa perché è prossima la vostra liberazione' (Lc 21,28)".
Non possono poi non sconcertare le parole con cui il papa spiega
la "ragion d'essere" del concilio: non già per insegnare qualcosa
al "mondo moderno", o meglio per riportarlo sulla retta via, dopo
che si sarebbe perso sulle vie della secolarizzazione e del materialismo
(quante volte in seguito avremmo sentito queste lamentele?), ma
"la sua ragion d'essere è la sua continuazione, o meglio è la
ripresa più energica della risposta del mondo intero, del mondo
moderno al testamento del Signore". Nessuna condanna dunque; secondo
il papa che sa leggere i "segni dei tempi" il mondo sta già rispondendo
positivamente a Cristo, va solamente incoraggiato e fortificato
perché: "Il mondo ha i suoi problemi, dei quali cerca talora con
angoscia una soluzione" e se talvolta perde di vista la verità
non è per malafede, ma perché "va da sé che l'affannosa preoccupazione
di risolverli con tempestività, ma anche con rettitudine, può
presentare un ostacolo alla diffusione della verità tutta intera
e della grazia che santifica". E non potrebbe essere altrimenti
perché il mondo è fatto dagli uomini e, al di là delle apparenze,
ciò che l'uomo realmente cerca è: "l'amore di una famiglia intorno
al focolare domestico; il pane quotidiano per sé e per i suoi
più intimi, la consorte e i figlioli; egli aspira e sente di dover
vivere in pace così all'interno della sua comunità nazionale,
come nei rapporti con il resto del mondo; egli è sensibile alle
attrazioni dello spirito, che lo porta ad istruirsi e a elevarsi;
geloso della sua libertà, non rifiuta di accettarne le legittime
limitazioni, al fine di meglio corrispondere ai suoi doveri sociali".
Ma potrà valere questo per ogni uomo? Papa Giovanni è convinto
di sì e questa fiducia nell'uomo - che affonda le sue radici teologiche
nella fede in Dio Creatore - lo porta a compiere passi impensati
e ripugnanti per tutti coloro che avevano interesse a salvaguardare
piuttosto lo "status quo" e a propinare ai popoli una lettura
manichea della situazione internazionale. Se il mondo si divideva
in buoni e cattivi (il patto atlantico e quello di Varsavia) e,
visti da occidente, gli "altri" erano irrimediabilmente i cattivi,
i senza Dio, l'impero del male, papa Giovanni cercherà di creare
rapporti sempre più stretti, oltre la cortina di ferro, con i
leader dell'Unione sovietica, sconfessando (e scandalizzando!)
tutta la retorica occidentale. L'iniziativa di Krutschev di inviare
al papa il 25 novembre 1961 un telegramma di auguri per il suo
ottantesimo compleanno e successivamente, il 7 marzo del 1963,
la visita in Vaticano della figlia e del genero del presidente
sovietico, furono la prova che il vecchio papa non si sbagliava.
Restò invece profondamente amareggiato per le dure critiche di
"imprudenza" o "arrendevolezza" che gli piovvero addosso: "Ho
detto e ripetuto… che si pubblichi la nota redatta da padre Koulic,
l'unico testimone (in quanto interprete) dell'udienza concessa
a Rada e Alexei Adjubei… Quando si saprà cosa ho detto io, cosa
ha detto lui, credo che si benedirà il nome di papa Giovanni…
Deploro e compiango quanti si prestano in questi giorni a giochi
innominabili. Ignoro e lascio cadere…". Vogliamo ipotizzare, nell'attuale
contesto geopolitico internazionale, quale posizione prenderebbe
oggi papa Giovanni? Come si porrebbe nei confronti degli uomini
di al Qaeda, di Saddam Hussein, di Bush…? Non è difficile, basterebbe
ricordare cosa si diceva allora nei confronti dei sovietici!…
Indubbiamente riscontriamo in lui quello spirito positivo e di
fiducia nei confronti dell'uomo e del mondo che animerà tutto
il concilio: papa Giovanni, che non riuscirà a firmare nemmeno
un documento, in questo modo li ha ispirati e preventivamente
firmati tutti.
Giustizia
e Pace
Il
tema più sintetico non solo del pontificato, ma di tutta la vita
di papa Giovanni fu certamente quello della pace. Pace non intesa
come ideale o valore astratto da perseguire e raccomandare con
ben poca illusione nei documenti ufficiali, quanto piuttosto come
la condizione indispensabile - "sine qua non" - della convivenza
umana sulla terra e perciò perseguita con ostinazione - oltre
che con fede - a partire dalle cose più semplici e quotidiane.
