Panem et circenses, ieri e oggi



"Divide et impera" e "panem et circenses" ("dividi e comanda" e "pane e giochi"), due antichi detti latini, che ancora oggi - dopo oltre duemila anni - servono a far girare il mondo e a spiegare come vanno le cose. Gli antichi romani infatti (al tempo di Gesù) erano i dominatori assoluti del mondo allora conosciuto (praticamente l'Europa e le terre che circondano il Mediterraneo) e per quanto equipaggiati di un forte esercito, sapevano bene che dominare un impero così vasto non era cosa facile. Avevano però scoperto alcuni "trucchi" fondamentali.

Il primo era quello di impedire che i popoli sottomessi si alleassero tra loro ("divide". E questo vale anche per qualsiasi piccola comunità…), si confrontassero sui rispettivi problemi, sogni... si alleassero militarmente. Si sa: "l'unione fa la forza", mentre la divisione genera debolezza! Avevano quindi scoperto quanto fosse più facile dominare su tanti popoli divisi, piuttosto che su pochi, ma uniti. Ancor meglio se le divisioni rompevano l'unità e la solidarietà all'interno delle stesse nazioni: per questo si procuravano la complicità di pochi "traditori", che si lasciavano corrompere per diventare ricchi e potenti, a danno della stragrande maggioranza dei loro fratelli che sprofondava, di conseguenza, nella miseria. A questo proposito, il Vangelo ci parla dei sommi sacerdoti e dei pubblicani come di ricchi traditori, alleati dell'impero e odiati dal popolo… Ognuno di noi potrebbe fare lo stesso, pensando - oggi - alla situazione del proprio popolo: facendo l'elenco degli attuali ricchi e chiedendosi "come" possano esserlo diventati, in mezzo a tanta miseria; e grazie a "quali" alleanze possano restare al potere ("impera").

L'espediente però non poteva reggere oltre certi limiti, quando cioè l'esasperazione della gente arrivava ad esplodere perché la povertà si trasformava in miseria e questa in fame, mortalità infantile, malnutrizione, malattie… C'era insomma negli antichi romani un certo "senso del limite"… che oggi sembra del tutto scomparso! Del resto sapevano bene che il popolino, abituato a poco, si accontenta di poco. Così l'antico impero cercava almeno di assicurare il pane e non far mancare un po' di divertimento ("circenses"), che aiutava a "distrarsi" (dai problemi quotidiani e quindi anche dall'idea della rivolta).

L'impero di oggi, al contrario, sempre più ingordo, non si preoccupa nemmeno di garantire un pezzo di pane a tutti. Secondo il Programma Mondiale di Alimentazione (ottobre 2002), in Centroamerica, più di 8,6 milioni di persone sono ridotte alla fame, grazie anche alla siccità, dovuta ad un uso indiscriminato del terreno a vantaggio degli interessi di pochi. Nel dettaglio le persone colpite sono 2,6 milioni in Nicaragua; 2,2 milioni in Honduras; 1,3 milioni in El Salvador; 2,5 milioni in Guatemala. In altre parole, in Centroamerica, una persona su quattro soffre la fame. Ancora, la denutrizione cronica colpisce il 23% della popolazione in Salvador; il 33% in Nicaragua; il 38% in Honduras; il 48% in Guatemala.

Il divertimento invece viene ancora assicurato, anzi viene studiato su misura. E' il caso delle popolarissime telenovela che, esportate ormai con successo in tutto il mondo, furono inventate proprio in America Latina, con scopi anti-insurrezzionali.
Un amico sacerdote, sociologo e teologo della liberazione, che per anni ha lavorato in Nicaragua, mi diceva: "se guardi una foto scattata negli anni '70 alle baracche intorno a Managua e ne guardi una di oggi, la sola cosa che è cambiata sono le antenne sui tetti di lamiera delle baracche… Infatti, dopo la breve parentesi sandinista, i governi successivi si sono affrettati a diffondere gli apparecchi televisivi (vecchi, brutti, ma funzionanti) perché la gente restasse "in casa", a guardare telenovele, anziché uscire per incontrarsi e discutere su come organizzarsi". Queste telenovele (i "circenses" di oggi) sono poi studiate su misura: linguaggio semplice e immediato, che tutti possono capire e soggetti in cui ciascuno possa identificarsi. Così mi è personalmente capitato, nell'agosto del 2001, di passare dal Chiapas (Messico) al Salvador (appena colpito dal terremoto e dal maremoto) e vedere migliaia di persone "imbambolate" davanti al televisore (in Chiapas persino in banca!) per vedere "Betty, la fea", la segretaria brutta e povera che però (novella Cenerentola) riesce a colpire il cuore del capo-ufficio, facendo così carriera e tirandosi dietro i sogni, le proiezioni e le frustrazioni di migliaia di persone che, anziché lottare per migliorare la propria situazione, scambiano ormai la finzione televisiva (fiction, appunto) con la loro realtà di m… (che non significa soltanto miseria!).

