di
Pedro Casaldaliga
Potrei
scrivere una poesia contundente, che dica più o meno
così:
É
nel Sud che stanno i poveri,
dal Sud ci viene il Vangelo.
Con la morte, la Verità viene dal Sud.
Con le lotte, la Giustizia viene dal Sud.
Solo partendo per il Sud
il Nord si ritroverà,
umanamente liberi, Nord e Sud...
Sto
parlando di un "Sud" paradigmatico che sta nella
geografia, nella politica, nell'economia, nella religione.
Che sta anche nel Nord. Che può stare (dovrebbe stare)
in questa mappa intrasferibile del cuore stesso delle persone.
Già
da tempo in molti, uomini e donne, stavamo gridando che
il problema e la soluzione non erano l'Est o l'Ovest, ma
il Nord e il Sud. Oggi, nessuno con un minimo di lucidità
può discordare: il mondo è già spaccato,
apocalitticamente, in due: il Nord, che è il primo,
e il secondo, il Sud.
Semplificando
provocatoriamente, sappiamo bene, siamo stanchi di sapere
che il Nord è il potere, il profitto, il consumismo;
e il Sud è la fame, la dipendenza, l'esclusione.
Ma il Nord è anche la modernità disillusa
di sé stessa - già postmodernità -,
la fede religiosa sconcertata e la vita senza senso; e il
povero Sud, scheggiato com'è, è ancora l'utopia,
la festa tellurica, la palpitanza di Dio.
Lo
so che questa correlazione dialettica Nord-Sud irrita. Anche
la verità, quanto più è patente più
irrita. Lo so che sto offendendo. Sto offendendo me stesso,
in ogni caso, Nord che io sono, nato europeo, e per di più
vescovo (potere, cioè, e sicurezza).
Le
lettrici e i lettori di Nigrizia mi capiranno, perché
hanno un cuore di Sud, anche se stanno in buona parte nel
Nord. Leggere Nigrizia è già solidarietà.
E
fu proprio nella Nigrizia, nell'Africa nera Madre, che scoprii,
negli anni '60, questo Sud, mondo altro, povero e lottatore,
dominato e festivo, ricoperto di ignominia colonialista
e paramentato di arcobaleno nella sua natura prodiga, nelle
vesti dei suoi ondeggianti uomini e donne, nella musica,
negli occhi, nel sorriso, nell'anima dei suoi popoli.
Fu
in Africa che inciampai, ferito per sempre, nel Terzo mondo,
prima di venire, definitivamente, in questa Nostra America.
L'alito tropicale di quell'aeroporto della Nigeria, in un
mezzogiorno offuscante, mi battezzò sovversivo senza
ritorno. Il Dio dei poveri avrebbe finito per pendere sempre
più verso il Sud, nella mia povera vita.
Per
tutto questo, e per quello che io possa andare indicando,
lungo questi dodici mesi che Nigrizia mi offre come piattaforma
di confidenza fraterna, ho scelto, come titolo di questa
pagina, "Parole del Sud". Scrivo dall'America
del Sud, tra l'altro. Dal cuore geografico del Brasile,
tra i grandi fiumi amazzonici Araguaia e Xingu.
E
scrivo in questa ora fatidicamente neoliberale che, più
di qualsiasi altra ora della Storia umana, sta facendo del
mondo una specie di campo di battaglia - di morte, insomma
- tra due eserciti fratelli e nemici, condannati ad una
unica disfatta inevitabile o salvi in una definitiva riconciliazione
strutturale.
Per
la nostra fede cristiana, "ora delle tenebre"
o kairòs del Regno.
Parole
del Sud, canto forse, forse grido, forse contemplativo silenzio,
che tenterò di echeggiare per voi, amici/amiche,
fraternità solidale di questa Nigrizia militante
e utopica come l'anima del Sud, come il Vangelo del Regno.