Quello che la Chiesa deve proclamare è già presente nelle cose
del mondo ed è per questo che anche le dichiarazioni più solenni
partono da semplici constatazioni: "Le madri e i padri di famiglia
detestano la guerra: la Chiesa, madre di tutti indistintamente,
solleverà una volta ancora la conclamazione che sale dal fondo
dei secoli e da Betlemme, e di là sul Calvario, per effondersi
in supplichevole precetto di pace: pace che previene i conflitti
delle armi, pace che nel cuore di ciascun uomo deve avere sue
radici e sua garanzia. E' naturale che il concilio nella sua struttura
dottrinale e nell'azione pastorale che promuove, voglia esprimere
l'anelito dei popoli a percorrere il cammino della Provvidenza
segnato a ciascuno, per cooperare nel trionfo della pace…". Perciò
la pace - e la giustizia che ne è l'imprescindibile fondamento
- è dovere di tutti! "Dovere di ogni uomo, dovere impellente del
cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità
altrui e di ben vigilare perché l'amministrazione e la distribuzione
dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti". Dovere dei
popoli e delle nazioni: "Il concilio ecumenico sta per adunarsi
a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima
volta nella storia i padri del concilio apparterranno, in realtà,
a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza
e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti,
che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi". Dovere
anche dei vescovi: "I vescovi, pastori del gregge di Cristo, richiameranno
il concetto di pace non solo nella sua espressione negativa, che
è detestazione dei conflitti armati (nella Pacem in Terris dirà:
"è alieno alla ragione pensare che nell'era atomica la guerra
possa essere utilizzata come strumento di giustizia" (67), ma
ci ritorneremo fra qualche mese…), ma ben più nelle sue esigenze
positive, che richiedono da ogni uomo conoscenza e pratica costante
dei propri doveri: gerarchia, armonia e servizio dei valori spirituali
aperti a tutti, possesso e impiego delle forze della natura e
della tecnica esclusivamente a scopo di elevazione del tenore
di vita spirituale ed economica delle genti".
La
Chiesa dei poveri
Ciò
che invece passò inosservata quel giorno - almeno all'opinione
pubblica - fu un'altra frase del papa che avrebbe poi influenzato
il concilio fin dalla prima sessione: "Altro punto luminoso. In
faccia ai paesi sottosviluppati la chiesa si presenta quale è,
e vuol essere, come la chiesa di tutti, e particolarmente la chiesa
dei poveri". Non più dunque una chiesa che, per "carità", si china
in maniera assistenzialistica sui poveri, ma una chiesa che vuole
fare proprio lo spirito evangelico della beatitudine dei poveri:
perché la fonte della Rivelazione che ha ricevuto da Dio è il
Cristo povero, perché essa stessa appartiene ai poveri, perché
solo essendo povera potrà restare fedele alla propria missione
profetica. Scopriremo poco alla volta - nei mesi futuri - gli
sviluppi che questo tema conoscerà durante gli anni del concilio
e come ispirerà diversi punti nevralgici, anche di quei documenti
che potrebbero sembragli più estranei, quale ad esempio la costituzione
sulla Sacra Liturgia. Ma il primo effetto di queste parole del
papa fu quello di mettere in discussione lo stile di vita di molti
vescovi che, prendendole sul serio, si riunirono a margine dei
lavori conciliari presso il collegio Belga e avviarono una riflessione
che sfociò in una lettera di intenti, consegnata a Paolo VI al
termine della terza sessione del concilio e conosciuta come lo
Schema XIV (cfr. il box). Del cosiddetto "gruppo di studio del
collegio Belga" fecero parte, tra gli altri, il vescovo brasiliano
Helder Camara e quello del Sahara, Mercier; tra i teologi più
conosciuti Congar e Chenu. Da parte sua Paolo VI non lasciò cadere
la cosa. Se al termine della prima sessione fece anch'egli un
intervento su questo tema, ancora da cardinale, "divenuto papa
- rivela Mons. Bettazzi, presente come padre conciliare al seguito
del Card. Lercaro - chiese al card. Lercaro di raccogliere riservatamente
materiale per una successiva enciclica. Tre piccoli gruppi di
vescovi elaborarono riflessioni che finirono nelle mani di Paolo
VI insieme al cosiddetto Schema XIV. Lì per lì non se ne fece
nulla, ma credo che di qui sia nata l'Enciclica Populorum progressio
del 1967" (L. Bettazzi, La Chiesa dei poveri nel concilio e oggi,
Pazzini, p. 31). In seguito anche i vescovi latinoamericani fecero
tesoro di questa indicazione giovannea allorquando nel 1968, a
Medellin, si riunirono nella seconda conferenza generale dell'episcopato
latinoamericano per incarnare il concilio nelle loro realtà ecclesiali.
Da lì uscì una scelta forte e coraggiosa che ha segnato - anche
col martirio - molte di quelle chiese fino ad oggi: "l'opzione
dei poveri". Nacque così anzitutto una prassi pastorale di condivisione
e servizio evangelico nei confronti degli oppressi e papa Giovanni,
dal cielo, poté finalmente benedire una chiesa che realmente si
era fatta "la chiesa di tutti e particolarmente la chiesa dei
poveri". In seguito, riflettendo e sistematizzando (secondo il
compito che è proprio della teologia) questi cammini che ormai
andavano consolidandosi nelle loro chiese, alcuni teologi latinoamericani
diedero vita alla "teologia della liberazione" che, nonostante
forti incomprensioni e a volte vere e proprie "persecuzioni",
continua fino ad oggi a ricercare nel povero il luogo teologico
privilegiato da cui contemplare il mistero del Dio cristiano…
Non sono storie belle ma passate, sono frutti abbondanti di una
stagione che certamente ha ancora molto da dare, perché se è vero
che molto è stato disatteso e che evidentemente "i tempi degli
uomini non sono quelli di Dio", per nostra fortuna è soprattutto
vero il contrario, e cioè che "i tempi di Dio sovrastano i nostri",
perciò incoraggiati dalle parole di Gesù e di papa Giovanni, osiamo
risollevare la testa, perché: "la vostra liberazione è vicina!"
(Lc 21,28).
Alberto
Vitali
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