di
Pedro Casaldaliga
Ho
appena finito di celebrare l'eucaristia nel piccolo carcere
di questa piccola città di São Félix
do Araguaia. La nostra città è un territorio
di molti chilometri quadrati e pochi abitanti, eppure l'istituto
di pena di São Félix do Araguaia ospita una
media di 45 prigionieri, anche alcune donne. (Le donne sono
sempre molto meno, nelle carceri). In questa prigione, come
in tutte le prigioni del Brasile, la stragrande maggioranza
dei detenuti sono gioventù, al di sotto dei 35 anni.
La gioventù è più instabile, più
impulsiva, più inquieta nella sua ricerca di un posto
tranquillo al sole della vita. Le passioni calde di sempre
della gioventù e, in questi ultimi tempi, la droga
tentatrice, oltre al resto. La prigione di São Félix
do Araguaia, come tutte le prigioni del mondo, è
una tristezza; per le precarie condizioni igieniche, di
esercizio fisico, di alimentazione... Qualcuno, con conoscenza
di causa, ha affermato categoricamente che il sistema penitenziario
mondiale è semplicemente iniquo. Concretamente nel
nostro Brasile, le prigioni sono sovrappopolate, e si arriva
al caso limite che alcuni detenuti si trovano a dover dormire
legati alle inferriate della cella, come "pipistrelli",
secondo il sarcastico gergo carcerario. Questo congestionamento
fisico e psicologico, la disumana tensione alla quale il
sistema carcerario conduce abitualmente, esplode con molta
frequenza in ribellioni, più o meno suicide, e in
impazziti gesti omicidi che decimano i propri compagni.
Un alto magistrato spagnolo, responsabile della supervisione
di una intera regione del suo paese, affermava emozionato,
con la sua grande mole di esperienza, che «l'unica
cosa che le carceri hanno di buono sono i prigionieri».
Ogni sabato, dunque, celebro messa nella piccola prigione
di São Félix do Araguaia. Ed è per
me la più evangelica delle eucaristie che celebro.
In fondo, nell'eucaristia celebriamo la Pasqua di un "marginale",
catturato, torturato e giustiziato sommariamente dalle varie
giustizie civili e religiose sul legno maledetto di una
croce. I detenuti mi fanno le loro confidenze, riconoscono
che hanno commesso una "stupidaggine", e accettano
persino che questo tempo - sempre così lungo - di
prigionia può aiutarli a rivedere la vita, a ritrovare
la rotta, ad avvicinarsi a Dio. Le analisi e statistiche
che vengono fatte sul sistema carcerario mondiale attestano,
però, che il carcere non è propriamente un
luogo di recupero né una scuola di vita. La verità
è che tutto il sistema carcerario del mondo, nei
suoi diversi settori, andrebbe profondamente riformato.
E non manca chi sostiene che il carcere come tale dovrebbe
essere soppresso. L'Umanità, se fosse giusta, sufficientemente
umana, politicamente creativa, dovrebbe trovare altre soluzioni.
Rinchiudere, emarginare, umiliare, torturare (o assassinare
ufficialmente!) non potranno mai essere i migliori procedimenti
per la riabilitazione di un essere umano. Un po' per i settant'anni
di vita che già porto nella bisaccia, un po' per
le confidenze di confessionale o di amicizia, e in buona
parte per questo contatto abituale con i detenuti, sto arrivando
sempre più alla conclusione che Dio è buono,
evidentemente, e che anche noi, figli e figlie di Dio, siamo
buoni... Nonostante le nostre molte "stupidaggini",
come dicono i miei amici della piccola prigione di São
Félix do Araguaia. A proposito: il caso Pinochet,
questo signore incolpato di tanti crimini orribili, fa scorrere
torrenti di parole e d'inchiostro e di immagini. Lo castighiamo,
non lo castighiamo; lo merita, non lo merita... L'infinita
maggioranza dei detenuti e detenute del mondo sono ben più
innocenti del dittatore Pinochet. Succede che l'infinita
maggioranza dei detenuti e detenute del mondo sono poveri.
In Brasile c'è un antico detto che suona così:
"La prigione è per il povero, il negro e la
prostituta".