Parlando ancora di "circenses", non è forse nemmeno un caso che l'attuale e perenne partito al governo in Salvador, abbia vinto le elezioni dello scorso anno candidando non un politico, un economista o un imprenditore (com'è avvenuto negli USA e in Italia), ma proprio un telecronista sportivo! Telenovele per le femminucce e calcio per i maschietti… e il piatto vuoto per tutti!

A lasciarmi più sconcertato (a volte anche arrabbiato), in tutta questa storia, è l'aver sentito migliaia di persone lamentarsi, molte bestemmiare contro i politici o i ricchi, ma averne viste poche, troppo poche, a fare qualcosa. Eppure il "che-fare", se non facile, dovrebbe essere almeno chiaro, e cioè l'esatto contrario di quanto vuole il sistema: "unirsi per non essere comandati/schiacciati" e "non imbambolarsi per avere oltre al pane anche il companatico".

La cosa buffa (tragicamente buffa!) è che io, come molti altri europei, questa lezione l'abbiamo imparata proprio dai latinoamericani… nel momento che, prendendoci a cuore della situazione di alcuni popoli, ci siamo lasciati mettere in discussione dai loro grandi vescovi, santi e profeti; due nomi per tutti: Romero e Camara. Sono stati loro ad insegnarci che la povertà non è una "cosa naturale" e non viene da Dio. Sono stati loro a spingerci a chiederci "ma perché allora c'è?". E questo ci ha portato a scoprire che esiste un preciso disegno economico che sta all'origine della povertà (calcolata e voluta); e che ciò è solo la prima gamba di un treppiedi che, per reggersi, ha bisogno necessariamente delle altre due: quella politica (una certa politica!) e quella militare.

Fu questo anche il percorso di Mons. Romero, uomo conservatore e timoroso per natura, ma sincero e fedele a Dio, che non poté esimersi dal riconoscere che proprio l'intreccio perverso di un'economia feudale ed una politica iniqua, fondate sulla violenza strutturale e la repressione militare, massacrava ogni giorno il suo popolo.

Per lui, non fu una semplice questione di solidarietà umana… capì che c'era in gioco il suo rapporto con Dio; capì che su questa presa di posizione, o latitanza, avrebbe giocato la propria fedeltà al Vangelo di Gesù e quindi il proprio ministero episcopale.

Così, più volte accusato di "fare politica" rispose sempre con argomenti simili a quelle che espose in modo compiuto e dettagliato a Lovanio, il 2 febbraio 1980, nell'atto di ricevere la Laurea Honoris Causa, che quella celebre Università volle conferirgli, invitandolo a tenere un discorso sul tema: "La dimensione politica della fede".

«Il nostro mondo salvadoregno non è un'astrazione, non è semplicemente un ulteriore esempio di ciò che, nei paesi sviluppati come il vostro, si intende per "mondo". E un mondo che nella sua immensa maggioranza è costituito di uomini e di donne poveri e oppressi. E appunto di questo mondo di poveri, noi diciamo che esso è la chiave per comprendere la fede cristiana e l'agire della Chiesa, e insieme la dimensione politica di quella fede e di quell'agire ecclesiale. I poveri sono coloro che ci dicono che cos'è la "polis", la città, e che cosa significhi, per la Chiesa, vivere realmente nel mondo... Questa opzione della Chiesa per i poveri è ciò che spiega la dimensione politica della sua fede, come qualcosa che è già nelle proprie radici e nei propri tratti fondamentali. E perché essa ha optato per i poveri concreti e non immaginari, è perché essa ha optato per i veri oppressi e i veri repressi, che ora la Chiesa vive nel mondo della sfera politica; e che essa si realizza, come Chiesa, anche attraverso questa sfera. D'altro canto, non potrebbe essere diversamente, se, come Gesù, si dirige verso i poveri...».

Tutto questo Mons. Romero lo realizzò anche grazie ai mezzi di comunicazione, per i quali ebbe sempre una particolare predilezione: dalle riviste diocesane "Orientación" (di cui fu direttore quando ancora era vescovo ausiliare di San Salvador) e "El Apostol" (di Santiago de Maria), fino alla radio diocesana YSAX che volle, con tutte le sue forze, già Arcivescovo, per poter raggiungere con le omelie anche i cantoni più lontani…

Come lui, anche noi abbiamo imparato a guardare la nostra realtà e quella dei più poveri alla luce della Parola di Dio, che ci obbliga a vedere non solo gli effetti, ma anche le cause; che ci aiuta ad intravedere sentieri possibili di soluzione nel campo del sociale, dell'economia e della politica, ma sempre entro la dimensione della nostra fede cristiana e a condizione di saperci incontrare, parlare, informare, confrontare, collaborare…

Alberto Vitali



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