Tu
chiamale se vuoi… elezioni!
Seduto sulla panchina di una scuola di Ahuachapango, cittadina
salvadoregna sul confine col Guatemala e capoluogo dell’omonimo
dipartimento, osservavo lo svolgersi delle elezioni presidenziali
del più piccolo paese centroamericano, mentre il ritornello
di una canzone di Battisti mi martellava nella testa. Già,
per chiamarle elezioni bisognava proprio volerlo! Eravamo
nel Salvador da tre giorni ed il buon giorno s’era visto dal mattino,
anzi, dalla sera del nostro arrivo. Invitati in qualità
di osservatori internazionali dalla Procura per la difesa dei
Diritti Umani, una delle più alte cariche dello stato,
eravamo una delegazione di 27 persone, promossa da Pax Christi
Italia; ci accompagnava l’on. Mauro Bulgarelli, unico parlamentare
ad aver accolto il nostro invito. Si sa, in questi tempi il Salvador
non è di moda… al contrario, va sempre di moda creare problemi
agli ospiti indesiderati! Così, giunti in aeroporto, abbiamo
faticato quasi due ore per ottenere il visto d’entrata, sebbene
di norma non servano particolari permessi e nonostante la presenza
di alcuni funzionari della procura venuti a riceverci. Avremmo
poi scoperto che nonostante fossimo regolarmente accreditati presso
il Tribunale Supremo Elettorale, questo organismo non aveva trasmesso
i nostri dati, come quelli di moltissimi altri osservatori, invitati
da organismi politici o umanitari che non fossero il partito "ufficiale",
al potere da oltre vent’anni. In tale delicata situazione - 64
osservatori statunitensi erano già stati rispediti in patria,
nonostante l’intervento del loro console… non volevamo certo fare
la loro fine! – mentre io cercavo di ingraziarmi la polizia di
frontiera, per avere almeno il permesso di comunicare con la Procuratrice,
dott. Beatrice di Castillo, di origine italiana (cui Viator ha
dedicato un servizio nello scorso mese di novembre), Bulgarelli
pensò di chiamare la nostra ambasciata… inutile: per quanto
la legge preveda che le autorità diplomatiche debbano essere
sempre a disposizione dei propri concittadini, 24 ore su 24, nessuno
rispondeva. Quando già iniziavo a perdere le speranze,
la Procuratrice, finalmente rintracciata, riuscì a contattare
personalmente il presidente del Tribunale e a sbloccare la nostra
situazione: con tante scuse da parte del ministro dell’interno.
Così, tra un preparativo e l’altro, arrivò il grande
giorno: domenica 21 marzo. Noi, abituati a votare quasi con noia
e fastidio, non possiamo nemmeno immaginare come un tale avvenimento
possa essere carico di speranze, per centinaia di migliaia di
persone. Su richiesta della stessa procura, ci dividemmo in cinque
gruppi per dislocarci in altrettante località, ritenute
particolarmente delicate. In particolare fummo inviati nelle zone
frontaliere di Ahuachapan e Chalatenango, dove c’erano validi
motivi per ritenere che fra i votanti vi fossero infiltrate persone
appositamente "importate" dal Guatemala e dall’Honduras.
In verità, tale verifica si rivelò al di là
delle nostre possibilità, perché le comuni caratteristiche
somatiche di quelle popolazioni ci impedirono di distinguere tra
gli stessi discendente nawuat, chi attualmente vive da una parte
e chi dall’altra di un confine, più politico che geografico,
arbitrariamente tracciato nel 1800. Al contrario, con non poco
stupore, potemmo facilmente rilevare ben altre irregolarità.
