Mons. Pedro Casaldáliga

 


Parole dal Sud - marzo

di Pedro Casaldaliga

In questo tempo di quaresima la chiesa ci ricorda, per stimolarci alla conversione, che anche Gesù, il Maestro, fu tentato. Così umano che, essendo Dio, come già dicevano gli antichi santi padri, fu umano al punto che attraversò crisi, si angosciò, visse storicamente una concreta vita umana processuale, situata, conflittuale, come diceva il cristologo messicano Carlos Bravo, che è da poco partito per la casa della Pace dopo averci lasciato una contundente riflessione sul Vangelo di Marco - Gesù, Uomo in conflitto. Tre, dicevano i Vangeli, furono le tentazioni di Gesù, intendendo con questo tutte le tentazioni della sua vita, tutte le nostre tentazioni: l'appetito, la cupidigia, l'orgoglio. Vecchie, umanissime tentazioni! Essere Dio in un modo che il Padre non voleva, atteggiarsi a Messia fuori dello stile del Regno... Tre, paradigmaticamente. Tutte. Le tentazioni del provato Gesù di Nazaret, le nostre tre quotidiane tentazioni. Oggi, però, le stesse tre di sempre si presentano con un'aria nuova, come di modernità stanca, di fine del percorso o addirittura di fine della storia, secondo il dogma neoliberale. La tentazione di rinunciare alla memoria. La tentazione di rinunciare alla croce. La tentazione di rinunciare all'utopia. Quel che è passato è passato, dice la canzone. La gioventù del '68, in Europa. Le sognatrici rivoluzioni latinoamericane. La Medellín della nostra chiesa continentale. E anche il Vaticano II della chiesa intera. La stessa amnistia che propugnano i padri o i figli delle dittature militari è un decreto di amnesia storica. Dimentichiamo, tanto i martiri come i carnefici. Noi siamo il presente, l'istante (e l'istinto!). Siamo un tempo senza storia. La croce è oscurantista, medievale. La militanza è un masochismo politico. Vivere è fare come se tutto andasse bene, inseguire l'autorealizzazione personale, ignorare la disciplina, l'ascesi, inserire persino una sorta di edonismo evangelico nel vissuto della fede cristiana, sradicalizzando la stessa vita religiosa. L'unica utopia valida è la strisciante topia del pragmatismo, della produttività, della competitività aggressiva, corpo a corpo, in questa battaglia del mercato totale e del profitto immediato. La borsa dei valori non contabilizza il sogno, la lira sterlina che trovava Churchill in fondo ad ogni questione - dollaro o yen o, oggi, marco - è la ragion d'essere e di agire, l'amore e il culto. Per la condizione umana che meriti questo nome e, a maggior ragione, per una vera condizione cristiana, la memoria, la militanza, l'utopia costituiscono la struttura della propria identità e della conseguente fedeltà. Siamo eredità, missione e futuro. "Fate questo - la donazione e la vittoria della Pasqua - in memoria di me", ci ha chiesto Gesù in testamento. "Chi vuole seguirmi prenda la sua croce", ci aveva domandato come programma di discepolato. "Sarò con voi sino alla fine", ci ha garantito, spianando tutti i possibili sogni di giustizia, di vita, di liberazione. La nostra utopia è la Speranza, siamo Pasqua nella Pasqua!



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