Andando per sommi capi, la prima cosa a colpirci fu la situazione
delle cabine elettorali, per nulla omogenee. Alcune si presentavano
sufficientemente alte, ma realizzate in semplice cartone, che
vento e folla continuamente spostavano ed erano sempre localizzate
in maniera tale che il votante avesse le spalle scoperte, essendo
quindi ben controllabile da chiunque gli si "appollaiasse"
dietro. Altre, in ferro sì, erano però sufficientemente
basse da risparmiare addirittura la fatica dell’appostamento:
bastava passarci davanti! In alcuni casi poi – perché fare
tanta fatica? - i "rappresentanti di lista" (vi lascio
indovinare di quale partito…) accompagnavano direttamente i votanti
in cabina… e ai nostri sguardi indignati risposero che lo facevano
solamente per aiutare le persone anziane che avevano qualche difficoltà
ad impugnare la matita. Ben presto ci saremmo resi conto che questi
"trucchetti" altro non erano che dettagli, piccoli e
marginali, di una operazione molto più grande, i cui giochi
erano fatti ormai da tempo. Così, vedendo persone che anziché
porre la scheda nell’urna se la infilavano in tasca, abbiamo scoperto
che molti venivano portandone una già votata e lì
semplicemente la sostituivano con quella "vergine",
che prelevavano, per poterla "consegnare" quale "prova"
necessaria per ricevere il compenso promesso (20 $). Ad altri,
che indossavano magliette o evidenti contrassegni dei partiti
concorrenti, venivano invece consegnate schede non timbrate e
perciò facilmente invalidabili al momento dello scrutinio.
E non è tutto: parlando con diversi lavoratori, ci spiegarono
che dall’inizio dell’anno a molti di loro, particolarmente a quelli
impiegati nelle cosiddette maquillas – le fabbriche di assemblaggio
a capitale straniero, dichiarate zone franche internazionali,
per poter violare ogni forma di legge e diritto sindacale – non
furono pagati i salari, con la minaccia che in caso di vittoria
dell’FMLN, non solo non avrebbero ricevuto il loro compenso, ma
avrebbero persino perso il posto di lavoro, a causa del trasferimento
delle fabbriche all’estero. Qualcuno ci ha anche parlato di un
predisposto piano di fuga dei capitali, quale vera e propria forma
di golpe bianco, sempre, ovviamente, in caso di vittoria del Frente.
Altri episodi furono poi delle vere e proprie "chicche"
di fantasia, quali, ad esempio, l’andare sotto mentite spoglie.
In alcune zone tradizionalmente legate del Frente, infiltrati,
con magliette dell’FMLN, si fecero sentire a ragionare "tra
loro", a voce "troppo" alta, su come dopo il successo
avrebbero bruciato tutte le Bibbie e le Chiese, per intimidire
la popolazione e far leva sul diffuso sentimento religioso. Da
parte sua, ARENA, il partito di governo, già da mesi paventava
l’idea che, in caso di vittoria, il Frente avrebbe bloccato le
"rimesse famigliari", ovvero l’invio di denaro da parte
degli immigrati alle proprie famiglie, unica forma di sostentamento
per la stragrande maggioranza dei salvadoregni. Di più,
avrebbe "istituito un regime come quello cubano", autentico
spauracchio per molti ignari contadini e operai, che mai visitarono
Cuba, ma vedono ogni giorno, per le strade, enormi cartelli pubblicitari
che illustrano le "molteplici nefandezze del regime castrista",
a fronte di quel paradiso terrestre che vorrebbe essere il Salvador…
Infine non a tutti fu possibile esercitare il diritto di voto,
in quanto al vecchio certificato elettorale (troppo arcaico per
un paese così evoluto…) fu sostituito il DUI (Documento
Unico di Identità), emesso gradualmente negli ultimi mesi,
ma recepito dal Tribunale Supremo Elettorale soltanto fino al
31 dicembre: a chi lo aveva ricevuto dal 1° gennaio 2004 era perciò
automaticamente impedito di votare. Lo stesso avvenne a quei carcerati
che, condannati per reati minori, godono ancora delle proprie
prerogative elettorali e a tutti i ricoverati, per il semplice
fatto che nessun seggio fu istituito nelle carceri e negli ospedali.
La lista dei brogli sarebbe ancora lunga e siamo convinti di non
averli nemmeno rilevati tutti. Abbiamo perciò pregato la
Procuratrice De Carrillo di inviarci una copia del Dossier che
sta approntando, non appena il suo ufficio avrà terminato
di raccogliere e ordinare le numerosissime denunce pervenute…
Con tutto ciò, l’Organizzazione degli Stati Americani (OEA)
non ha perso tempo a riconoscere la validità della consultazione
elettorale e la Comunità Internazionale le è andata
a ruota: triste paradosso per quell’occidente che proprio in questi
mesi sta esportando "democrazia" a suon di bombe in
tutto il mondo! Paradossalmente però, ad impressionarci
di più non fu l’aspetto politico, quanto piuttosto la situazione
sociale che sta attraversando questo piccolo paese, caratterizzata
da una acuta povertà che va progressivamente trasformandosi
in miseria, con picchi di fame e malattia inediti in quella regione.
Le cause di tale involuzione sono indubbiamente molteplici, ma
facilmente riconducibili ad alcune radici comuni e profonde. Anzitutto
l’ancoraggio del "colon" al dollaro, avvenuto il 1°
gennaio 2001, che ha completamente annientato la moneta nazionale
e moltiplicato senza misura i prezzi di tutti i beni di prima
necessità. Ancor più, il Trattato di Libero Commercio
che appena stipulato, sebbene non ancora ratificato, sta’ già
facendo sentire i propri effetti. Tra questi l’obbligo per i contadini
di utilizzare soltanto sementi "certificate" da un’unica
agenzia governativa, che di fatto vende OGM. Le multinazionali,
in primis la Monsanto, fanno perciò valere i propri "diritti
intellettuali" (copyright) e alle famiglie contadine, impedite
di usare le "sementi native", tramandate da secoli,
e prive di soldi per acquistare le nuove, non resta che patire
la fame. La dieta di centinaia di miglia di persone (su una popolazione
complessiva di 6 milioni di abitanti) si è così
ridotta, negli ultimi mesi, a mais e fagioli… quando non subentra
la siccità, con tutto quanto significa in termini di malnutrizione,
denutrizione e mortalità infantile! Per lo stesso motivo,
molti promotori sanitari, con le lacrime agli occhi, ci hanno
raccontato di non poter fare altro ormai che semplice prevenzione,
limitandosi ad offrire elementari consigli di natura igienica,
dal momento che i farmaci sono diventati un lusso inaccessibile…
Ci siamo infine imbattuti nella disperazione dei familiari dei
desaparecidos, che affidavano ad un cambio di governo la loro
ultima speranza di vedere avviate le ricerche dei corpi dei propri
cari e di quei bambini che, rapiti con i genitori, vennero poi
quasi sicuramente dati a famiglie dell’oligarchia e dell’esercito
o a facoltosi stranieri. A tutt’oggi infatti, e nonostante un
preciso richiamo dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU
ancora lo scorso 19 agosto, questa possibilità resta preclusa,
perché la maggior parte di quei crimini maturò in
ambienti molto vicini a quelli da cui nacque ARENA, il partito
dell’estrema destra militare, fondato dal maggiore Roberto D’Aubuisson
e responsabile tra l’altro dell’assassinio di Mons. Romero e dei
sei gesuiti dell’UCA. A complicare le cose, nel 1993, ad appena
un anno dalla firma degli Accordi di Pace, avvenuti sotto il patrocinio
della Comunità Internazionale, fu promulgata una "legge
d’amnistia" che coprì indiscriminatamente tutti i
crimini anteriori. Così, ancora una volta, nel Salvador
non è cambiato nulla, col beneplacito di tutti i governi
occidentali. Niente di nuovo sotto il sole, direbbe Qohelet: nel
luglio 2001 il presidente uscente, Francisco Flores, fu addirittura
invitato dal premier italiano - quale ospite speciale - al G8
di Genova, perché presentasse la ricetta neoliberale, dettata
dal Fondo Monetario Internazionale, grazie alla quale il Salvador
avrebbe sconfitto la povertà, in realtà… sta sprofondando!
E ora che succederà? A parziale consolazione di quanti
sono sempre e solo preoccupati che non scoppino nuove rivoluzioni,
la gente ci ha confidato che "oggi, a differenza di vent’anni
fa, non abbiamo né i soldi, né la forza per una
nuova insurrezione"; ma noi siamo ripartiti con l’amara sensazione
che, in un modo o nell’altro, laggiù il peggio debba ancora
venire… Rimuginavo queste cose, guardando il suolo salvadoregno
allontanarsi sotto di noi, mentre l’aereo prendeva quota, quando
frugai nelle tasche e trovai un biglietto che un caro amico mi
aveva dato al mattino, salutandomi, e che nella concitazione della
partenza non avevo neppure letto. C’era scritta una frase di Mons.
Romero: "Su queste rovine brillerà la gloria del Signore".
Alberto
Vitali
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